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La centralità del corpo #1 – Cristina Crippa
Mostra di una scelta di lavori di Cristina Crippa, primo dei tre appuntamenti del ciclo La centralità del corpo a cura di Elisabetta Longari.
Comunicato stampa
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Lunedì 24 gennaio 2011 alle ore 18,30 al Tufano Studio 25 , via Col di Lana 14, Milano, si aprirà la mostra di una scelta di lavori di Cristina Crippa, primo dei tre appuntamenti del ciclo La centralità del corpo a cura di Elisabetta Longari. Le prossime esposizioni saranno dedicate a Nicolò Lombardi e a Mattia Costa.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione con testo di Elisabetta Longari.
Premessa
Il mio rapporto con TufanoStudio25 si è ravvivato durante la primavera scorsa (2010) in occasione dell’allestimento della mostra di Valerio Ambiveri e Sabina Sala, i cui lavori vertevano sul corpo come fatica del sogno. Durante l’autunno, il passaggio successivo è costituito, insieme a Tufano e con l’apporto di Rosanna Veronesi, dall’esposizione di Giovanna Dal Magro: una carrellata di fotografie di performance degli anni Settanta che ha rappresentato una sorta di omaggio allo scomparso Luciano Inga Pin.
Da queste premesse nasce, su espresso invito di Giovanni Tufano, l’idea di un ciclo di tre appuntamenti intorno al corpo i cui protagonisti sono Cristina Crippa, Nicolò Lombardi e Mattia Costa, tre artisti, di cui nessuno raggiunge i trent’anni, che hanno avuto in qualche modo una relazione, chi più chi meno, diretta con l’Accademia di Brera, dove insegno Storia dell’arte contemporanea dal 1991 (Cristina Crippa l’ha frequentata ma non è stata tra “i miei studenti”, Nicolò Lombardi ha soltanto sempre abitato nel quartiere, Mattia Costa mi ha avuto come relatrice della sua tesi di Laurea).
Questi i fatti. Adesso occorre esporre i motivi.
Giovanni Tufano da molto tempo occupa una posizione assai radicale nel panorama dell’arte: il suo fare coincide perfettamente, senza sbavature, con il fare altrui. In che modo ciò è tecnicamente possibile? Egli presta l’affascinate spazio dello studio perché vi si mescolino energie ed idee: l’atelier di Tufano non è simile a un’officina ma piuttosto a una kunsthalle, una struttura atta a ospitare temporaneamente esperienze legate al mondo delle arti visive. Egli si limita a scegliere ciò che desidera accogliere sulla base di una qualche sintonia. Come tentare di mettere a fuoco che razza di autore è mai questo che non fa direttamente nulla e, mentre consente che le cose avvengano, vi assiste quasi come spettatore?
Si può azzardare una diagnosi solo a patto di riconoscere che egli è affetto da una forma di otium filosofico. La sua posizione però contiene, anzi evidenzia e fa esplodere, una fortissima componente di ambiguità. Nel “lasciar fare”, nel “creare lasciando creare”, come dice egli stesso, si verifica infatti un cortocircuito tra due poli nettamente contrapposti. Da una parte parrebbe prevalere l’attrazione dell’artista verso il nulla, e si direbbe che in questa pratica prenda corpo il più pieno manifestarsi della vocazione alla sottrazione completa, tanto dell’autore quanto dell’opera (infatti, invece di dirigere intenzionalmente la materia e la forma verso l’organizzazione di un “risultato”, Tufano si nasconde dietro ad altri, azzerando le proprie mosse e limitando al massimo le proprie tracce). D’altro canto, al contrario, questa scelta sembra denunciare una sorta di perverso e insaziabile egotismo che trova momentanea soddisfazione unicamente se si appropria in modo totale dell’”Altro”, secondo una modalità auto-affermativa subdola e vampiresca che trasforma l’apparente scomparsa in una complessa e articolata ritualità ad altissimo quoziente parassitario quanto una cena di cannibali. Ma l’artista contemporaneo, si sa, dopo il diluvio duchampiano, assume diverse posture, anche parecchio bizzarre, purché gli consentano uno sguardo molteplice sul mondo.
La centralità del corpo 1. Cristina Crippa
“Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo”.
Alighiero Boetti
V’è totale coincidenza tra identità e corpo, tra essere e corpo. Coincidenza e inevitabili sfasature. Misura, mezzo, strumento; non viviamo, non percepiamo se non con il corpo, nel corpo.
Gli autoscatti di Cristina Crippa, che contengono gli echi di una profonda e vasta cultura del corpo, sembrano partire da dove si è fermata la ricerca di Francesca Woodmann.
Il corpo di Cristina compare e scompare, si modella su uno spazio come un polipo tra gli scogli; si aggancia e aderisce al corrimano di una scala similmente a una stella marina… Come la figura inserita in un famoso quadro di Bacon, appoggia il piede sulla maniglia di una porta; spesso assume pose acrobatiche che ricordano il teatro-danza; a volte sembra arrampicarsi su impossibili superfici lisce, come per via di certi effetti speciali cinematografici degni di Spiderman.
L’autrice individua un “set”, per lo più stanze che contengono elementi stereotipi della casa e della destinazione d’uso degli ambienti da abitare. L’autoscatto la coglie di sorpresa, Cristina quindi non conosce il “risultato” se non a cose fatte.
Il suo corpo - elastico, duttile, ludico- indica un’esplorazione del reale in tutte le direzioni e con tutti i sensi, mentre rivela del corpo la mortificazione sistematica cui è sottoposto dentro determinate cornici sociali. Senza addentrarsi in considerazioni su culture largamente sconosciute quali quella islamica, restando quindi in Occidente, non si può che constatare che la costrizione del corpo in posa sotto i riflettori di una vetrina lo rende sempre più oggetto agito e sempre meno soggetto agente. Sembra che l’Italia detenga a tale proposito un triste primato, soprattutto per quel che riguarda il corpo femminile.
La componente performativa del lavoro di Cristina si esplicita anche nell’uso del video come documentazione di azioni. In particolare qui è esposto un montaggio in video di sequenze che riprendono una “doppia” passeggiata al rallenty in uno dei luoghi topici di Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Lentamente 2 (2007) sembra funzionare in certo modo come il pendant di Needle woman (1999-2001) di KimSooja, esposto al PAC di Milano nel 2004. Mentre l’artista coreana sta ferma come un ago piantato dritto perpendicolare al terreno, secondo l’immagine suggerita dal titolo, in mezzo al fiume di folla che le scorre accanto per strada, le due protagoniste di Lentamente 2, Cristina Crippa e Cecilia Viganò, si muovono quasi impercettibilmente, regolate su una velocità “altra”, intessendo con l’intero corpo un elogio alla lentezza. Il finale a sorpresa apre l’opera al coinvolgimento altrui: sullo schermo nero passa la trascrizione delle frasi pronunciate dai passanti, raccolte attraverso le registrazioni che sono riproposte come voci fuoricampo delle persone che hanno casualmente assistito alla performance e l’hanno commentata. Le loro opinioni e impressioni danno conto dello scarto e delle sfasature tra una percezione e un’altra, tra un corpo e un altro.
Elisabetta Longari
La mostra è accompagnata da una pubblicazione con testo di Elisabetta Longari.
Premessa
Il mio rapporto con TufanoStudio25 si è ravvivato durante la primavera scorsa (2010) in occasione dell’allestimento della mostra di Valerio Ambiveri e Sabina Sala, i cui lavori vertevano sul corpo come fatica del sogno. Durante l’autunno, il passaggio successivo è costituito, insieme a Tufano e con l’apporto di Rosanna Veronesi, dall’esposizione di Giovanna Dal Magro: una carrellata di fotografie di performance degli anni Settanta che ha rappresentato una sorta di omaggio allo scomparso Luciano Inga Pin.
Da queste premesse nasce, su espresso invito di Giovanni Tufano, l’idea di un ciclo di tre appuntamenti intorno al corpo i cui protagonisti sono Cristina Crippa, Nicolò Lombardi e Mattia Costa, tre artisti, di cui nessuno raggiunge i trent’anni, che hanno avuto in qualche modo una relazione, chi più chi meno, diretta con l’Accademia di Brera, dove insegno Storia dell’arte contemporanea dal 1991 (Cristina Crippa l’ha frequentata ma non è stata tra “i miei studenti”, Nicolò Lombardi ha soltanto sempre abitato nel quartiere, Mattia Costa mi ha avuto come relatrice della sua tesi di Laurea).
Questi i fatti. Adesso occorre esporre i motivi.
Giovanni Tufano da molto tempo occupa una posizione assai radicale nel panorama dell’arte: il suo fare coincide perfettamente, senza sbavature, con il fare altrui. In che modo ciò è tecnicamente possibile? Egli presta l’affascinate spazio dello studio perché vi si mescolino energie ed idee: l’atelier di Tufano non è simile a un’officina ma piuttosto a una kunsthalle, una struttura atta a ospitare temporaneamente esperienze legate al mondo delle arti visive. Egli si limita a scegliere ciò che desidera accogliere sulla base di una qualche sintonia. Come tentare di mettere a fuoco che razza di autore è mai questo che non fa direttamente nulla e, mentre consente che le cose avvengano, vi assiste quasi come spettatore?
Si può azzardare una diagnosi solo a patto di riconoscere che egli è affetto da una forma di otium filosofico. La sua posizione però contiene, anzi evidenzia e fa esplodere, una fortissima componente di ambiguità. Nel “lasciar fare”, nel “creare lasciando creare”, come dice egli stesso, si verifica infatti un cortocircuito tra due poli nettamente contrapposti. Da una parte parrebbe prevalere l’attrazione dell’artista verso il nulla, e si direbbe che in questa pratica prenda corpo il più pieno manifestarsi della vocazione alla sottrazione completa, tanto dell’autore quanto dell’opera (infatti, invece di dirigere intenzionalmente la materia e la forma verso l’organizzazione di un “risultato”, Tufano si nasconde dietro ad altri, azzerando le proprie mosse e limitando al massimo le proprie tracce). D’altro canto, al contrario, questa scelta sembra denunciare una sorta di perverso e insaziabile egotismo che trova momentanea soddisfazione unicamente se si appropria in modo totale dell’”Altro”, secondo una modalità auto-affermativa subdola e vampiresca che trasforma l’apparente scomparsa in una complessa e articolata ritualità ad altissimo quoziente parassitario quanto una cena di cannibali. Ma l’artista contemporaneo, si sa, dopo il diluvio duchampiano, assume diverse posture, anche parecchio bizzarre, purché gli consentano uno sguardo molteplice sul mondo.
La centralità del corpo 1. Cristina Crippa
“Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo”.
Alighiero Boetti
V’è totale coincidenza tra identità e corpo, tra essere e corpo. Coincidenza e inevitabili sfasature. Misura, mezzo, strumento; non viviamo, non percepiamo se non con il corpo, nel corpo.
Gli autoscatti di Cristina Crippa, che contengono gli echi di una profonda e vasta cultura del corpo, sembrano partire da dove si è fermata la ricerca di Francesca Woodmann.
Il corpo di Cristina compare e scompare, si modella su uno spazio come un polipo tra gli scogli; si aggancia e aderisce al corrimano di una scala similmente a una stella marina… Come la figura inserita in un famoso quadro di Bacon, appoggia il piede sulla maniglia di una porta; spesso assume pose acrobatiche che ricordano il teatro-danza; a volte sembra arrampicarsi su impossibili superfici lisce, come per via di certi effetti speciali cinematografici degni di Spiderman.
L’autrice individua un “set”, per lo più stanze che contengono elementi stereotipi della casa e della destinazione d’uso degli ambienti da abitare. L’autoscatto la coglie di sorpresa, Cristina quindi non conosce il “risultato” se non a cose fatte.
Il suo corpo - elastico, duttile, ludico- indica un’esplorazione del reale in tutte le direzioni e con tutti i sensi, mentre rivela del corpo la mortificazione sistematica cui è sottoposto dentro determinate cornici sociali. Senza addentrarsi in considerazioni su culture largamente sconosciute quali quella islamica, restando quindi in Occidente, non si può che constatare che la costrizione del corpo in posa sotto i riflettori di una vetrina lo rende sempre più oggetto agito e sempre meno soggetto agente. Sembra che l’Italia detenga a tale proposito un triste primato, soprattutto per quel che riguarda il corpo femminile.
La componente performativa del lavoro di Cristina si esplicita anche nell’uso del video come documentazione di azioni. In particolare qui è esposto un montaggio in video di sequenze che riprendono una “doppia” passeggiata al rallenty in uno dei luoghi topici di Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Lentamente 2 (2007) sembra funzionare in certo modo come il pendant di Needle woman (1999-2001) di KimSooja, esposto al PAC di Milano nel 2004. Mentre l’artista coreana sta ferma come un ago piantato dritto perpendicolare al terreno, secondo l’immagine suggerita dal titolo, in mezzo al fiume di folla che le scorre accanto per strada, le due protagoniste di Lentamente 2, Cristina Crippa e Cecilia Viganò, si muovono quasi impercettibilmente, regolate su una velocità “altra”, intessendo con l’intero corpo un elogio alla lentezza. Il finale a sorpresa apre l’opera al coinvolgimento altrui: sullo schermo nero passa la trascrizione delle frasi pronunciate dai passanti, raccolte attraverso le registrazioni che sono riproposte come voci fuoricampo delle persone che hanno casualmente assistito alla performance e l’hanno commentata. Le loro opinioni e impressioni danno conto dello scarto e delle sfasature tra una percezione e un’altra, tra un corpo e un altro.
Elisabetta Longari
24
gennaio 2011
La centralità del corpo #1 – Cristina Crippa
Dal 24 gennaio al 05 febbraio 2011
fotografia
Location
TUFANO STUDIO 25
Milano, Via Monfalcone, 34/a, (Milano)
Milano, Via Monfalcone, 34/a, (Milano)
Orario di apertura
Pomeriggio su appuntamento
Vernissage
24 Gennaio 2011, ore 18.30
Autore
Curatore