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La Galeria Buades de Madrid
Pluralità e diversità sono le parole d’ordine della mitica Galleria fondata da Mercedes Buades . È stata la finestra sull’arte spagnola più innovativa degli ultimi ventiquince anni. Oggi, terminato il suo percorso, è diventata punto diriferimento per artisti e critici.
Comunicato stampa
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Buades o il rischio senza fine.
Buades, un’importante galleria d’arte di Madrid, fu un punto di riferimento durante due lunghi decenni, grazie ad un insieme di circostanze create, in parte dalla fortuna e, in parte dal caso. La sua storia incominciò alla fine del 1973, un periodo difficile per la Spagna; la prossima ed inevitabile fine della dittatura di Franco stava risvegliando interrogativi su come si sarebbe conclusa, e soprattutto chi avrebbe occupato il suo posto. La rivoluzione contro il franchismo era nell’aria, e anche nel resto dell’Occidente si respirava un’atmosfera di contestazione, l’opposizione alla guerra del Vietnam, il maggio del’68 francese e l’estate del ’69 in Italia, la Primavera di Praga e infine la Rivoluzione culturale cinese. Il modello rivoluzionario sovietico non costituiva più un riferimento, non era necessario aspettare il Palazzo d’Inverno per cambiare radicalmente la vita. Con tono di sfida, Guy Debord, a capo dei situazionisti, dichiarava che la vita bisognava cambiarla qui e adesso; bisognava eliminare le vecchie formule.
Anche l’arte stava vivendo una fase di fermento, grazie all’influsso della corrente situazionista, e di quanti pensavano che solamente l’arte cambiava la vita, e solo la vita cambiava l’arte, nella misura in cui essa diventasse arte. Bisognava imporsi, non attraverso opere di autori conosciuti, o musei, bensì con una lotta intensa e attiva.
In questo contesto carico di incertezze, Mercedes Buades, fondò una galleria di arte nella città di Madrid, e la inaugurò con ” Proposta di una stagione”, un’esposizione che, oltre ad anticipare il programma futuro, annunciava il suo compromesso con l’arte di “qui e adesso”, proposta dalle circostanze in atto e dall’ultima stagione artistica. Da qui nacque un gruppo eterogeneo che, rompendo gli schemi e le convenzioni in uso, riunì intorno a sé giovani artisti, che utilizzarono mezzi espressivi diversi tra loro. Avevano in comune il fervore e la certezza che l’arte avesse il ruolo di interrogare la realtà, alla quale ognuno di questi artisti rispondeva a modo suo.
La “Proposta di una stagione”, fu più duratura di quello che si pensasse. Vista in prospettiva, dopo aver letto i nomi dei 27 artisti che vi parteciparono, costituì una lucida premonizione dell’arte spagnola nei decenni successivi. Un serio bilancio sull’arte spagnola non può prescindere da nomi di artisti come Antoni Muntadas, Francesc Abad, Nacho Criado, Carlos Franco, Manolo Quejido o Carles Santos. Non può essere tralasciato il nome di Carlos Alcolea, che sebbene morì ancora giovane negli anni ’90, è ampiamente riconosciuto come una figura cruciale nella nuova generazione madrileña.
Certamente il nome di Buades è rimasto, nella memoria culturale spagnola più recente, associato in modo esclusivo ad una generazione artistica, che rivendicò il piacere della pittura, difeso da Marcelin Pleynet in un saggio che ebbe un peso rilevante sui pittori che mostrarono le loro opere nella galleria Buades. Però questo non è altro che un malinteso che può essere attribuito al fatto che Buades fu una delle prime gallerie, dove mostrarono al pubblico le loro opere, non solo Alcolea, ma anche altri pittori che diventarono figure emblematiche di questo movimento, Carlos Franco, Chema Cobo, Herminio Molero, Guillermo Pérez Villalta, e infine Luis Gordillo- il più grande di età- al quale tutti attribuirono il titolo di maestro e di capofila di tale tendenza. E’ evidente che fin dall’inizio e durante la sua storia, Buades scommise su artisti di diversa inclinazione, specialmente su quelli associati al concettualismo.
Di fatto, nello stesso anno della sua fondazione, la galleria espose artisti come Nacho Criado o Alberto Corazón, che avendo partecipato agli Incontri di Pamplona nel 1973, erano diventati figure preminenti nell’ambito del movimento concettualista di allora, con tutto quello che implicava la critica culturale.
Buades aprì le sue porte al gruppo Zaj- integrato da Esther Ferrer, Juan Hidalgo e Walter Marchetti- che già rappresentava un punto di riferimento obbligato nel concettualismo spagnolo ed europeo.
Buades dedicò due costose esposizioni documentarie al Documento di Kassel, che si trasformò negli anni 70 nel principale appuntamento internazionale, per coloro i quali si dedicavano all’arte dopo la filosofia e per quanti avevano deciso di trasformare la propria vita in un’opera d’arte.
Non è esatto attribuire a Buades un atteggiamento di esclusione nei confronti del canone neofigurativo, così come lo stabilirono gli artisti precedentemente citati. Al contrario in questa galleria furono esposte le opere di pittori astratti come Josè Manuel Broto, o Carmengloria Morales, e di pittori che potrebbero essere giudicati in un senso più ampio a livello figurativo, i quali realizzavano la loro arte sotto un altro tipo di prospettiva, come nel caso di Navarro Baldeweg o di Manolo Quejido. Oppure come fu il caso di Ceespe o di César Fernández Arias, ambedue influenzati in modo evidente dai fumetti e dalla grafica pubblicitaria o di strada.
Tratta come tema centrale l’eterogeneità della galleria Buades, la mostra “Spunti di giovane arte italiana” –celebrata alla fine degli anni 80 e curata da Corrado Levi- nella quale pittori propriamente tali, si mescolavano in modo fluido con artisti sperimentali, che esprimevano la loro arte al di fuori o al limite delle frontiere tradizionali prestabilite. E’ necessario inoltre ricordare un pittore, autenticamente stravagante, l’argentino Luis Frangella, trasferitosi a New York, dove morì prematuramente alla fine degli anni 80, la cui originalità si inserì male nei canoni dell’arte neo- figurativa.
Sarebbe necessario sottolineare che, durante il suo esordio, Buades fu più che una semplice galleria d’arte, fu un centro ed un nucleo di agitazione artistica e culturale, nel quale si realizzavano abitualmente conferenze, tavole rotonde e presentazioni di libri, in occasione dei quali si programmava un’intensa attività editoriale che ebbe come frutti diversi cataloghi- concepiti molte volte come opere di arte autonoma e non come meri documenti- e la pubblicazione di due riviste, la principale e la più duratura si chiamava Buades. Il Periodico de arte, incise profondamente sui dibattiti dell’epoca e accolse tra le sue pagine molti scrittori che sarebbero poi divenuti, negli anni successivi, i critici più conosciuti di Madrid: Juan Manuel Bonet, Quico Rivas, Angel González, Miguel Fernández Cid… Per non parlare di quando, in una data così precoce come il 1976, Buades organizzò la Forty London Architects, un’esposizione collettiva coordinata da Peter Cook e Rebecca Collins, nella capitale inglese e da Antonio Fernández Alba e Matha Thorne a Madrid, fu una affascinante panoramica dei nomi e delle tendenze più innovative dell’architettura inglese. Non dimentichiamoci che oltre all’arte, l’architettura si trovava in discussione e l’incertezza condivisa non fece altro che avvicinarle di più.
Dieci anni dopo la nascita della galleria di Buades, il panorama artistico di Madrid si era normalizzato. Le gallerie d’arte diventano un centinaio, mentre prima erano molto poche e il pubblico dell’arte, in passato molto esiguo ma entusiasta, si moltiplica in modo esponenziale e si esibisce allegro e combattivo nell’ARCO- l’esposizione internazionale dell’arte a Madrid- e che farà in modo di convertire l’arte contemporanea in uno spettacolo di massa. La movida di Madrid, un movimento minoritario e underground al quale era molto unita la galleria durante il suo esordio, da circolo notturno per pochi iniziati, si trasforma in un brillante fenomeno mediatico.
Pedro Almodóvar diventa il simbolo di questa improvvisa trasformazione, abbandona i suoi modesti cortometraggi in super 8, che gira durante gli anni 70- esibiti nel corso di una mostra nella galleria Buades, intitolata Films-Arte- per cimentarsi in seducenti commedie a colori, negli anni 80, che lo catapultano nel panorama internazionale delle stelle dello spettacolo.
Gli artisti non rimangono indietro, cambiano e prendono il posto di altri, Buades accompagna questi cambiamenti, senza perdere il suo senso di libertà e il suo desiderio di scommettere su artisti giovani e sconosciuti. La sua traiettoria durante gli anni 80 e 90, ha dimostrato un atteggiamento di fedeltà nei confronti degli artisti con i quali cominciò il suo cammino, come anche il suo interesse nel promuovere nuove figure emergenti. La linea editoriale si mantenne grazie agli editori Abril e Buades, così come la pubblicazione di Buades fino alla metà del 1987, e del Periodico del arte, e le presentazioni dei libri di artisti e critici vicini alla galleria. L’apertura verso l’attuale arte internazionale si manifestò attraverso esposizioni come Le forme della terra, una mostra dedicata all’arte cubana contemporanea e nella quale parteciparono Belkys Ayllón, Tania Bruguera e Marta María Pérez Bravo.
Per quanto riguarda le esposizioni individuali, presso la galleria Buades, è impossibile, dato il poco spazio di queste pagine, occuparsene in modo dettagliato.
Si possono mostrare alcune istantanee di questa storia. Nella prima, appaiono Adolf Schlosser e Eva Lootz, due artisti di origine austriaca stabiliti in Spagna, legati alla galleria dagli anni 70, i quali negli anni 80 e 90, consolidarono un ruolo decisivo nella scena artistica spagnola, grazie ad un’opera nella quale l’utilizzo di materiali naturali, acquista una dimensione simbolica ed una straordinaria accuratezza linguistica. Insieme a loro, Juan Ugalde- un altro artista scoperto molto presto da Buades- che appare nella suddetta scena, con un lavoro di pittura e di fotografia dedicato all’analisi ironica degli stereotipi della cultura pop. Nelle istantanee successive, appaiono Gonzalo Puch con le sue inquietanti e poetiche attrezzature, Marina Núñez e Ana e Helena Cabello Carceller, che, come tante artiste degli anni 90, si sono occupate in modo critico di questioni relative al genere, all’identità e all’immagine del cyborg, un’unione inquietante tra la carne e la macchina.
Con loro la galleria Buades chiuse il ciclo della sua affascinante storia, che ora possiamo rivisitare attraverso questa breve ed intensa selezione di opere esibite da molti artisti nelle sue sale.
Buades, un’importante galleria d’arte di Madrid, fu un punto di riferimento durante due lunghi decenni, grazie ad un insieme di circostanze create, in parte dalla fortuna e, in parte dal caso. La sua storia incominciò alla fine del 1973, un periodo difficile per la Spagna; la prossima ed inevitabile fine della dittatura di Franco stava risvegliando interrogativi su come si sarebbe conclusa, e soprattutto chi avrebbe occupato il suo posto. La rivoluzione contro il franchismo era nell’aria, e anche nel resto dell’Occidente si respirava un’atmosfera di contestazione, l’opposizione alla guerra del Vietnam, il maggio del’68 francese e l’estate del ’69 in Italia, la Primavera di Praga e infine la Rivoluzione culturale cinese. Il modello rivoluzionario sovietico non costituiva più un riferimento, non era necessario aspettare il Palazzo d’Inverno per cambiare radicalmente la vita. Con tono di sfida, Guy Debord, a capo dei situazionisti, dichiarava che la vita bisognava cambiarla qui e adesso; bisognava eliminare le vecchie formule.
Anche l’arte stava vivendo una fase di fermento, grazie all’influsso della corrente situazionista, e di quanti pensavano che solamente l’arte cambiava la vita, e solo la vita cambiava l’arte, nella misura in cui essa diventasse arte. Bisognava imporsi, non attraverso opere di autori conosciuti, o musei, bensì con una lotta intensa e attiva.
In questo contesto carico di incertezze, Mercedes Buades, fondò una galleria di arte nella città di Madrid, e la inaugurò con ” Proposta di una stagione”, un’esposizione che, oltre ad anticipare il programma futuro, annunciava il suo compromesso con l’arte di “qui e adesso”, proposta dalle circostanze in atto e dall’ultima stagione artistica. Da qui nacque un gruppo eterogeneo che, rompendo gli schemi e le convenzioni in uso, riunì intorno a sé giovani artisti, che utilizzarono mezzi espressivi diversi tra loro. Avevano in comune il fervore e la certezza che l’arte avesse il ruolo di interrogare la realtà, alla quale ognuno di questi artisti rispondeva a modo suo.
La “Proposta di una stagione”, fu più duratura di quello che si pensasse. Vista in prospettiva, dopo aver letto i nomi dei 27 artisti che vi parteciparono, costituì una lucida premonizione dell’arte spagnola nei decenni successivi. Un serio bilancio sull’arte spagnola non può prescindere da nomi di artisti come Antoni Muntadas, Francesc Abad, Nacho Criado, Carlos Franco, Manolo Quejido o Carles Santos. Non può essere tralasciato il nome di Carlos Alcolea, che sebbene morì ancora giovane negli anni ’90, è ampiamente riconosciuto come una figura cruciale nella nuova generazione madrileña.
Certamente il nome di Buades è rimasto, nella memoria culturale spagnola più recente, associato in modo esclusivo ad una generazione artistica, che rivendicò il piacere della pittura, difeso da Marcelin Pleynet in un saggio che ebbe un peso rilevante sui pittori che mostrarono le loro opere nella galleria Buades. Però questo non è altro che un malinteso che può essere attribuito al fatto che Buades fu una delle prime gallerie, dove mostrarono al pubblico le loro opere, non solo Alcolea, ma anche altri pittori che diventarono figure emblematiche di questo movimento, Carlos Franco, Chema Cobo, Herminio Molero, Guillermo Pérez Villalta, e infine Luis Gordillo- il più grande di età- al quale tutti attribuirono il titolo di maestro e di capofila di tale tendenza. E’ evidente che fin dall’inizio e durante la sua storia, Buades scommise su artisti di diversa inclinazione, specialmente su quelli associati al concettualismo.
Di fatto, nello stesso anno della sua fondazione, la galleria espose artisti come Nacho Criado o Alberto Corazón, che avendo partecipato agli Incontri di Pamplona nel 1973, erano diventati figure preminenti nell’ambito del movimento concettualista di allora, con tutto quello che implicava la critica culturale.
Buades aprì le sue porte al gruppo Zaj- integrato da Esther Ferrer, Juan Hidalgo e Walter Marchetti- che già rappresentava un punto di riferimento obbligato nel concettualismo spagnolo ed europeo.
Buades dedicò due costose esposizioni documentarie al Documento di Kassel, che si trasformò negli anni 70 nel principale appuntamento internazionale, per coloro i quali si dedicavano all’arte dopo la filosofia e per quanti avevano deciso di trasformare la propria vita in un’opera d’arte.
Non è esatto attribuire a Buades un atteggiamento di esclusione nei confronti del canone neofigurativo, così come lo stabilirono gli artisti precedentemente citati. Al contrario in questa galleria furono esposte le opere di pittori astratti come Josè Manuel Broto, o Carmengloria Morales, e di pittori che potrebbero essere giudicati in un senso più ampio a livello figurativo, i quali realizzavano la loro arte sotto un altro tipo di prospettiva, come nel caso di Navarro Baldeweg o di Manolo Quejido. Oppure come fu il caso di Ceespe o di César Fernández Arias, ambedue influenzati in modo evidente dai fumetti e dalla grafica pubblicitaria o di strada.
Tratta come tema centrale l’eterogeneità della galleria Buades, la mostra “Spunti di giovane arte italiana” –celebrata alla fine degli anni 80 e curata da Corrado Levi- nella quale pittori propriamente tali, si mescolavano in modo fluido con artisti sperimentali, che esprimevano la loro arte al di fuori o al limite delle frontiere tradizionali prestabilite. E’ necessario inoltre ricordare un pittore, autenticamente stravagante, l’argentino Luis Frangella, trasferitosi a New York, dove morì prematuramente alla fine degli anni 80, la cui originalità si inserì male nei canoni dell’arte neo- figurativa.
Sarebbe necessario sottolineare che, durante il suo esordio, Buades fu più che una semplice galleria d’arte, fu un centro ed un nucleo di agitazione artistica e culturale, nel quale si realizzavano abitualmente conferenze, tavole rotonde e presentazioni di libri, in occasione dei quali si programmava un’intensa attività editoriale che ebbe come frutti diversi cataloghi- concepiti molte volte come opere di arte autonoma e non come meri documenti- e la pubblicazione di due riviste, la principale e la più duratura si chiamava Buades. Il Periodico de arte, incise profondamente sui dibattiti dell’epoca e accolse tra le sue pagine molti scrittori che sarebbero poi divenuti, negli anni successivi, i critici più conosciuti di Madrid: Juan Manuel Bonet, Quico Rivas, Angel González, Miguel Fernández Cid… Per non parlare di quando, in una data così precoce come il 1976, Buades organizzò la Forty London Architects, un’esposizione collettiva coordinata da Peter Cook e Rebecca Collins, nella capitale inglese e da Antonio Fernández Alba e Matha Thorne a Madrid, fu una affascinante panoramica dei nomi e delle tendenze più innovative dell’architettura inglese. Non dimentichiamoci che oltre all’arte, l’architettura si trovava in discussione e l’incertezza condivisa non fece altro che avvicinarle di più.
Dieci anni dopo la nascita della galleria di Buades, il panorama artistico di Madrid si era normalizzato. Le gallerie d’arte diventano un centinaio, mentre prima erano molto poche e il pubblico dell’arte, in passato molto esiguo ma entusiasta, si moltiplica in modo esponenziale e si esibisce allegro e combattivo nell’ARCO- l’esposizione internazionale dell’arte a Madrid- e che farà in modo di convertire l’arte contemporanea in uno spettacolo di massa. La movida di Madrid, un movimento minoritario e underground al quale era molto unita la galleria durante il suo esordio, da circolo notturno per pochi iniziati, si trasforma in un brillante fenomeno mediatico.
Pedro Almodóvar diventa il simbolo di questa improvvisa trasformazione, abbandona i suoi modesti cortometraggi in super 8, che gira durante gli anni 70- esibiti nel corso di una mostra nella galleria Buades, intitolata Films-Arte- per cimentarsi in seducenti commedie a colori, negli anni 80, che lo catapultano nel panorama internazionale delle stelle dello spettacolo.
Gli artisti non rimangono indietro, cambiano e prendono il posto di altri, Buades accompagna questi cambiamenti, senza perdere il suo senso di libertà e il suo desiderio di scommettere su artisti giovani e sconosciuti. La sua traiettoria durante gli anni 80 e 90, ha dimostrato un atteggiamento di fedeltà nei confronti degli artisti con i quali cominciò il suo cammino, come anche il suo interesse nel promuovere nuove figure emergenti. La linea editoriale si mantenne grazie agli editori Abril e Buades, così come la pubblicazione di Buades fino alla metà del 1987, e del Periodico del arte, e le presentazioni dei libri di artisti e critici vicini alla galleria. L’apertura verso l’attuale arte internazionale si manifestò attraverso esposizioni come Le forme della terra, una mostra dedicata all’arte cubana contemporanea e nella quale parteciparono Belkys Ayllón, Tania Bruguera e Marta María Pérez Bravo.
Per quanto riguarda le esposizioni individuali, presso la galleria Buades, è impossibile, dato il poco spazio di queste pagine, occuparsene in modo dettagliato.
Si possono mostrare alcune istantanee di questa storia. Nella prima, appaiono Adolf Schlosser e Eva Lootz, due artisti di origine austriaca stabiliti in Spagna, legati alla galleria dagli anni 70, i quali negli anni 80 e 90, consolidarono un ruolo decisivo nella scena artistica spagnola, grazie ad un’opera nella quale l’utilizzo di materiali naturali, acquista una dimensione simbolica ed una straordinaria accuratezza linguistica. Insieme a loro, Juan Ugalde- un altro artista scoperto molto presto da Buades- che appare nella suddetta scena, con un lavoro di pittura e di fotografia dedicato all’analisi ironica degli stereotipi della cultura pop. Nelle istantanee successive, appaiono Gonzalo Puch con le sue inquietanti e poetiche attrezzature, Marina Núñez e Ana e Helena Cabello Carceller, che, come tante artiste degli anni 90, si sono occupate in modo critico di questioni relative al genere, all’identità e all’immagine del cyborg, un’unione inquietante tra la carne e la macchina.
Con loro la galleria Buades chiuse il ciclo della sua affascinante storia, che ora possiamo rivisitare attraverso questa breve ed intensa selezione di opere esibite da molti artisti nelle sue sale.
23
gennaio 2004
La Galeria Buades de Madrid
Dal 23 gennaio al 23 febbraio 2004
arte contemporanea
Location
INSTITUTO CERVANTES (NAVONA)
Roma, Piazza Navona, 91, (Roma)
Roma, Piazza Navona, 91, (Roma)
Vernissage
23 Gennaio 2004, ore 19.00