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La natura delicata di Enrico Reycend
La Fondazione Accorsi-Ometto prosegue nel suo intento di riscoperta dei pittori piemontesi dell’Ottocento, dedicando una mostra a un artista torinese, Enrico Reycend, troppo a lungo dimenticato dalla critica e dalla storia dell’arte novecentesche.
Comunicato stampa
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L’esposizione, a cura di Giuseppe Luigi Marini e in collaborazione con lo Studio Berman di Giuliana Godio, è particolarmente significativa perché presenta una panoramica dell’attività del pittore attraverso una settantina di opere che vanno dagli esordi espositivi agli anni tardi della sua produzione.
Enrico Reycend nacque a Torino il 3 novembre 1855. La sua famiglia discendeva da librai e mercanti d’arte di Monestier de Briançon, nel Delfinato, che nel 1675 si trasferirono a Torino e portarono avanti una proficua attività fino al 1863.
Reycend studiò all’Accademia Albertina, lasciandola nel 1872 senza diplomarsi. Esordì alla Promotrice nel 1873 con due paesaggi della periferia urbana dove Antonio Fontanesi conduceva gli allievi a lavorare en plein air. Dal 1874 al 1920 espose anche nelle sale del Circolo degli artisti.
Da artista solitario e schivo, ma dotato di una marcata individualità, Reycend in pochi anni raggiunse un proprio linguaggio pittorico, allontanandosi dalla pittura di Fontanesi.
Nel 1878 partecipò all’Esposizione universale di Parigi, dove vide direttamente la pittura di Jean-Baptiste Camille Corot, che considerava, come Fontanesi e i paesisti di Rivara, il maggior innovatore della pittura. Dal 1881 espose in diverse città italiane, diventando un’alternativa, più intimista e poetica, al verismo di Delleani; nuovamente a Parigi nel 1890 e nel 1900 e dal primo decennio del Novecento anche nel resto d’Europa, negli Stati Uniti e in America del Sud. Divenne socio onorario di Brera e prese parte alle prime tre Biennali di Venezia.
Con lo scoppio del conflitto mondiale il pittore ricevette i primi rifiuti da parte di varie giurie: i suoi dipinti sembravano ormai superati, rispetto a una pittura più alla moda e alle sperimentazioni avanguardistiche del primo Novecento. Più avanti, oppresso dalle difficoltà economiche, si limitò a replicare i medesimi soggetti, perdendo quel tratto personale che l’aveva per lungo tempo contraddistinto.
A metà degli anni Venti, giunse il tracollo economico: casa Reycend di via Villa della Regina 30, che i genitori avevano acquistato a fine Ottocento, fu venduta e l’artista andò in affitto in poche stanze in via Lagrange 29, dove morì il 21 febbraio 1928. La sua figura cadde immeritatamente nell’oblio: dal suo esordio nel 1873 al giorno della morte, era passato mezzo secolo e l’arte italiana era stata attraversata da un’impressionante accelerazione progressiva che ne aveva trasformato i linguaggi e le idee. La sua opera, pertanto, venne condannata, come in generale l’Ottocento italiano, a espressione di una cultura attardata, sostanzialmente ‘provinciale’.
La vera «riscoperta» dell’artista e delle caratteristiche «uniche» del suo personalissimo linguaggio poetico nel paesisimo, piemontese e non solo, del tardo Ottocento e del primo Novecento, dovette attendere l’autorevole intervento di Roberto Longhi, che non si limitò alla Biennale di Venezia del 1952, quando, occupandosi dei «paesisti piemontesi», aggiunse alla triade Fontanesi – Avondo – Delleani il nome e le opere di Reycend e scrisse del valore dell’artista, e poi, sulle pagine della rivista «Paragone», rivelò la propria attenzione, anche come collezionista in prima persona nei confronti di quel misconosciuto artista. Lo riconobbe come il più informato pittore del proprio tempo per l’originale linguaggio di tangenza impressionista: un interesse e un’attrazione che aveva convinto lo storico dell’arte a mettere insieme una piccola, ma selezionata collezione di sue opere che, sempre nel 1952, con generosa liberalità, donò alla Galleria d’Arte Moderna di Torino.
Da quel momento tutta la critica, in primis quella piemontese, fece a gara per valorizzare e approfondire l’originale pittore sino ad allora praticamente ignorato: a cominciare dalla grande retrospettiva di ben 110 dipinti organizzata dalla Galleria Fogliato di Torino nel 1955. La rassegna era accompagnata da un ricchissimo e illustratissimo catalogo di quanto esposto, firmato da Michele Biancale e con un ampio saggio introduttivo di Marziano Bernardi.
A prescindere dalla presenza di opere e dal meritato riconoscimento critico del pittore torinese in numerose rassegne, in realtà, la sola, importante «rievocativa», ricca di 79 dipinti, venne allestita nell’estate 1989 al Palazzo – Liceo Saracco di Acqui Terme, curata da Angelo Dragone.
Dopo quasi trent’anni dall’ultima esposizione, è doveroso, quindi, rendere omaggio a questo grande artista che, nelle sue pennellate dai colori vivaci e nello spezzettarsi della luce, seppe riprodurre l’ambiente circostante con particolare sensibilità.
Enrico Reycend nacque a Torino il 3 novembre 1855. La sua famiglia discendeva da librai e mercanti d’arte di Monestier de Briançon, nel Delfinato, che nel 1675 si trasferirono a Torino e portarono avanti una proficua attività fino al 1863.
Reycend studiò all’Accademia Albertina, lasciandola nel 1872 senza diplomarsi. Esordì alla Promotrice nel 1873 con due paesaggi della periferia urbana dove Antonio Fontanesi conduceva gli allievi a lavorare en plein air. Dal 1874 al 1920 espose anche nelle sale del Circolo degli artisti.
Da artista solitario e schivo, ma dotato di una marcata individualità, Reycend in pochi anni raggiunse un proprio linguaggio pittorico, allontanandosi dalla pittura di Fontanesi.
Nel 1878 partecipò all’Esposizione universale di Parigi, dove vide direttamente la pittura di Jean-Baptiste Camille Corot, che considerava, come Fontanesi e i paesisti di Rivara, il maggior innovatore della pittura. Dal 1881 espose in diverse città italiane, diventando un’alternativa, più intimista e poetica, al verismo di Delleani; nuovamente a Parigi nel 1890 e nel 1900 e dal primo decennio del Novecento anche nel resto d’Europa, negli Stati Uniti e in America del Sud. Divenne socio onorario di Brera e prese parte alle prime tre Biennali di Venezia.
Con lo scoppio del conflitto mondiale il pittore ricevette i primi rifiuti da parte di varie giurie: i suoi dipinti sembravano ormai superati, rispetto a una pittura più alla moda e alle sperimentazioni avanguardistiche del primo Novecento. Più avanti, oppresso dalle difficoltà economiche, si limitò a replicare i medesimi soggetti, perdendo quel tratto personale che l’aveva per lungo tempo contraddistinto.
A metà degli anni Venti, giunse il tracollo economico: casa Reycend di via Villa della Regina 30, che i genitori avevano acquistato a fine Ottocento, fu venduta e l’artista andò in affitto in poche stanze in via Lagrange 29, dove morì il 21 febbraio 1928. La sua figura cadde immeritatamente nell’oblio: dal suo esordio nel 1873 al giorno della morte, era passato mezzo secolo e l’arte italiana era stata attraversata da un’impressionante accelerazione progressiva che ne aveva trasformato i linguaggi e le idee. La sua opera, pertanto, venne condannata, come in generale l’Ottocento italiano, a espressione di una cultura attardata, sostanzialmente ‘provinciale’.
La vera «riscoperta» dell’artista e delle caratteristiche «uniche» del suo personalissimo linguaggio poetico nel paesisimo, piemontese e non solo, del tardo Ottocento e del primo Novecento, dovette attendere l’autorevole intervento di Roberto Longhi, che non si limitò alla Biennale di Venezia del 1952, quando, occupandosi dei «paesisti piemontesi», aggiunse alla triade Fontanesi – Avondo – Delleani il nome e le opere di Reycend e scrisse del valore dell’artista, e poi, sulle pagine della rivista «Paragone», rivelò la propria attenzione, anche come collezionista in prima persona nei confronti di quel misconosciuto artista. Lo riconobbe come il più informato pittore del proprio tempo per l’originale linguaggio di tangenza impressionista: un interesse e un’attrazione che aveva convinto lo storico dell’arte a mettere insieme una piccola, ma selezionata collezione di sue opere che, sempre nel 1952, con generosa liberalità, donò alla Galleria d’Arte Moderna di Torino.
Da quel momento tutta la critica, in primis quella piemontese, fece a gara per valorizzare e approfondire l’originale pittore sino ad allora praticamente ignorato: a cominciare dalla grande retrospettiva di ben 110 dipinti organizzata dalla Galleria Fogliato di Torino nel 1955. La rassegna era accompagnata da un ricchissimo e illustratissimo catalogo di quanto esposto, firmato da Michele Biancale e con un ampio saggio introduttivo di Marziano Bernardi.
A prescindere dalla presenza di opere e dal meritato riconoscimento critico del pittore torinese in numerose rassegne, in realtà, la sola, importante «rievocativa», ricca di 79 dipinti, venne allestita nell’estate 1989 al Palazzo – Liceo Saracco di Acqui Terme, curata da Angelo Dragone.
Dopo quasi trent’anni dall’ultima esposizione, è doveroso, quindi, rendere omaggio a questo grande artista che, nelle sue pennellate dai colori vivaci e nello spezzettarsi della luce, seppe riprodurre l’ambiente circostante con particolare sensibilità.
26
settembre 2018
La natura delicata di Enrico Reycend
Dal 26 settembre 2018 al 20 gennaio 2019
arte moderna e contemporanea
Location
FONDAZIONE ACCORSI – OMETTO MUSEO DI ARTI DECORATIVE
Torino, Via Po, 55, (Torino)
Torino, Via Po, 55, (Torino)
Biglietti
Intero € 8,00; ridotto € 6,00*
Mostra con visita guidata (da martedì a venerdì ore 11 e 17; sabato, domenica e festivi anche ore 18): € 4,00 oltre al biglietto d’ingresso
*Ridotto: studenti fino a 26 anni; over 65; convenzioni; insegnanti
Gratuito: bambini fino a 12 anni; possessori Abbonamento Musei e Torino + Piemonte card; diversamente abili + un accompagnatore
Orario di apertura
Da martedì a venerdì 10 – 13; 14 – 18
Sabato, domenica e festivi: 10 – 13; 14 – 19
Lunedì chiuso
Vernissage
26 Settembre 2018, Ore 18.00 solo su invito
Autore
Curatore