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L’Arte dei Lobi
I Lobi abitano per lo più nel Burkina Faso. Fino agli anni ’30, hanno difeso strenuamente il loro territorio dalla presenza francese e, in seguito, la loro cultura tradizionale ha resistito più di altre all’assimilazione.
Comunicato stampa
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I Lobi abitano per lo più nel Burkina Faso. Fino agli anni '30, hanno difeso strenuamente il loro territorio dalla presenza francese e, in seguito, la loro cultura tradizionale ha resistito più di altre all'assimilazione.
Queste statuette ed altri oggetti, tutti testimonianti la presenza di antenati e spiriti tutelari, erano destinate al thildu, il sacrario familiare (thil: 'spirito', du: 'stanza').
Il sacrario è il luogo più segreto dell'abitazione, in cui i Lobi conservano la memoria delle proprie origini. E' un luogo angusto, dove diversi oggetti sono accumulati lungo le pareti secondo un ordine decifrabile soltanto dal capofamiglia. Vi si accede abbandonando progressivamente la luce del giorno: un percorso 'labirintico' verso il 'profondo', nel cui ultimo tratto unica guida resta la memoria. Un piccolo foro praticato nel soffitto lascia trasparire un filo di luce che, evidenziando ora l'uno ora l'altro oggetto, interloquisce con la loro disposizione. Lo spazio centrale è lasciato vuoto per il capofamiglia, sacerdote e custode delle potenze ancestrali, il solo che sa interrogarle, esserne interprete ed eseguirne i dispositivi. Gli oggetti, infatti, in quel luogo, interagiscono e comunicano con lui in un modo che noi diciamo 'magico' e spieghiamo imputandolo all''animismo' proprio della cultura lobi.
La scultura dei Lobi è stata una scoperta tardiva dell'Occidente (fine degli anni '60). Il primo evento che ebbe una certa risonanza nel mercato dell'arte fu la mostra - Les Lobi -, che Jacques Kerchache organizzò a Parigi nel 1974.
Decontestualizzate, queste figure sono entrate in un altro mondo, quello dell'arte occidentale: nuovi spazi, Gallerie, Musei o case di collezionisti; nuove cure, non più aspersioni sacrificali che ne modifichino la superficie ma pratiche conservative; nuova luce, non più il raggio erratico del sole ma faretti ben direzionati ad evidenziarne la forma; nuove interrogazioni o circuiti discorsivi, dove diventano referenti dei medesimi luoghi retorici, usati per l'arte occidentale. Così, se ne parla in termini di stile e di contenuti iconografici, come di realizzazioni che raggiungono una potente tensione espressiva, disdegnando ogni descrizione aneddotica, ogni preziosismo di modellato, ogni effetto di patinatura. E, parlandone in questo modo, si promuove o si legittima la loro inclusione nei circuiti in cui transitano o soggiornano gli oggetti d'arte di qualsivoglia provenienza.
Le sculture di questa mostra provengono da vecchie collezioni, ossia da antichi culti e da più recenti amori.
Un suggerimento agli amici che vorranno visitarci: non possiamo ignorare i modi del mondo dell'arte occidentale, cui ormai queste sculture appartengono, ma, riconoscendoli e percorrendoli, possiamo anche sfidarli e provare a liberarci dai loro vincoli a favore di una relazione con esse di tipo 'estetico', che, seppure diversa e diversamente, rievochi quella 'magica' che originariamente richiedevano ed imponevano.
Queste statuette ed altri oggetti, tutti testimonianti la presenza di antenati e spiriti tutelari, erano destinate al thildu, il sacrario familiare (thil: 'spirito', du: 'stanza').
Il sacrario è il luogo più segreto dell'abitazione, in cui i Lobi conservano la memoria delle proprie origini. E' un luogo angusto, dove diversi oggetti sono accumulati lungo le pareti secondo un ordine decifrabile soltanto dal capofamiglia. Vi si accede abbandonando progressivamente la luce del giorno: un percorso 'labirintico' verso il 'profondo', nel cui ultimo tratto unica guida resta la memoria. Un piccolo foro praticato nel soffitto lascia trasparire un filo di luce che, evidenziando ora l'uno ora l'altro oggetto, interloquisce con la loro disposizione. Lo spazio centrale è lasciato vuoto per il capofamiglia, sacerdote e custode delle potenze ancestrali, il solo che sa interrogarle, esserne interprete ed eseguirne i dispositivi. Gli oggetti, infatti, in quel luogo, interagiscono e comunicano con lui in un modo che noi diciamo 'magico' e spieghiamo imputandolo all''animismo' proprio della cultura lobi.
La scultura dei Lobi è stata una scoperta tardiva dell'Occidente (fine degli anni '60). Il primo evento che ebbe una certa risonanza nel mercato dell'arte fu la mostra - Les Lobi -, che Jacques Kerchache organizzò a Parigi nel 1974.
Decontestualizzate, queste figure sono entrate in un altro mondo, quello dell'arte occidentale: nuovi spazi, Gallerie, Musei o case di collezionisti; nuove cure, non più aspersioni sacrificali che ne modifichino la superficie ma pratiche conservative; nuova luce, non più il raggio erratico del sole ma faretti ben direzionati ad evidenziarne la forma; nuove interrogazioni o circuiti discorsivi, dove diventano referenti dei medesimi luoghi retorici, usati per l'arte occidentale. Così, se ne parla in termini di stile e di contenuti iconografici, come di realizzazioni che raggiungono una potente tensione espressiva, disdegnando ogni descrizione aneddotica, ogni preziosismo di modellato, ogni effetto di patinatura. E, parlandone in questo modo, si promuove o si legittima la loro inclusione nei circuiti in cui transitano o soggiornano gli oggetti d'arte di qualsivoglia provenienza.
Le sculture di questa mostra provengono da vecchie collezioni, ossia da antichi culti e da più recenti amori.
Un suggerimento agli amici che vorranno visitarci: non possiamo ignorare i modi del mondo dell'arte occidentale, cui ormai queste sculture appartengono, ma, riconoscendoli e percorrendoli, possiamo anche sfidarli e provare a liberarci dai loro vincoli a favore di una relazione con esse di tipo 'estetico', che, seppure diversa e diversamente, rievochi quella 'magica' che originariamente richiedevano ed imponevano.
02
marzo 2005
L’Arte dei Lobi
Dal 02 marzo al 02 aprile 2005
arte etnica
Location
GALLERIA AKKA
Roma, Via Del Pie' Di Marmo, 13, (Roma)
Roma, Via Del Pie' Di Marmo, 13, (Roma)
Vernissage
2 Marzo 2005, ore 18