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Laura Pugno – L’invisibilità dell’inverno
La mostra L’invisibilità dell’inverno di Laura Pugno ripercorre con nuovi interrogativi la dimensione del paesaggio come luogo che contiene elementi culturali ogni volta da riscoprire.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
****ENGLISH BELOW****
La galleria Alberto Peola presenta L'invisibilità dell'inverno, la quarta personale in galleria dell'artista Laura Pugno (Trivero, 1975).
La memoria bianca di Manuela Pacella
La verità ultima sui fiocchi di neve è che diventano individualmente più diversi man mano che scendono. Maltrattati dal vento e dal tempo, vengono tradotti come per magia in disegni più strani e complessi, sino a quando, finalmente, toccano terra. E allora, come noi, si sciolgono. Adam Gopnick1
L’immagine iconica del fiocco di neve nasce alla fine dell’Ottocento grazie al repertorio fotografico di oltre 5000 cristalli ritratti dallo statunitense Wilson “Snowflake” Bentley. Esattamente come accadde con l’inglese Eadweard Muybridge, grazie al quale nel 1878 si scoprì l’effettivo movimento di un cavallo in corsa, la scoperta della “realtà” grazie alla fotografia non consentì più un passo falso nella rappresentazione del mondo. Ma se Muybridge permise una correzione di errore – i cavalli non appaiono più con le quattro zampe sollevate all’unisono se non, forse, solo in quelli a dondolo per bambini – Bentley contribuì, invece, a un’ulteriore proiezione immaginifica verso quel fenomeno naturale grazie al quale il mondo si silenzia per conservare integra la gemma della successiva genesi. Bentley selezionò unicamente i cristalli più complessi e perfetti e determinò non solo una specifica narrativa della neve – natalizia e non – ma alimentò l’idea che l’esclusività dei fiocchi fosse il riflesso di quella dell’animo umano. All’unicità genetica si aggiunse inoltre quella esperienziale un secolo dopo, quando nel 1988 Nancy Knight scoprì che in partenza due cristalli sono assolutamente identici e «ad alterarli è la loro discesa dalle nuvole sulla terra»2.
Formazione dell’individualità in una caduta sempre più accelerata, tanto da determinare oramai solo egocentrica separazione dell’uomo dal resto del mondo. Una collisione inevitabile, di un’era geologica definita Antropocene, che potrebbe essere attenuata se non addirittura evitata, grazie a una sensibilizzazione che viene sia dalla giovane generazione spoglia di futuro sia dall’attività di artisti la cui visione a volo d’uccello ci restituisce una permeabilità delle e sulle cose, dandoci ancora la possibilità di scioglierci a terra piuttosto che collidere con essa in uno scontro senza vincitori.
Tra questi artisti vi è di certo Laura Pugno – classe 1975 – che del paesaggio, prevalentemente montano, della veduta e dello sguardo tattile sul mondo, fa il perno della sua produzione. Le sue opere sono continui inviti nel paesaggio, un’analisi di sconfinamento tra soggetto e oggetto, un tentativo senza sosta di offuscare la vista, in modo particolare quella che pone l’uomo al centro del mondo e svelarne il doppio falso, non solo emozionale-soggettivo ma anche culturale-occidentale.
In un ciclo di lavori dal titolo Morphogenesis (uno dedicato a Dürer del 2015 e l’altro a Mantegna del 2017) Pugno indirizza l’attenzione verso una questione apparentemente semplice, ossia i diversi approcci stilistici nella rappresentazione pittorica del paesaggio, che racchiude una critica molto più profonda e di difficile ammissione per chi si è formato con la storia dell’arte italiana, ossia la totale falsità di quelle vedute che si basavano su nozioni matematiche e oggettive.
Ma oggi siamo in caduta libera e le prospettive sul mondo si sono fatte molteplici, sovrapposte e verticali come ben spiega Hito Steyerl in un importante testo del 2011 pubblicato su “e-flux journal”. Ciò che forse all’epoca non era del tutto chiaro, è la questione del controllo del nostro sguardo. Se oggi è evidente che siamo osservati e indirizzati costantemente, da tecnologie online, dall’alto e di fronte ai nostri occhi schermati, nel Rinascimento e sino all’Ottocento la nostra cara prospettiva lineare dominava il mondo a colpi di punti di fuga definiti come reali matematici, dando allora come ora l’illusione della nostra libertà individuale. «Il punto di fuga dà all’osservatore un corpo e una posizione. […] Mentre potenzia il soggetto posizionandolo al centro della visione, la prospettiva lineare mina anche l’individualità dello spettatore sottoponendola a leggi di rappresentazione apparentemente oggettive» 3. Ed ecco, quindi, che Pugno decide di intervenire direttamente sulle sue rappresentazioni fotografiche di paesaggio abradendo con la carta vetro quei confini troppo netti che oramai sono stretti, falsi, inopportuni (serie di lavori dal 2012) o si rende consapevole del suo corpo nel contesto naturale in opere realizzate in un ben diverso en plein air da quello dell’Ottocento. Mi riferisco, ad esempio, a Landscape behind you del 2011-2012 in cui l’artista è andata in alta quota a incidere su lastre di plexiglas il paesaggio che vi si specchiava, non solo ponendosi di spalle alla veduta, ma volutamente lasciando un vuoto centrale nel disegno, ossia quello del suo corpo, presenza fisica umana che in questo caso corrisponde ad assenza di una porzione di paesaggio.
L’invisibilità dell’inverno è il significativo titolo di due tappe espositive di Pugno del 2019 (presso SRISA Gallery di Firenze, a cura di Pietro Gaglianò e presso Alberto Peola a Torino) ma è anche la cornice concettuale che racchiude una stagione della sua produzione in cui la passione per la montagna e l’inverno e l’analisi dei cambiamenti climatici causati dall’uomo diviene urgente e più diretta. Voler dare forma e colore a qualcosa di labile come la neve persegue un istinto di conservazione mnemonica di qualcosa che non è solo passeggero perché stagionale ma rischia di vanificarsi per sempre. Le opere in mostra da Peola hanno tutte richiesto da parte dell’artista un essere nel luogo, tra la neve, perché «l'apprezzamento estetico della natura, a livello di foreste e paesaggi, richiede partecipazione incondizionata, immersione e lotta» 4.
In Moto per luogo ritorna l’idea dell’abrasione ma questa volta è causata dal corpo stesso di Pugno: dopo aver fotografato diverse località del Piemonte e stampato le immagini su grandi lastre di alluminio, l’artista torna negli stessi luoghi e abrade la fotografia usandola come slittino, memore di certo anche del boom tutto ottocentesco e britannico degli sport invernali nelle Alpi svizzere.
La serie di sculture bianche A futura memoria, poggiate su un fondo cangiante, uniscono all’artificialità della jesmonite (sistema acrilico a base di acqua) la veridicità e l’invisibilità, appunto, della neve. Quello che le sculture mostrano è la parte interna della neve che viene donata alla vista e soprattutto al tatto come residuo archivistico per il futuro, con l’ambizioso tentativo di farne un corposo repertorio, come quello di Bentley a cui Pugno dedica un’altra serie di lavori in mostra, in parte anche realizzati nella sua ultima residenza in Lituania, a Nida Art Colony. In Omaggio a Wilson Bentley vi è, inoltre, un diretto richiamo al
processo fotografico; per imprimere l’immagine della neve sulla carta o la tela, Pugno ha dovuto aspettare il tempo naturale dello scioglimento della neve da lei colorata (bianca su carta marrone o blu su tela bianca).
Nelle sue frequenti escursioni in alta quota come nelle sue lunghe residenze al Nord del mondo Pugno sembra aver ben presente il ruolo cruciale che la linea dell’orizzonte ha svolto per secoli nel nostro senso dell’orientamento, come nella concezione del tempo e dello spazio. La stabilità della linea dell’orizzonte «dipende dalla stabilità di un osservatore, che si pensa sia situato su un terreno che può essere immaginato stabile, anche se in realtà non lo è» 5.
Cosa accade, quindi, se l’artista sceglie di rendere consapevole lo spettatore della sua non centralità, della sua totale precarietà forzandolo a guardare una fotografia di un orizzonte in cui neve e cielo si fondono, posta su una parete inclinata a 23 gradi come l’asse terrestre? Si spera in una consapevolezza immediata, perché fisica, che da quella delicata inclinazione dipenda ogni cosa.
1Adam Gopnik, L’invenzione dell’inverno, Ugo Guanda Editore, Milano 2016 [2011], p.56.
2Ibid.
3Hito Steyerl, In Free Fall. A Thought Experiment on Vertical Perspective, in “e-flux journal”, issue 24, April 2011.
4Holmes Rolston III, The Aesthetics Experience of Forests, in Allen Carlson and Arnold Berleant, The Aesthetics of Natural Environments, Broadview Press,2004, p.189.
5Hito Steyerl, In Free Fall, cit.
Laura Pugno (Trivero, 1975) vive e lavora a Torino. Ha esposto presso musei e fondazioni tra i quali segnaliamo: Nida Art Colony, Lituania; Fondazione del Monte, Bologna; Forum Stadtpark, Graz; Museo della Montagna, Torino; Casa Masaccio, Arezzo; Fondazione Zegna, Trivero; Magasin, Grenoble; MART di Trento e Rovereto; MAN, Nuoro; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Tra i premi vinti ricordiamo il Premio Cairo nel 2013.
*****ENGLISH TRANSLATION ************
Opening: Thursday May 23, 2019 | 7-9 pm
Exhibition: May 24 - June 29 2019
Tuesday to Saturday 3-7 pm. Mornings by appointment
The Alberto Peola gallery is pleased to host and present The invisibility of winter, Laura Pugno’s solo exhibition.
"White Memory", by Manuela Pacella
For the final truth about snowflakes is that they become more individual as they fall—that, buffeted by wind and time, they are translated, as if by magic, into ever more strange and complex patterns, until, at last, like us, they touch earth. Then, like us, they melt. Adam Gopnick1
The familiar, iconic image of a snowflake was born at the end of the nineteenth century thanks to the photographic repertoire of over 5000 snow crystals captured by American photographer Wilson "Snowflake" Bentley. Just as the English photographer Eadweard Muybridge, captured the real motion of a running horse in 1878, the discovery of "reality" thanks to photography no longer allowed false steps in the representation of the world. But if Muybridge corrected errors in representation – horses no longer appear to have all four legs raised in unison except, perhaps, in children’s rocking horses – Bentley contributed, instead, to a further imaginative projection towards that natural phenomenon thanks to which the world silences itself to preserve intact the bud of future genesis. Bentley selected only the most complex and perfect snow crystals and established not only a specific narrative of snow – whether associated with Christmas or not – he also fostered the idea that the exclusivity of snowflakes was a reflection of the human soul. A century later, experiential uniqueness was added to genetic uniqueness when, in 1988, cloud scientist Nancy Knight discovered that «while it’s true that snowflakes often start out alike, it is their descent from the clouds into the world that makes them alter»2.
The formation of individuality in an increasingly accelerated free-fall suggests the egocentric separation of man from the rest of the world: an inevitable collision with the Anthropocene era, which though unavoidable could be mitigated thanks to an awareness that comes both from the younger generation stripped of its future and from the activity of artists whose bird's eye view gives us back a permeability of and into things, giving us the possibility to dissolve ourselves, melting into the ground rather than colliding with it in a clash without victors.
Laura Pugno is certainly one of these artists. Pugno – born in 1975 – makes her predominantly mountain landscapes, panoramic views and tactile gaze on the world the cornerstones of her artistic production. Her works are continuous invitations into the landscape, an analysis of encroachment between subject and object, an endless attempt to blur one’s view, in particular the one that places man at the center of the world and reveals its double falsehood, not only emotional-subjective but also culturalwestern.
In a cycle of works titled Morphogenesis (one dedicated to Dürer in 2015 and the other to Mantegna in 2017), Pugno draws attention to a seemingly simple issue, namely the different stylistic approaches in the pictorial representation of the landscape, which contains a critique that is much more profound and difficult to accept for those who studied the history of Italian art, namely the complete falseness of those views which were based on mathematical and objective notions.
But today we are in free fall and perspectives on the world have multiplied, becoming overlapping and vertical, as Hito Steyerl explains in an important 2011 article published in "e-flux journal". What was perhaps not entirely clear at the time is the question of the control of our gaze. If today it is evident that we are constantly observed and directed by online technologies from above and in front of our screen-focused eyes, in the Renaissance and until the nineteenth century our dear linear perspective dominated the world with vanishing points defined as mathematical realities, giving us then as now the illusion of individual freedom. «The vanishing point gives the observer a body and a position. […] While empowering the subject by placing it at the center of vision, linear perspective also undermines the viewer’s individuality by subjecting it to supposedly objective laws of representation»3. It is here, then, that Pugno decides to intervene directly on her photographic representations of landscapes by abrading with sandpaper those boundaries that are now too distinct, narrow, false and inappropriate (her series of works from 2012) or she becomes aware of her body in the natural context in works created in a very different en plein air from that of the nineteenth century. I am referring, for example, to Landscape Behind You from 2011-2012 in which the artist went to high altitudes to etch on plexiglass sheets the landscape that was mirrored there, not only by turning her back to the view but also by deliberately leaving a central void in the drawing – that of her body, a physical human presence that in this case corresponds to the absence of a portion of the landscape.
L’invisibilità dell’inverno (The invisibility of winter) is the meaningful title of two of Pugno’s exhibitions in 2019 (at SRISA Gallery in Florence, curated by Pietro Gaglianò, and at Alberto Peola’s gallery in Turin) but it is also the conceptual framework that contains a season of her production in which her passion for mountains and winter and the analysis of climate change caused by man become urgent and more direct. Trying to give shape and color to something as ephemeral as snow, it pursues an instinct for the preservation in memory of something that is not only fleeting because it is seasonal but risks disappearing forever. The works exhibited at Peola have all required the artist to be in situ, in the snow, because «the aesthetic appreciation of nature, at the level of forests and landscapes, requires unconditional participation, immersion and struggle»4.
In Moto per luogo (Moving through the place), the idea of abrasion returns, but this time it is caused by Pugno’s body itself: after having photographed several places in Piedmont and printed the images on large aluminium sheets, the artist returns to the same places and abrades each photograph by using it as a snow sled, calling to mind the nineteenth-century British winter sports boom in the Swiss Alps.
The series of white sculptures resting on an iridescent base titled A futura memoria (For future reference) combine the artificiality of jesmonite (a water-based acrylic composite) with the truthfulness and invisibility of snow. What the sculptures show is the inner part of the snow which is exposed to view and above all to the touch as an archival remnant for the future, with an ambitious attempt to turn it into a substantial repertoire, like Bentley’s, to whom Pugno dedicates another series of works on display, partly created at her last residence in Lithuania, at Nida Art Colony. In Omaggio a Wilson Bentley (Tribute to Wilson Bentley) there is even a direct reference to the photographic process; in order to imprint the image of snow on paper or on canvas, Pugno had to wait for the snow she had colored to melt naturally (white on brown paper or blue on white canvas).
In her frequent excursions at high altitudes like in her long periods of residences in the North, Pugno seems to have very much in mind the crucial role that the horizon line has played for centuries in our sense of orientation, as in our conception of time and space. The stability of the horizon line «hinges on the stability of an observer, who is thought to be located on a ground of sorts, a shoreline, a boat – a ground that can be imagined as stable, even if in fact it is not»5.
What happens, then, if the artist chooses to make the viewer aware of his non-centrality, of his total precariousness, by forcing him to look at a photograph of a horizon in which snow and sky merge, placed on a wall inclined at 23 degrees like the earth’s axis? Hopefully there is an immediate awareness – because it is physical – that everything depends on that delicate inclination.
1 Adam Gopnik, Winter: Five Windows on the Season, CBC Massey Lectures, 2011.
2 Ibid.
3 Hito Steyerl, In Free Fall. A Thought Experiment on Vertical Perspective, in “e-flux journal”, issue 24, April 2011.
4 Holmes Rolston III, The Aesthetic Experience in Forests, in Allen Carlson and Arnold Berleant, The Aesthetics of Natural Environments, Broadview Press, 2004, p.189.
5 Hito Steyerl, In Free Fall, cit.
Laura Pugno (Trivero, 1975) lives and works in Turin. She has exhibited in museums and foundations including: Nida Art Colony, Lithuania; Fondazione del Monte, Bologna; Forum Stadtpark, Graz; Museo della Montagna, Turin; Casa Masaccio, Arezzo; Zegna Foundation, Trivero; Magasin, Grenoble; MART of Trento and Rovereto; MAN, Nuoro; Sandretto Re Rebaudengo Foundation of Turin. Among the prizes won by the artist, we remember Cairo Prize in 2013.
La galleria Alberto Peola presenta L'invisibilità dell'inverno, la quarta personale in galleria dell'artista Laura Pugno (Trivero, 1975).
La memoria bianca di Manuela Pacella
La verità ultima sui fiocchi di neve è che diventano individualmente più diversi man mano che scendono. Maltrattati dal vento e dal tempo, vengono tradotti come per magia in disegni più strani e complessi, sino a quando, finalmente, toccano terra. E allora, come noi, si sciolgono. Adam Gopnick1
L’immagine iconica del fiocco di neve nasce alla fine dell’Ottocento grazie al repertorio fotografico di oltre 5000 cristalli ritratti dallo statunitense Wilson “Snowflake” Bentley. Esattamente come accadde con l’inglese Eadweard Muybridge, grazie al quale nel 1878 si scoprì l’effettivo movimento di un cavallo in corsa, la scoperta della “realtà” grazie alla fotografia non consentì più un passo falso nella rappresentazione del mondo. Ma se Muybridge permise una correzione di errore – i cavalli non appaiono più con le quattro zampe sollevate all’unisono se non, forse, solo in quelli a dondolo per bambini – Bentley contribuì, invece, a un’ulteriore proiezione immaginifica verso quel fenomeno naturale grazie al quale il mondo si silenzia per conservare integra la gemma della successiva genesi. Bentley selezionò unicamente i cristalli più complessi e perfetti e determinò non solo una specifica narrativa della neve – natalizia e non – ma alimentò l’idea che l’esclusività dei fiocchi fosse il riflesso di quella dell’animo umano. All’unicità genetica si aggiunse inoltre quella esperienziale un secolo dopo, quando nel 1988 Nancy Knight scoprì che in partenza due cristalli sono assolutamente identici e «ad alterarli è la loro discesa dalle nuvole sulla terra»2.
Formazione dell’individualità in una caduta sempre più accelerata, tanto da determinare oramai solo egocentrica separazione dell’uomo dal resto del mondo. Una collisione inevitabile, di un’era geologica definita Antropocene, che potrebbe essere attenuata se non addirittura evitata, grazie a una sensibilizzazione che viene sia dalla giovane generazione spoglia di futuro sia dall’attività di artisti la cui visione a volo d’uccello ci restituisce una permeabilità delle e sulle cose, dandoci ancora la possibilità di scioglierci a terra piuttosto che collidere con essa in uno scontro senza vincitori.
Tra questi artisti vi è di certo Laura Pugno – classe 1975 – che del paesaggio, prevalentemente montano, della veduta e dello sguardo tattile sul mondo, fa il perno della sua produzione. Le sue opere sono continui inviti nel paesaggio, un’analisi di sconfinamento tra soggetto e oggetto, un tentativo senza sosta di offuscare la vista, in modo particolare quella che pone l’uomo al centro del mondo e svelarne il doppio falso, non solo emozionale-soggettivo ma anche culturale-occidentale.
In un ciclo di lavori dal titolo Morphogenesis (uno dedicato a Dürer del 2015 e l’altro a Mantegna del 2017) Pugno indirizza l’attenzione verso una questione apparentemente semplice, ossia i diversi approcci stilistici nella rappresentazione pittorica del paesaggio, che racchiude una critica molto più profonda e di difficile ammissione per chi si è formato con la storia dell’arte italiana, ossia la totale falsità di quelle vedute che si basavano su nozioni matematiche e oggettive.
Ma oggi siamo in caduta libera e le prospettive sul mondo si sono fatte molteplici, sovrapposte e verticali come ben spiega Hito Steyerl in un importante testo del 2011 pubblicato su “e-flux journal”. Ciò che forse all’epoca non era del tutto chiaro, è la questione del controllo del nostro sguardo. Se oggi è evidente che siamo osservati e indirizzati costantemente, da tecnologie online, dall’alto e di fronte ai nostri occhi schermati, nel Rinascimento e sino all’Ottocento la nostra cara prospettiva lineare dominava il mondo a colpi di punti di fuga definiti come reali matematici, dando allora come ora l’illusione della nostra libertà individuale. «Il punto di fuga dà all’osservatore un corpo e una posizione. […] Mentre potenzia il soggetto posizionandolo al centro della visione, la prospettiva lineare mina anche l’individualità dello spettatore sottoponendola a leggi di rappresentazione apparentemente oggettive» 3. Ed ecco, quindi, che Pugno decide di intervenire direttamente sulle sue rappresentazioni fotografiche di paesaggio abradendo con la carta vetro quei confini troppo netti che oramai sono stretti, falsi, inopportuni (serie di lavori dal 2012) o si rende consapevole del suo corpo nel contesto naturale in opere realizzate in un ben diverso en plein air da quello dell’Ottocento. Mi riferisco, ad esempio, a Landscape behind you del 2011-2012 in cui l’artista è andata in alta quota a incidere su lastre di plexiglas il paesaggio che vi si specchiava, non solo ponendosi di spalle alla veduta, ma volutamente lasciando un vuoto centrale nel disegno, ossia quello del suo corpo, presenza fisica umana che in questo caso corrisponde ad assenza di una porzione di paesaggio.
L’invisibilità dell’inverno è il significativo titolo di due tappe espositive di Pugno del 2019 (presso SRISA Gallery di Firenze, a cura di Pietro Gaglianò e presso Alberto Peola a Torino) ma è anche la cornice concettuale che racchiude una stagione della sua produzione in cui la passione per la montagna e l’inverno e l’analisi dei cambiamenti climatici causati dall’uomo diviene urgente e più diretta. Voler dare forma e colore a qualcosa di labile come la neve persegue un istinto di conservazione mnemonica di qualcosa che non è solo passeggero perché stagionale ma rischia di vanificarsi per sempre. Le opere in mostra da Peola hanno tutte richiesto da parte dell’artista un essere nel luogo, tra la neve, perché «l'apprezzamento estetico della natura, a livello di foreste e paesaggi, richiede partecipazione incondizionata, immersione e lotta» 4.
In Moto per luogo ritorna l’idea dell’abrasione ma questa volta è causata dal corpo stesso di Pugno: dopo aver fotografato diverse località del Piemonte e stampato le immagini su grandi lastre di alluminio, l’artista torna negli stessi luoghi e abrade la fotografia usandola come slittino, memore di certo anche del boom tutto ottocentesco e britannico degli sport invernali nelle Alpi svizzere.
La serie di sculture bianche A futura memoria, poggiate su un fondo cangiante, uniscono all’artificialità della jesmonite (sistema acrilico a base di acqua) la veridicità e l’invisibilità, appunto, della neve. Quello che le sculture mostrano è la parte interna della neve che viene donata alla vista e soprattutto al tatto come residuo archivistico per il futuro, con l’ambizioso tentativo di farne un corposo repertorio, come quello di Bentley a cui Pugno dedica un’altra serie di lavori in mostra, in parte anche realizzati nella sua ultima residenza in Lituania, a Nida Art Colony. In Omaggio a Wilson Bentley vi è, inoltre, un diretto richiamo al
processo fotografico; per imprimere l’immagine della neve sulla carta o la tela, Pugno ha dovuto aspettare il tempo naturale dello scioglimento della neve da lei colorata (bianca su carta marrone o blu su tela bianca).
Nelle sue frequenti escursioni in alta quota come nelle sue lunghe residenze al Nord del mondo Pugno sembra aver ben presente il ruolo cruciale che la linea dell’orizzonte ha svolto per secoli nel nostro senso dell’orientamento, come nella concezione del tempo e dello spazio. La stabilità della linea dell’orizzonte «dipende dalla stabilità di un osservatore, che si pensa sia situato su un terreno che può essere immaginato stabile, anche se in realtà non lo è» 5.
Cosa accade, quindi, se l’artista sceglie di rendere consapevole lo spettatore della sua non centralità, della sua totale precarietà forzandolo a guardare una fotografia di un orizzonte in cui neve e cielo si fondono, posta su una parete inclinata a 23 gradi come l’asse terrestre? Si spera in una consapevolezza immediata, perché fisica, che da quella delicata inclinazione dipenda ogni cosa.
1Adam Gopnik, L’invenzione dell’inverno, Ugo Guanda Editore, Milano 2016 [2011], p.56.
2Ibid.
3Hito Steyerl, In Free Fall. A Thought Experiment on Vertical Perspective, in “e-flux journal”, issue 24, April 2011.
4Holmes Rolston III, The Aesthetics Experience of Forests, in Allen Carlson and Arnold Berleant, The Aesthetics of Natural Environments, Broadview Press,2004, p.189.
5Hito Steyerl, In Free Fall, cit.
Laura Pugno (Trivero, 1975) vive e lavora a Torino. Ha esposto presso musei e fondazioni tra i quali segnaliamo: Nida Art Colony, Lituania; Fondazione del Monte, Bologna; Forum Stadtpark, Graz; Museo della Montagna, Torino; Casa Masaccio, Arezzo; Fondazione Zegna, Trivero; Magasin, Grenoble; MART di Trento e Rovereto; MAN, Nuoro; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Tra i premi vinti ricordiamo il Premio Cairo nel 2013.
*****ENGLISH TRANSLATION ************
Opening: Thursday May 23, 2019 | 7-9 pm
Exhibition: May 24 - June 29 2019
Tuesday to Saturday 3-7 pm. Mornings by appointment
The Alberto Peola gallery is pleased to host and present The invisibility of winter, Laura Pugno’s solo exhibition.
"White Memory", by Manuela Pacella
For the final truth about snowflakes is that they become more individual as they fall—that, buffeted by wind and time, they are translated, as if by magic, into ever more strange and complex patterns, until, at last, like us, they touch earth. Then, like us, they melt. Adam Gopnick1
The familiar, iconic image of a snowflake was born at the end of the nineteenth century thanks to the photographic repertoire of over 5000 snow crystals captured by American photographer Wilson "Snowflake" Bentley. Just as the English photographer Eadweard Muybridge, captured the real motion of a running horse in 1878, the discovery of "reality" thanks to photography no longer allowed false steps in the representation of the world. But if Muybridge corrected errors in representation – horses no longer appear to have all four legs raised in unison except, perhaps, in children’s rocking horses – Bentley contributed, instead, to a further imaginative projection towards that natural phenomenon thanks to which the world silences itself to preserve intact the bud of future genesis. Bentley selected only the most complex and perfect snow crystals and established not only a specific narrative of snow – whether associated with Christmas or not – he also fostered the idea that the exclusivity of snowflakes was a reflection of the human soul. A century later, experiential uniqueness was added to genetic uniqueness when, in 1988, cloud scientist Nancy Knight discovered that «while it’s true that snowflakes often start out alike, it is their descent from the clouds into the world that makes them alter»2.
The formation of individuality in an increasingly accelerated free-fall suggests the egocentric separation of man from the rest of the world: an inevitable collision with the Anthropocene era, which though unavoidable could be mitigated thanks to an awareness that comes both from the younger generation stripped of its future and from the activity of artists whose bird's eye view gives us back a permeability of and into things, giving us the possibility to dissolve ourselves, melting into the ground rather than colliding with it in a clash without victors.
Laura Pugno is certainly one of these artists. Pugno – born in 1975 – makes her predominantly mountain landscapes, panoramic views and tactile gaze on the world the cornerstones of her artistic production. Her works are continuous invitations into the landscape, an analysis of encroachment between subject and object, an endless attempt to blur one’s view, in particular the one that places man at the center of the world and reveals its double falsehood, not only emotional-subjective but also culturalwestern.
In a cycle of works titled Morphogenesis (one dedicated to Dürer in 2015 and the other to Mantegna in 2017), Pugno draws attention to a seemingly simple issue, namely the different stylistic approaches in the pictorial representation of the landscape, which contains a critique that is much more profound and difficult to accept for those who studied the history of Italian art, namely the complete falseness of those views which were based on mathematical and objective notions.
But today we are in free fall and perspectives on the world have multiplied, becoming overlapping and vertical, as Hito Steyerl explains in an important 2011 article published in "e-flux journal". What was perhaps not entirely clear at the time is the question of the control of our gaze. If today it is evident that we are constantly observed and directed by online technologies from above and in front of our screen-focused eyes, in the Renaissance and until the nineteenth century our dear linear perspective dominated the world with vanishing points defined as mathematical realities, giving us then as now the illusion of individual freedom. «The vanishing point gives the observer a body and a position. […] While empowering the subject by placing it at the center of vision, linear perspective also undermines the viewer’s individuality by subjecting it to supposedly objective laws of representation»3. It is here, then, that Pugno decides to intervene directly on her photographic representations of landscapes by abrading with sandpaper those boundaries that are now too distinct, narrow, false and inappropriate (her series of works from 2012) or she becomes aware of her body in the natural context in works created in a very different en plein air from that of the nineteenth century. I am referring, for example, to Landscape Behind You from 2011-2012 in which the artist went to high altitudes to etch on plexiglass sheets the landscape that was mirrored there, not only by turning her back to the view but also by deliberately leaving a central void in the drawing – that of her body, a physical human presence that in this case corresponds to the absence of a portion of the landscape.
L’invisibilità dell’inverno (The invisibility of winter) is the meaningful title of two of Pugno’s exhibitions in 2019 (at SRISA Gallery in Florence, curated by Pietro Gaglianò, and at Alberto Peola’s gallery in Turin) but it is also the conceptual framework that contains a season of her production in which her passion for mountains and winter and the analysis of climate change caused by man become urgent and more direct. Trying to give shape and color to something as ephemeral as snow, it pursues an instinct for the preservation in memory of something that is not only fleeting because it is seasonal but risks disappearing forever. The works exhibited at Peola have all required the artist to be in situ, in the snow, because «the aesthetic appreciation of nature, at the level of forests and landscapes, requires unconditional participation, immersion and struggle»4.
In Moto per luogo (Moving through the place), the idea of abrasion returns, but this time it is caused by Pugno’s body itself: after having photographed several places in Piedmont and printed the images on large aluminium sheets, the artist returns to the same places and abrades each photograph by using it as a snow sled, calling to mind the nineteenth-century British winter sports boom in the Swiss Alps.
The series of white sculptures resting on an iridescent base titled A futura memoria (For future reference) combine the artificiality of jesmonite (a water-based acrylic composite) with the truthfulness and invisibility of snow. What the sculptures show is the inner part of the snow which is exposed to view and above all to the touch as an archival remnant for the future, with an ambitious attempt to turn it into a substantial repertoire, like Bentley’s, to whom Pugno dedicates another series of works on display, partly created at her last residence in Lithuania, at Nida Art Colony. In Omaggio a Wilson Bentley (Tribute to Wilson Bentley) there is even a direct reference to the photographic process; in order to imprint the image of snow on paper or on canvas, Pugno had to wait for the snow she had colored to melt naturally (white on brown paper or blue on white canvas).
In her frequent excursions at high altitudes like in her long periods of residences in the North, Pugno seems to have very much in mind the crucial role that the horizon line has played for centuries in our sense of orientation, as in our conception of time and space. The stability of the horizon line «hinges on the stability of an observer, who is thought to be located on a ground of sorts, a shoreline, a boat – a ground that can be imagined as stable, even if in fact it is not»5.
What happens, then, if the artist chooses to make the viewer aware of his non-centrality, of his total precariousness, by forcing him to look at a photograph of a horizon in which snow and sky merge, placed on a wall inclined at 23 degrees like the earth’s axis? Hopefully there is an immediate awareness – because it is physical – that everything depends on that delicate inclination.
1 Adam Gopnik, Winter: Five Windows on the Season, CBC Massey Lectures, 2011.
2 Ibid.
3 Hito Steyerl, In Free Fall. A Thought Experiment on Vertical Perspective, in “e-flux journal”, issue 24, April 2011.
4 Holmes Rolston III, The Aesthetic Experience in Forests, in Allen Carlson and Arnold Berleant, The Aesthetics of Natural Environments, Broadview Press, 2004, p.189.
5 Hito Steyerl, In Free Fall, cit.
Laura Pugno (Trivero, 1975) lives and works in Turin. She has exhibited in museums and foundations including: Nida Art Colony, Lithuania; Fondazione del Monte, Bologna; Forum Stadtpark, Graz; Museo della Montagna, Turin; Casa Masaccio, Arezzo; Zegna Foundation, Trivero; Magasin, Grenoble; MART of Trento and Rovereto; MAN, Nuoro; Sandretto Re Rebaudengo Foundation of Turin. Among the prizes won by the artist, we remember Cairo Prize in 2013.
23
maggio 2019
Laura Pugno – L’invisibilità dell’inverno
Dal 23 maggio al 24 luglio 2019
arte contemporanea
Location
Simondi
Torino, Via Della Rocca, 29, (Torino)
Torino, Via Della Rocca, 29, (Torino)
Orario di apertura
martedì - sabato, ore 15-19. Mattino su appuntamento
Vernissage
23 Maggio 2019, h 9:00-21:00
Autore
Curatore