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Le Carte dell’Arte
In occasione della collettiva gli artisti doneranno al Comune di Caiazzo una loro opera per un costituendo museo d’arte contemporanea
Comunicato stampa
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La calda pronuncia dell’astrattismo partenopeo
di Giorgio Agnisola
Mi sembra che una particolare fisionomia segni la produzione artistica campana nell’arco temporale che può delinearsi dall’astrattismo all’informale: una fisionomia non identificabile con una declinazione stilistica e leggibile piuttosto nel momento di annodare i fili nascosti del senso e della connotazione psicologica della produzione artistica, del suo portato umorale e spirituale; una fisionomia che potrebbe definirsi di sostanziale rinnegamento, pure all’interno di collaudati e generali percorsi della ricerca, di un’ espressione puramente cerebrale ed emotivamente distaccata. Raramente infatti l’arte partenopea degli ultimi decenni interpreta modelli astratti privi di quella dinamica visiva che si legge anche come testimonianza di una passione artistica e di una partecipazione ispirata: un segno distintivo che verosimilmente è comune a molta arte meridionale e che negli artisti campani acquista una cadenza rilevabile in particolare nell’opera di alcuni dei suoi maggiori più giovani e meno giovani protagonisti. Carmine Di Ruggiero per esempio, che ha a lungo indagato l’uso promiscuo dei materiali in una prospettiva geometrica, ma anche in una dinamica materica, testimonia in maniera esemplare il continuo sforare il dato puramente astratto-visivo, annettendo alla ricerca una pronuncia più interna e non di rado una trascrizione di sé intimamente lirica. L’arte di Renato Barisani, il decano degli artisti partenopei, che indaga da decenni una geometria connotata da vigilantissimi equilibri formali, ha sempre inseguito una calda armonia visiva. La sua arte risuona all’interno del dettato visivo, non è chiusa nel rigore dei segni , ma si apre a forme e volumi che catturano a annettono intensamente i piani e la luce in un equilibrio formale e compositivo che fondano potrebbe dirsi sul molteplice senso percettivo dello spazio in chiave luministica ed emozionale. Anche Gianni De Tora, artista recentemente scomparso, ha testimoniato nei lavori della seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, in cui forme cromatiche libere e brillanti campiscono luoghi interni e prospettici dello spazio visivo, una tensione intimistica, affidata alla dialettica tra il dinamismo scenografico dei segni e rigido e ribaltato gioco dei piani di luce. Le costruzioni geometriche di Enea Mancino sono articolatissime trame costruttive che puntano al recupero di un equilibrio “miracoloso” e non di rado solenne della forma: di un luogo di origine si direbbe del linguaggio visivo, che si interpreta a partire da un centro reale e immaginario, matematico e intuitivo, in cui si può leggersi tanto una ordinata idea mentale quanto un principio spirituale, inglobando lo spazio in una sorta di riverbero a catena, solo in apparenza consequenziale, in realtà annesso sulla scorta di una fine e lucida tensione psicologica. Le stesse sculture di Giovanni Ferrenti, di cui sono note le grandi strutture in metallo, in cui pure è intuibile una tensione meccanicistica oltre che compositiva e una singolare allusione ad mondo organico e naturale, sono incomprensibili senza una prospettiva di luce, che sfiora il metallo, penetra i giochi dei trucioli di ferro, gli agglomerati da utensileria meccanica e ne svela le trame segrete, la superficie ora rugginosa ora lappata, i complessi ingranaggi, i misteriosi meccanismi. Una luce che non di rado è leggerezza nei tentacoli di una forma che non è mai statica, anche negli assetti più pesanti e aspira a liberarsi nell’aria mite del paesaggio partenopeo. La cifra pittorica di Antonio Auriemma si situa infine in un suggestivo territorio di confine tra astrazione e sogno. L’immagine non è il luogo del riconoscimento della forma, ma del suo velamento, del suo traslato onirico, del suo transito fantastico. Le sue opere sono un delicatissimo racconto di forme misteriose che si inseguono nello spazio lievitato e improbabile di una dimensione totalmente interna. E’ il fine traslato nello spazio astratto di un intimismo romantico e poetico, a un tempo misterioso e familiare, il tracciato simbolico di una pacata e dolce narrazione psicologica, ma anche la ricerca di un luogo di equilibrio, sintetico e finale, in cui coniugare come in una preghiera ansia e armonia.
di Giorgio Agnisola
Mi sembra che una particolare fisionomia segni la produzione artistica campana nell’arco temporale che può delinearsi dall’astrattismo all’informale: una fisionomia non identificabile con una declinazione stilistica e leggibile piuttosto nel momento di annodare i fili nascosti del senso e della connotazione psicologica della produzione artistica, del suo portato umorale e spirituale; una fisionomia che potrebbe definirsi di sostanziale rinnegamento, pure all’interno di collaudati e generali percorsi della ricerca, di un’ espressione puramente cerebrale ed emotivamente distaccata. Raramente infatti l’arte partenopea degli ultimi decenni interpreta modelli astratti privi di quella dinamica visiva che si legge anche come testimonianza di una passione artistica e di una partecipazione ispirata: un segno distintivo che verosimilmente è comune a molta arte meridionale e che negli artisti campani acquista una cadenza rilevabile in particolare nell’opera di alcuni dei suoi maggiori più giovani e meno giovani protagonisti. Carmine Di Ruggiero per esempio, che ha a lungo indagato l’uso promiscuo dei materiali in una prospettiva geometrica, ma anche in una dinamica materica, testimonia in maniera esemplare il continuo sforare il dato puramente astratto-visivo, annettendo alla ricerca una pronuncia più interna e non di rado una trascrizione di sé intimamente lirica. L’arte di Renato Barisani, il decano degli artisti partenopei, che indaga da decenni una geometria connotata da vigilantissimi equilibri formali, ha sempre inseguito una calda armonia visiva. La sua arte risuona all’interno del dettato visivo, non è chiusa nel rigore dei segni , ma si apre a forme e volumi che catturano a annettono intensamente i piani e la luce in un equilibrio formale e compositivo che fondano potrebbe dirsi sul molteplice senso percettivo dello spazio in chiave luministica ed emozionale. Anche Gianni De Tora, artista recentemente scomparso, ha testimoniato nei lavori della seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, in cui forme cromatiche libere e brillanti campiscono luoghi interni e prospettici dello spazio visivo, una tensione intimistica, affidata alla dialettica tra il dinamismo scenografico dei segni e rigido e ribaltato gioco dei piani di luce. Le costruzioni geometriche di Enea Mancino sono articolatissime trame costruttive che puntano al recupero di un equilibrio “miracoloso” e non di rado solenne della forma: di un luogo di origine si direbbe del linguaggio visivo, che si interpreta a partire da un centro reale e immaginario, matematico e intuitivo, in cui si può leggersi tanto una ordinata idea mentale quanto un principio spirituale, inglobando lo spazio in una sorta di riverbero a catena, solo in apparenza consequenziale, in realtà annesso sulla scorta di una fine e lucida tensione psicologica. Le stesse sculture di Giovanni Ferrenti, di cui sono note le grandi strutture in metallo, in cui pure è intuibile una tensione meccanicistica oltre che compositiva e una singolare allusione ad mondo organico e naturale, sono incomprensibili senza una prospettiva di luce, che sfiora il metallo, penetra i giochi dei trucioli di ferro, gli agglomerati da utensileria meccanica e ne svela le trame segrete, la superficie ora rugginosa ora lappata, i complessi ingranaggi, i misteriosi meccanismi. Una luce che non di rado è leggerezza nei tentacoli di una forma che non è mai statica, anche negli assetti più pesanti e aspira a liberarsi nell’aria mite del paesaggio partenopeo. La cifra pittorica di Antonio Auriemma si situa infine in un suggestivo territorio di confine tra astrazione e sogno. L’immagine non è il luogo del riconoscimento della forma, ma del suo velamento, del suo traslato onirico, del suo transito fantastico. Le sue opere sono un delicatissimo racconto di forme misteriose che si inseguono nello spazio lievitato e improbabile di una dimensione totalmente interna. E’ il fine traslato nello spazio astratto di un intimismo romantico e poetico, a un tempo misterioso e familiare, il tracciato simbolico di una pacata e dolce narrazione psicologica, ma anche la ricerca di un luogo di equilibrio, sintetico e finale, in cui coniugare come in una preghiera ansia e armonia.
10
maggio 2008
Le Carte dell’Arte
Dal 10 al 23 maggio 2008
arte contemporanea
Location
PALAZZO MAZZIOTTI
Caiazzo, Via Umberto I, 16, (Caserta)
Caiazzo, Via Umberto I, 16, (Caserta)
Orario di apertura
lunedì 8.30/12.30 - 15.30/18.30; martedì 8.30/12.30; mercoledì 15.30/18.30; giovedì 8.30/12.30; venerdì 8.30/12.30 – 16.00/18.00; sabato e domenica chiuso
Vernissage
10 Maggio 2008, ore 18
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