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Le Fiabe e il Disincanto
Le Fiabe e il Disincanto è un’indagine che si svolge sul punto di frattura tra i sogni e la realtà, l’età infantile e l’età adulta, l’interiorità ed il mondo esterno con le proprie durezze, l’io che crediamo di essere e l’io di cui dobbiamo prendere coscienza, il doppio aspetto delle cose…
Comunicato stampa
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C’è una nerezza segreta nelle cose bianche. Sono ombre che prima o poi tendono a rivelarsi, oscurità che si schiudono, simboli che si incamerano in noi, si depositano nell’inconscio immenso fin da bambini e poi si manifestano nell’attimo esatto in cui si prende coscienza delle cose. Quelle fiabe fantastiche intrise di grandiosità, magia, sogni, incanti e attese si spalancano all’improvviso dinanzi ai nostri occhi con tutta la loro verità, stravolgendo spesso il loro senso apparente, caricando ogni dettaglio di un profondo che ha la densità della vita ed il peso della consapevolezza. Alice si risveglia dal sonno ed il bambino di legno si fa bambino in carne ed ossa... passaggi, archi simbolici attraverso cui la vita ci ha mostrato se stessa, strappi e nuove balze cucite… Tutta la vita è costellata dalla nostra continua nascita e dalla nostra continua morte: molti passaggi che ci cambiano, modificano gli strati di cui siamo composti ed uccidono i sogni della nostra precedente pelle.
“Le Fiabe e il Disincanto” vuole essere un’indagine che si svolge sul punto di frattura tra i sogni e la realtà, l’età infantile e l’età adulta, lo scarto inevitabile tra ciò che un tempo ci si attese ed il rapporto con le cose che realmente hanno atteso noi, l’interiorità che conserva un angolo azzurro ed il mondo esterno che ci sbatte in faccia le proprie durezze, il confronto tra l’io che crediamo di essere e l’io di cui dobbiamo prendere coscienza, il doppio aspetto delle cose. Ognuno dei sette artisti chiamati a partecipare alla collettiva, alcuni dei quali molto giovani, ha interpretato secondo se stesso quell’atto di crescita e di disillusione, con differenti tecniche e differenti intenti, esplicando aspetti diversi e spesso difficili, giungendo a diverse conclusioni. Si viaggia così tra le metamorfosi dei personaggi di Elena Rapa, malinconici esseri a cui la coscienza ha donato sembianze che non sono più né umane né fantastiche, caricate di un forte spessore psicologico, rimaste attonite perché sorprese a metà di quell’evoluzione genetica che le sta modificando, come se qualcuno avesse d’improvviso aperto la porta del laboratorio in cui si compie il mutamento, piene di impaurita poesia, ancora sospese tra l’incanto ed il timore dell’ignoto mondo a cui sono destinate, e la violenza con cui Oscar Colombo ci racconta di quanto attimi che battono per noi senza alcun accento bastino perché, per qualcuno, tutto si annulli e si compia. Pochi minuti, pochi soltanto, per dare fine a tutto. Una sequenza breve, in quattro atti sintetici, in cui l’orario segnato ci tiene stretti alla brevità in cui l’azione si svolge, da guardarsi tutta d’un fiato come una striscia di pellicola. Del suo personaggio ci racconta solo l’attimo estremo, il momento più lungo, che per noi non è altro che un quarto d’ora senza significato.
Legato invece da sempre a tematiche sociali, Totò Cariello racconta del disagio di bambini che, a causa di gravi difficoltà patologiche, non potranno mai imparare a leggere ed a cui sarà negato il piacere di un libro di fiabe. Così, attraverso i loro disegni, tenta di entrare se possibile in quella realtà “diversa” per condividere un racconto nuovo. Allo stesso modo, nella grande tela “Girotondo” si interroga sul mondo che lasceremo ai nostri figli, sul senso di responsabilità che gli adulti hanno nei confronti della terra che abitano e che consegneranno al futuro, su ciò di cui gli occhi di noi grandi dovrebbero avere coscienza mentre quelli fanciulli continuano a sognare.
Manuela Santini alza un canto notturno ai corvi che popolano il buio, cattura l’oscuro che è insito in ogni fantasia, esterna il doppio senso delle cose puntando un faro nella notte e svelando le ombre che vi si nascondono… come scoprire le carte coperte dei simboli, provare a giocarci, provare a far sorridere i mostri, perché ciò che è conosciuto attutisce la paura. Il suo personaggio dai grandi artigli è in realtà un innocuo malinconico errante che si aggira tra i sogni per adire a nuove conoscenze guardando in faccia le ombre della notte. Alla ricerca del lato nero della fantasia e della frattura in cui essa si trasforma in coscienza, si dedica anche Erika Latini, il cui segno quasi nevrotico associato al ricamo usato con la stessa forza, la sua linea che ininterrotta rincorre l’immagine, fanno vibrare le cose di un sottile terrore, dischiude alla percezione qualcosa di sconosciuto. Il paese delle meraviglie di Alice, così come la casetta nel bosco di Biancaneve, perdono la loro aura di luoghi protetti dallo stupore che tutto incanta, e si solcano di minacciose crepe attraverso cui trapela un’angoscia quasi scaltra.
In modo forse più ingannatore lavora sul doppio senso delle cose anche Silvia Ruata che mette in scena oggetti installanti dall’aspetto particolarmente accattivante. I suoi sono gli animali dei “Musicanti di Brema” che si ribellarono ai padroni, simbolicamente il passaggio alla crescita. Più o meno delle dimensioni originali e completi di guinzaglio, è possibile portarli a passeggio come fossero animati, ma lo pneuma non ha dato loro alcuna vita, non sono altro che finti simulacri, ingegnose macchine ammiccanti. Estrapola contraddittori aspetti anche Emanuela Bartolotti con i suoi giocattoli fotografati, le sue bambole di cui vediamo solo i capelli o i piedi, i suoi piccoli oggetti che si dilatano o si restringono con la stampa, inafferrabili, a tratti oscuri, dai colori caramellosi ma impossibili da prendere. Quei capelli azzurri sembrano galleggiare senza peso e senza vita, le gambe sottili di Barbie pendono su sfondi indefiniti, e dal suo baule rosa dei giocattoli non escono altro che le immagini dei giocattoli, la loro idea dunque, la loro finzione.
In debito con le ultime tendenze dell’Arte Contemporanea in cui è entrato un certo estetico mondo fanciullo, che tanto ha in comune con il cartoon e l’illustrazione e che, fatte le dovute differenze da questi ultimi, carica le immagini e l’innocenza di valenze e significati profondi, questa mostra collettiva cerca di puntare lo sguardo su alcuni aspetti di quei particolari “modi” artistici attraverso una possibile lettura.
Maria Vittoria Berti
“Le Fiabe e il Disincanto” vuole essere un’indagine che si svolge sul punto di frattura tra i sogni e la realtà, l’età infantile e l’età adulta, lo scarto inevitabile tra ciò che un tempo ci si attese ed il rapporto con le cose che realmente hanno atteso noi, l’interiorità che conserva un angolo azzurro ed il mondo esterno che ci sbatte in faccia le proprie durezze, il confronto tra l’io che crediamo di essere e l’io di cui dobbiamo prendere coscienza, il doppio aspetto delle cose. Ognuno dei sette artisti chiamati a partecipare alla collettiva, alcuni dei quali molto giovani, ha interpretato secondo se stesso quell’atto di crescita e di disillusione, con differenti tecniche e differenti intenti, esplicando aspetti diversi e spesso difficili, giungendo a diverse conclusioni. Si viaggia così tra le metamorfosi dei personaggi di Elena Rapa, malinconici esseri a cui la coscienza ha donato sembianze che non sono più né umane né fantastiche, caricate di un forte spessore psicologico, rimaste attonite perché sorprese a metà di quell’evoluzione genetica che le sta modificando, come se qualcuno avesse d’improvviso aperto la porta del laboratorio in cui si compie il mutamento, piene di impaurita poesia, ancora sospese tra l’incanto ed il timore dell’ignoto mondo a cui sono destinate, e la violenza con cui Oscar Colombo ci racconta di quanto attimi che battono per noi senza alcun accento bastino perché, per qualcuno, tutto si annulli e si compia. Pochi minuti, pochi soltanto, per dare fine a tutto. Una sequenza breve, in quattro atti sintetici, in cui l’orario segnato ci tiene stretti alla brevità in cui l’azione si svolge, da guardarsi tutta d’un fiato come una striscia di pellicola. Del suo personaggio ci racconta solo l’attimo estremo, il momento più lungo, che per noi non è altro che un quarto d’ora senza significato.
Legato invece da sempre a tematiche sociali, Totò Cariello racconta del disagio di bambini che, a causa di gravi difficoltà patologiche, non potranno mai imparare a leggere ed a cui sarà negato il piacere di un libro di fiabe. Così, attraverso i loro disegni, tenta di entrare se possibile in quella realtà “diversa” per condividere un racconto nuovo. Allo stesso modo, nella grande tela “Girotondo” si interroga sul mondo che lasceremo ai nostri figli, sul senso di responsabilità che gli adulti hanno nei confronti della terra che abitano e che consegneranno al futuro, su ciò di cui gli occhi di noi grandi dovrebbero avere coscienza mentre quelli fanciulli continuano a sognare.
Manuela Santini alza un canto notturno ai corvi che popolano il buio, cattura l’oscuro che è insito in ogni fantasia, esterna il doppio senso delle cose puntando un faro nella notte e svelando le ombre che vi si nascondono… come scoprire le carte coperte dei simboli, provare a giocarci, provare a far sorridere i mostri, perché ciò che è conosciuto attutisce la paura. Il suo personaggio dai grandi artigli è in realtà un innocuo malinconico errante che si aggira tra i sogni per adire a nuove conoscenze guardando in faccia le ombre della notte. Alla ricerca del lato nero della fantasia e della frattura in cui essa si trasforma in coscienza, si dedica anche Erika Latini, il cui segno quasi nevrotico associato al ricamo usato con la stessa forza, la sua linea che ininterrotta rincorre l’immagine, fanno vibrare le cose di un sottile terrore, dischiude alla percezione qualcosa di sconosciuto. Il paese delle meraviglie di Alice, così come la casetta nel bosco di Biancaneve, perdono la loro aura di luoghi protetti dallo stupore che tutto incanta, e si solcano di minacciose crepe attraverso cui trapela un’angoscia quasi scaltra.
In modo forse più ingannatore lavora sul doppio senso delle cose anche Silvia Ruata che mette in scena oggetti installanti dall’aspetto particolarmente accattivante. I suoi sono gli animali dei “Musicanti di Brema” che si ribellarono ai padroni, simbolicamente il passaggio alla crescita. Più o meno delle dimensioni originali e completi di guinzaglio, è possibile portarli a passeggio come fossero animati, ma lo pneuma non ha dato loro alcuna vita, non sono altro che finti simulacri, ingegnose macchine ammiccanti. Estrapola contraddittori aspetti anche Emanuela Bartolotti con i suoi giocattoli fotografati, le sue bambole di cui vediamo solo i capelli o i piedi, i suoi piccoli oggetti che si dilatano o si restringono con la stampa, inafferrabili, a tratti oscuri, dai colori caramellosi ma impossibili da prendere. Quei capelli azzurri sembrano galleggiare senza peso e senza vita, le gambe sottili di Barbie pendono su sfondi indefiniti, e dal suo baule rosa dei giocattoli non escono altro che le immagini dei giocattoli, la loro idea dunque, la loro finzione.
In debito con le ultime tendenze dell’Arte Contemporanea in cui è entrato un certo estetico mondo fanciullo, che tanto ha in comune con il cartoon e l’illustrazione e che, fatte le dovute differenze da questi ultimi, carica le immagini e l’innocenza di valenze e significati profondi, questa mostra collettiva cerca di puntare lo sguardo su alcuni aspetti di quei particolari “modi” artistici attraverso una possibile lettura.
Maria Vittoria Berti
02
febbraio 2008
Le Fiabe e il Disincanto
Dal 02 febbraio al 22 marzo 2008
arte contemporanea
Location
PIVARTE
Bologna, Via Azzo Gardino, 8, (Bologna)
Bologna, Via Azzo Gardino, 8, (Bologna)
Orario di apertura
Lunedì - Venerdì 10/13 - 15.30/19.30
Sabato 16/19.30
Vernissage
2 Febbraio 2008, 18.00 - 22.00
Autore
Curatore