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Le Figure del Fuoco
Mostra collettiva
Comunicato stampa
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LE FIGURE DEL FUOCO.
Opere di Umberto Mastroianni, di Bernard Aubertin,
di Elio Torrieri e di Lilian Rita Callegari
La creazione artistica è apparenza, che riceve la sua fulminea irresistibilità
dall’inapparenza delle forme; essa scopre – lo dice Nietzsche in un testo folgorante del
1886, La gaia scienza – l’increspatura, la scorza della superficie “per profondità”. Nel
flusso perenne del mondo la materia diventa la conoscenza, la distruzione diventa la
stasi. Gia Eraclito ci assicura che con il fuoco possiamo conoscere l’aletheia intorno
all’Essere. Come quella appresa dalle anime di Platone nel Luogo Sopraceleste, questa
verità eraclitea non è filosofica, ma una rivelazione estatica, che perde ogni carattere
corporeo: “Quel cosmo non lo fecero gli dèi o gli uomini, ma il fuoco fu sempre, è e sarà;
fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura”.
Nell’arte contemporanea il mythos di Efesto, il dio fabbro e del fuoco figlio di Zeus e di
Era, è molto più complesso di quello che non sembri: i suoi cultori dovrebbero indossare
le vesti variopinte e sfumate di Iside per simboleggiare ciò che vi è in esso di molteplice,
di ondeggiante e di contraddittorio. Curata e ideata da Floriano De Santi, la rassegna Le
figure del fuoco presenta un esaustivo nucleo di opere di Umberto Mastroianni, di Bernard
Aubertin, di Elio Torrieri e di Lilian Rita Callegari; nella mostra l’essentia della mutazione
della fiamma avviene dalla materia alla forma, dalla fantasia alla realtà. Per questi artisti il
fuoco è simulacrum di ogni passione, è freudiana perturbazione, è sopportare e patire, è
luce e ombra: è l’araba fenice della “scrittura del disastro”, che costruisce la propria stessa
assenza.
Mentre l’Informel di Mastroianni, che non è una formula, anzi è, per antonomasia, l’arte
senza formule, scopre la “via europea” che passa per il dominio sterminato ed impervio
della materia, conservando nella qualità della propria sostanza l’impronta o la memoria
dell’immagine, quello di Aubertin vorrebbe, al pari di Yves Klein, essere rapito in una palla
di fuoco, librarsi sull’umanità come un arcangelo vendicatore, e forse invidia l’illusione
descritta dal Kierkegaard de La malattia mortale, che gli fa vedere non in un al di là, ma
dal rovescio, e con allucinante chiarezza, i mali della vita.
Per Torrieri il fuoco è confine e soglia, divide il buio dalla luce, la vita dalla morte,
l’essere dal nulla; la visione è costretta ad “esserci”, finché rimane una briciola, un
frustolo di spessore cromatico: e si corromperà, proprio come il folgorio della fiamma, col
corrompersi della forma, si trasformerà col trasformarsi della materia, ma non cesserà
heideggerianamente di “esserci”. Nella pittura della Callegari il fuoco della physis, della
natura, è l’antitesi tra Osiride-Iside e Seth-Tifone: è l’opposizione tra sole e tenebre, ordine
e disordine, movimento e rigidezza. Ma l’artista, con Plutarco, sa bene che quella macchia
di rosso tenero e violento è un’intonazione fenomenica, troppo ricca di valori e aloni
simbolici per essere eliminata dal mondo. Così diventa una devota dell’armonia fra gli
opposti: una seguace di Eraclito, che diceva: “Armonia di opposti è l’armonia dell’universo,
come quella dell’arco e della lira”.
La mostra è preceduta da un’emblematica sezione-segnale, che vede la presenza
di due misteriosi dipinti ad olio su tela (di cm. 58x70) eseguiti in Italia intorno alla metà
del XVIII secolo da un ignoto pittore fiammingo, forse influenzato dal tocco cromatico
sempre preciso e un po’ secco, ma non calligrafico, di Alessio De Marchis. La novità della
pennellata sta proprio in una spirale d’ombra, che sale a volute larghe come un fumo nero
e in cui la luce, con uno sprazzo violento, arresta il moto ascensionale dell’incendio, con
un’opposizione subitanea che, fermando per un attimo l’empito del fuoco, ne fa sentire
pure più decisiva l’irruenza dinamica.
Ordinata nei nitidi ed antichi spazi del Centro Ceramico “Fornace Pagliero”, in località
Spineto di Castellamonte, diretto da Daniele Chechi, la rassegna Le figure del fuoco
– visitabile dal 7 luglio al 7 ottobre 2012 – è accompagnata da un’utile e preziosa
pubblicazione edita per i tipi dell’Archivio Umberto Mastroianni di Brescia e del Museo
Fornace Pagliero, con un saggio critico di Floriano De Santi e la riproduzione di tutte le
sessantadue opere tra tele, carte, sculture, terrecotte, assemblages e fotografie.
Opere di Umberto Mastroianni, di Bernard Aubertin,
di Elio Torrieri e di Lilian Rita Callegari
La creazione artistica è apparenza, che riceve la sua fulminea irresistibilità
dall’inapparenza delle forme; essa scopre – lo dice Nietzsche in un testo folgorante del
1886, La gaia scienza – l’increspatura, la scorza della superficie “per profondità”. Nel
flusso perenne del mondo la materia diventa la conoscenza, la distruzione diventa la
stasi. Gia Eraclito ci assicura che con il fuoco possiamo conoscere l’aletheia intorno
all’Essere. Come quella appresa dalle anime di Platone nel Luogo Sopraceleste, questa
verità eraclitea non è filosofica, ma una rivelazione estatica, che perde ogni carattere
corporeo: “Quel cosmo non lo fecero gli dèi o gli uomini, ma il fuoco fu sempre, è e sarà;
fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura”.
Nell’arte contemporanea il mythos di Efesto, il dio fabbro e del fuoco figlio di Zeus e di
Era, è molto più complesso di quello che non sembri: i suoi cultori dovrebbero indossare
le vesti variopinte e sfumate di Iside per simboleggiare ciò che vi è in esso di molteplice,
di ondeggiante e di contraddittorio. Curata e ideata da Floriano De Santi, la rassegna Le
figure del fuoco presenta un esaustivo nucleo di opere di Umberto Mastroianni, di Bernard
Aubertin, di Elio Torrieri e di Lilian Rita Callegari; nella mostra l’essentia della mutazione
della fiamma avviene dalla materia alla forma, dalla fantasia alla realtà. Per questi artisti il
fuoco è simulacrum di ogni passione, è freudiana perturbazione, è sopportare e patire, è
luce e ombra: è l’araba fenice della “scrittura del disastro”, che costruisce la propria stessa
assenza.
Mentre l’Informel di Mastroianni, che non è una formula, anzi è, per antonomasia, l’arte
senza formule, scopre la “via europea” che passa per il dominio sterminato ed impervio
della materia, conservando nella qualità della propria sostanza l’impronta o la memoria
dell’immagine, quello di Aubertin vorrebbe, al pari di Yves Klein, essere rapito in una palla
di fuoco, librarsi sull’umanità come un arcangelo vendicatore, e forse invidia l’illusione
descritta dal Kierkegaard de La malattia mortale, che gli fa vedere non in un al di là, ma
dal rovescio, e con allucinante chiarezza, i mali della vita.
Per Torrieri il fuoco è confine e soglia, divide il buio dalla luce, la vita dalla morte,
l’essere dal nulla; la visione è costretta ad “esserci”, finché rimane una briciola, un
frustolo di spessore cromatico: e si corromperà, proprio come il folgorio della fiamma, col
corrompersi della forma, si trasformerà col trasformarsi della materia, ma non cesserà
heideggerianamente di “esserci”. Nella pittura della Callegari il fuoco della physis, della
natura, è l’antitesi tra Osiride-Iside e Seth-Tifone: è l’opposizione tra sole e tenebre, ordine
e disordine, movimento e rigidezza. Ma l’artista, con Plutarco, sa bene che quella macchia
di rosso tenero e violento è un’intonazione fenomenica, troppo ricca di valori e aloni
simbolici per essere eliminata dal mondo. Così diventa una devota dell’armonia fra gli
opposti: una seguace di Eraclito, che diceva: “Armonia di opposti è l’armonia dell’universo,
come quella dell’arco e della lira”.
La mostra è preceduta da un’emblematica sezione-segnale, che vede la presenza
di due misteriosi dipinti ad olio su tela (di cm. 58x70) eseguiti in Italia intorno alla metà
del XVIII secolo da un ignoto pittore fiammingo, forse influenzato dal tocco cromatico
sempre preciso e un po’ secco, ma non calligrafico, di Alessio De Marchis. La novità della
pennellata sta proprio in una spirale d’ombra, che sale a volute larghe come un fumo nero
e in cui la luce, con uno sprazzo violento, arresta il moto ascensionale dell’incendio, con
un’opposizione subitanea che, fermando per un attimo l’empito del fuoco, ne fa sentire
pure più decisiva l’irruenza dinamica.
Ordinata nei nitidi ed antichi spazi del Centro Ceramico “Fornace Pagliero”, in località
Spineto di Castellamonte, diretto da Daniele Chechi, la rassegna Le figure del fuoco
– visitabile dal 7 luglio al 7 ottobre 2012 – è accompagnata da un’utile e preziosa
pubblicazione edita per i tipi dell’Archivio Umberto Mastroianni di Brescia e del Museo
Fornace Pagliero, con un saggio critico di Floriano De Santi e la riproduzione di tutte le
sessantadue opere tra tele, carte, sculture, terrecotte, assemblages e fotografie.
07
luglio 2012
Le Figure del Fuoco
Dal 07 luglio al 07 ottobre 2012
arte contemporanea
Location
MUSEO PAGLIERO DI CASTELLAMONTE
Castellamonte, (Torino)
Castellamonte, (Torino)
Orario di apertura
10/13 e 15/19, tutti i giorni tranne il lunedì
Vernissage
7 Luglio 2012, ore 18
Autore
Curatore