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Le invasioni barbariche
Una mostra dedicata ad artisti dell’Asia attuale provenienti da contesti culturali ampiamente diversificati, quanto possono essere il Pakistan e il Giappone. Quello che tuttavia li accomuna è la provenienza da aree densamente popolate e caratterizzate da una lunga storia culturale e civile.
Comunicato stampa
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Galleria Continua presenta un’importante rassegna di artisti provenienti dal vicino ed estremo Oriente. Un mondo culturale estremamente diversificato rispetto al sistema artistico/culturale occidentale. Gli artisti invitati appartengono a generazioni e a luoghi diversi tra loro, questo consente di comprendere meglio i pensieri e le dinamiche che legittimano a pieno titolo tali realtà all’interno del sistema dell’arte mondiale che, fino a pochi decenni fa, era da considerarsi appannaggio esclusivo dell’Occidente. Pier Luigi Tazzi ci presenta in modo lucido e chiaro (come si evince dal testo che segue) gli effetti, le cause e i presupposti futuri della globalizzazione.
Artisti invitati: Koo Jeong-a (nata a Seoul nel 1967, vive a Parigi), Durriya Kazi (nata a Karachi nel 1955, vive a Karachi), Surasi Kusolwong (nato a Ayutthaya nel 1965, vive a Bangkok), Naofumi Maruyama (nato a Niigata nel 1964, vive a Kanagawa), Shimabuku (nato a Kobe nel 1969, vive a Berlino), Thaiwijit (nato a Pattani 1959, vive a Bangkok), Huang Shih-Chieh (nato a Taipei nel 1975, vive a New York), Yang Fudong (nato a Beijing 1971, vive a Shanghai), Zhang Peili (nato a Hangzhou 1957, vive a Hangzhou)
“LE INVASIONI BARBARICHE è una mostra dedicata ad artisti dell’Asia attuale provenienti da contesti culturali ampiamente diversificati, quanto possono essere il Pakistan e il Giappone. Quello che tuttavia li accomuna è la provenienza da aree densamente popolate e caratterizzate da una lunga storia culturale e civile. Oggi, alle soglie del Terzo Millennio, secondo la cronologia occidentale, queste zone non sono più confinate nella regione esteriore dell’esotico, ma costituiscono parte integrante e necessaria del nostro mondo. L’arte che in esse viene prodotta è di immediata e vitale presenza e flagranza sull’orizzonte della civiltà nell’era della globalizzazione. L’arte ha assunto progressivamente la sua attuale formulazione a partire dalla fine del Settecento europeo, in concomitanza con la Prima Rivoluzione Industriale e il conseguente mutamento dei processi di produzione. Come tale è stata fino a pochi anni fa appannaggio pressoché esclusivo della Cultura Occidentale e il sistema dell’arte si è articolato in una struttura centralizzata che contemplava i concetti complementari di centro e periferia. Questa struttura è entrata in crisi nel momento in cui sono avanzati i processi della globalizzazione economica, e allo stesso tempo si è andato consumando il primato della cultura europea. Nel corso dell’ultimo decennio del millennio scorso hanno cominciato ad emergere a livello planetario istanze e modalità estetiche differenti da quelle proposte dalla cultura occidentale, pur essendo risultato vincente a livello planetario il modello culturale occidentale. Si è creata di fatto una situazione complessa in cui nel momento della sua vittoria il modello vincente ha mostrato segni di crisi e insieme hanno cominciato a presentarsi modalità operative e espressive di diversa matrice, complanari, e non oppositive o alternative, a quelle prodotte dal modello occidentale. L’interruzione del processo tipico della cultura dell’Occidente, secondo cui ad un modello stabilizzato si contrappone un nuovo modello ad esso alternativo che inizia la propria ascesa fino a diventare dominante a sua volta quando esso abbia una propria coerente qualità in grado di soppiantare il precedente diventato obsoleto, è stato forse l’effetto più deflagrante del nuovo stato dell’arte nel momento attuale. Artisti come il giapponese Tadashi Kawamata, il tailandese Rirkrit Tiravanija e i cinesi Chen Zhen e Cai Guo-Qiang, tanto per citare gli esempi più nobili, sono stati gli antesignani di questa fenomenologia al più alto livello. Le marche di differenza che caratterizzano i nuovi artisti riguardano non tanto la loro etnicità, quanto la loro sostanza individuale che filtra tradizioni culturali differenti e approda a risultati estetico-espressivi dotati di una nuova potenza. Questo passaggio attraverso la sensibilità dell’individuo è congruente con la concezione dell’arte fissata dalla cultura occidentale negli ultimi due secoli, e tuttavia da essa si distanzia essendo questi nuovi soggetti non-occidentali. Il moto verso l’Altro-da–sé che aveva attraversato l’arte occidentale nella seconda metà del XX secolo ha consentito l’accesso dell’Altro che ora si attesta a pieni titoli nell’universo attuale dell’arte e marca la propria differenza come affermazione della propria sovrana singolarità.
Se volessimo trovare un parallelo nella storia occidentale ad una tale profonda modificazione dovremmo ricercarlo nell’epoca delle invasioni barbariche che segnarono la fine dell’impero romano. Anche allora ad una crisi di valori interna, nel momento stesso in cui quell’impero raggiungeva la sua massima espansione, corrispose un lungo periodo di guerra e un inarrestabile flusso migratorio. Anche oggi guerre e flussi migratori potenti costellano il presente stato delle cose, benché la natura della guerra attuale sia profondamente diversa da quella antica sia nelle sue modalità che nei soggetti scatenanti che la favoriscono e la alimentano.
Gli artisti presentati in LE INVASIONI BARBARICHE provengono come i barbari di una volta dall’Oriente, ma a differenza di quelli non sono né rappresentano masse in armi, bensì individui singoli che la vincente modernità ha emancipato e legittimato a far sentire la propria voce, ad intonare il proprio canto, di umanità e di speranza, speranza in un futuro, che non si vuole utopisticamente migliore del nostro tormentato presente, ma in cui si riconoscano gli attuali valori positivi che il clangore di guerra tenta di ottundere. Rappresentanti di una generazione successiva a quella rappresentata dagli artisti pionieri sopraccitati, e ormai legittimati dal sistema generale dell’arte, questi artisti veicolano, ciascuno nei propri modi espressivi, questa positività umana troppo umana, che il nuovo impero sente come una minaccia nello stesso modo in cui quello antico temeva quella aggressiva dei barbari. Non sappiamo quanto il loro canto sia lungo, quanto riuscirà ad imporre la propria tranquilla melodia nel clamore disordinato del mondo attuale. Quel che sappiamo e a cui accordiamo la più ampia credibilità riguarda la loro attitudine verso il vivente e i suoi valori, che risulteranno diversi gli uni dagli altri, e tanto più diversi da quelli che si sono imposti sulla scena del mondo, ma che comunque ci riguardano, aldilà dei confini e delle imposte separatezze, nella nostra stessa essenza di viventi. Vengono dal Pakistan e dalla Cina, dal Giappone e dalla Tailandia, dalla Corea e dal Vietnam, e portano ciascuno il loro modo di essere, ancor prima di quello di operare, nutrito dalle varie terre di origine, ma mosso dal desiderio senza nome di essere parte del mondo della vita e di darne, attraverso il sapere della loro arte, testimonianza.
La mostra si articolerà nei vari spazi dell’ex-cinemateatro di via di Castello a costituire un ambiente di accoglienza e di spettacolo insieme, una sorta di teatro del mondo in cui la distanza fra attore e spettatore sarà, una volta di più, largamente ridotta.”
Pier Luigi Tazzi
Artisti invitati: Koo Jeong-a (nata a Seoul nel 1967, vive a Parigi), Durriya Kazi (nata a Karachi nel 1955, vive a Karachi), Surasi Kusolwong (nato a Ayutthaya nel 1965, vive a Bangkok), Naofumi Maruyama (nato a Niigata nel 1964, vive a Kanagawa), Shimabuku (nato a Kobe nel 1969, vive a Berlino), Thaiwijit (nato a Pattani 1959, vive a Bangkok), Huang Shih-Chieh (nato a Taipei nel 1975, vive a New York), Yang Fudong (nato a Beijing 1971, vive a Shanghai), Zhang Peili (nato a Hangzhou 1957, vive a Hangzhou)
“LE INVASIONI BARBARICHE è una mostra dedicata ad artisti dell’Asia attuale provenienti da contesti culturali ampiamente diversificati, quanto possono essere il Pakistan e il Giappone. Quello che tuttavia li accomuna è la provenienza da aree densamente popolate e caratterizzate da una lunga storia culturale e civile. Oggi, alle soglie del Terzo Millennio, secondo la cronologia occidentale, queste zone non sono più confinate nella regione esteriore dell’esotico, ma costituiscono parte integrante e necessaria del nostro mondo. L’arte che in esse viene prodotta è di immediata e vitale presenza e flagranza sull’orizzonte della civiltà nell’era della globalizzazione. L’arte ha assunto progressivamente la sua attuale formulazione a partire dalla fine del Settecento europeo, in concomitanza con la Prima Rivoluzione Industriale e il conseguente mutamento dei processi di produzione. Come tale è stata fino a pochi anni fa appannaggio pressoché esclusivo della Cultura Occidentale e il sistema dell’arte si è articolato in una struttura centralizzata che contemplava i concetti complementari di centro e periferia. Questa struttura è entrata in crisi nel momento in cui sono avanzati i processi della globalizzazione economica, e allo stesso tempo si è andato consumando il primato della cultura europea. Nel corso dell’ultimo decennio del millennio scorso hanno cominciato ad emergere a livello planetario istanze e modalità estetiche differenti da quelle proposte dalla cultura occidentale, pur essendo risultato vincente a livello planetario il modello culturale occidentale. Si è creata di fatto una situazione complessa in cui nel momento della sua vittoria il modello vincente ha mostrato segni di crisi e insieme hanno cominciato a presentarsi modalità operative e espressive di diversa matrice, complanari, e non oppositive o alternative, a quelle prodotte dal modello occidentale. L’interruzione del processo tipico della cultura dell’Occidente, secondo cui ad un modello stabilizzato si contrappone un nuovo modello ad esso alternativo che inizia la propria ascesa fino a diventare dominante a sua volta quando esso abbia una propria coerente qualità in grado di soppiantare il precedente diventato obsoleto, è stato forse l’effetto più deflagrante del nuovo stato dell’arte nel momento attuale. Artisti come il giapponese Tadashi Kawamata, il tailandese Rirkrit Tiravanija e i cinesi Chen Zhen e Cai Guo-Qiang, tanto per citare gli esempi più nobili, sono stati gli antesignani di questa fenomenologia al più alto livello. Le marche di differenza che caratterizzano i nuovi artisti riguardano non tanto la loro etnicità, quanto la loro sostanza individuale che filtra tradizioni culturali differenti e approda a risultati estetico-espressivi dotati di una nuova potenza. Questo passaggio attraverso la sensibilità dell’individuo è congruente con la concezione dell’arte fissata dalla cultura occidentale negli ultimi due secoli, e tuttavia da essa si distanzia essendo questi nuovi soggetti non-occidentali. Il moto verso l’Altro-da–sé che aveva attraversato l’arte occidentale nella seconda metà del XX secolo ha consentito l’accesso dell’Altro che ora si attesta a pieni titoli nell’universo attuale dell’arte e marca la propria differenza come affermazione della propria sovrana singolarità.
Se volessimo trovare un parallelo nella storia occidentale ad una tale profonda modificazione dovremmo ricercarlo nell’epoca delle invasioni barbariche che segnarono la fine dell’impero romano. Anche allora ad una crisi di valori interna, nel momento stesso in cui quell’impero raggiungeva la sua massima espansione, corrispose un lungo periodo di guerra e un inarrestabile flusso migratorio. Anche oggi guerre e flussi migratori potenti costellano il presente stato delle cose, benché la natura della guerra attuale sia profondamente diversa da quella antica sia nelle sue modalità che nei soggetti scatenanti che la favoriscono e la alimentano.
Gli artisti presentati in LE INVASIONI BARBARICHE provengono come i barbari di una volta dall’Oriente, ma a differenza di quelli non sono né rappresentano masse in armi, bensì individui singoli che la vincente modernità ha emancipato e legittimato a far sentire la propria voce, ad intonare il proprio canto, di umanità e di speranza, speranza in un futuro, che non si vuole utopisticamente migliore del nostro tormentato presente, ma in cui si riconoscano gli attuali valori positivi che il clangore di guerra tenta di ottundere. Rappresentanti di una generazione successiva a quella rappresentata dagli artisti pionieri sopraccitati, e ormai legittimati dal sistema generale dell’arte, questi artisti veicolano, ciascuno nei propri modi espressivi, questa positività umana troppo umana, che il nuovo impero sente come una minaccia nello stesso modo in cui quello antico temeva quella aggressiva dei barbari. Non sappiamo quanto il loro canto sia lungo, quanto riuscirà ad imporre la propria tranquilla melodia nel clamore disordinato del mondo attuale. Quel che sappiamo e a cui accordiamo la più ampia credibilità riguarda la loro attitudine verso il vivente e i suoi valori, che risulteranno diversi gli uni dagli altri, e tanto più diversi da quelli che si sono imposti sulla scena del mondo, ma che comunque ci riguardano, aldilà dei confini e delle imposte separatezze, nella nostra stessa essenza di viventi. Vengono dal Pakistan e dalla Cina, dal Giappone e dalla Tailandia, dalla Corea e dal Vietnam, e portano ciascuno il loro modo di essere, ancor prima di quello di operare, nutrito dalle varie terre di origine, ma mosso dal desiderio senza nome di essere parte del mondo della vita e di darne, attraverso il sapere della loro arte, testimonianza.
La mostra si articolerà nei vari spazi dell’ex-cinemateatro di via di Castello a costituire un ambiente di accoglienza e di spettacolo insieme, una sorta di teatro del mondo in cui la distanza fra attore e spettatore sarà, una volta di più, largamente ridotta.”
Pier Luigi Tazzi
05
febbraio 2005
Le invasioni barbariche
Dal 05 febbraio al 09 aprile 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA CONTINUA
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 14-19
Autore
Curatore