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Leonardo Blanco – Open End
Dichiara lo stesso artista: “Il mio intento è quello di lavorare sul confine, sul passaggio”
Comunicato stampa
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Inaugurerà sabato 23 maggio al Monte di Pietà la mostra di Leonardo Blanco dal titolo “Open End” a cura del critico d’arte Luigi Meneghelli, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Santarcangelo e dall’Istituto dei Musei Comunali. L’esposizione – che resterà aperta fino al 19 luglio – verrà inaugurata alle ore 18 alla presenza dell’autore, dell’assessore alla Cultura del Comune di Santarcangelo Manuela Ricci, del presidente e del direttore dell’Istituto dei Musei Comunali, rispettivamente Paolo Foschi e Mario Turci.
E proprio Paolo Foschi – in prefazione di catalogo – così scrive: “Giunti al termine di una legislatura può essere utile ripensare ai momenti più significativi che l’Istituto dei Musei Comunali e l’Amministrazione Comunale hanno promosso in quest’arco di tempo: ricordiamo l’inaugurazione del MUSAS nel maggio 2005 e il recupero dell’ex Monte di Pietà nel maggio 2006 come prestigioso spazio espositivo polivalente; questi importanti contenitori hanno reso possibile un’offerta culturale più ampia e diversificata, contribuendo a tessere una relazione più proficua fra i cittadini e la loro identità culturale. Le mostre organizzate dall’IMC hanno avuto l’obiettivo di una rivisitazione e di una conseguente valorizzazione dell’opera di artisti santarcangiolesi che hanno lasciato un’impronta significativa nella cultura del Novecento: questa operazione tuttora in atto, che ha ottenuto grande riconoscimento e partecipazione, si apre oggi al mondo dei giovani e vuole rappresentare un’attenzione doverosa e importante, tesa al riconoscimento di una presenza giovanile crescente, legata anche alla vivace attività del Centro Giovani. Si intende in questo modo dare inizio ad un percorso che si auspica possa trovare seguito nei prossimi anni: offrire ai fruitori appassionati dell’arte moderna e a giovani artisti la possibilità di rappresentare la loro visione del mondo, con linguaggi nuovi, con ricerche capaci di suscitare confronto e dibattito, con stimoli al dialogo e alla partecipazione democratica. Questa mostra dedicata e costruita insieme a Leonardo Blanco, giovane ma già affermato artista, vuole essere l’apertura di una fase maggiormente rivolta al presente e capace di proiettarsi nel futuro”.
L’assessore alla Cultura del Comune di Santarcangelo Manuela Ricci parla di Leonardo Blanco dichiarando che nell’esperienza e nel lavoro dell’artista non mancano l’umiltà e la saggezza di chi sa tener conto delle radici, e il coraggio e la leggerezza di chi non rinuncia al volo. Nella sua giovane carriera – prosegue la Ricci – v’è rigore di ricerca e ricchezza di sperimentazione, così come già una significativa serie di risultati e soddisfazioni ottenuti. Nel suo percorso, partito dall’insegnamento dei maestri di Santarcangelo, ha lavorato sul disegno come descrizione e narrazione di un mondo che si teme di perdere, toccando insieme le note della malinconia e dell’ironia. Prove e tecniche diverse lo misurano con materiali inusitati, anche di recupero. Il fascino della materia lo porta quindi ad una forma sempre più essenziale e allusiva: oggi il disegno si riduce a mero segno grafico e al tentativo di una parola che non riesce più a dire. Non già mera afasia, ma una sorta di scrittura zen, un partitura musicale di pura armonia o, infine, uno scatto fotografico in grado di fissare l’essenza stessa del movimento. È ben chiara – afferma l’assessore Ricci – la lezione della grande stagione dell’informale del Novecento, e la macchia di colore condensa un’emozione, la purezza di un’idea che tuttavia non manca di rimodellarsi in continuazione, e diventare persino un’altra idea. Il grado della poesia è altissimo, gli esiti sono raffinatissimi. Nessun compiacimento estetico, però. Accanto alle stupefacenti opere pittoriche (in realtà le tecniche sono assai più complesse), Leonardo porta avanti una sua personale riflessione d’impegno etico i cui messaggi vengono affidati per lo più alle installazioni già presentate in numerose e importanti mostre e di cui un esempio egli vuole offrire anche qui a Santarcangelo nelle sale del Monte di Pietà. Partire da questa sua esperienza crediamo sia utile anche per quanti, più giovani, intendono l’arte non già un esercizio di stile ma una rappresentazione (la più vera?) del mondo che ci è dato di vivere. Non sembrerà troppo azzardato o pretenzioso, infine, affermare che anche l’Amministrazione Comunale ha fatto in questi anni una sorta di percorso simile avviando una attività espositiva che mancava alla città: dopo aver indagato i grandi maestri (e, si badi, non aver ancora concluso il ciclo) ha inevitabilmente notato i giovani che stanno facendo ricerca artistica sperimentando tecniche, linguaggi, e temi nuovi. Si è pian piano scoperto un universo in gran fermento. E dunque – conclude la Ricci – è bene iniziare a mettere a fuoco quanto si è mosso e si muove intorno a noi in campo creativo, e proporre in una «Galleria» altre nuove chiavi di lettura che aiutino nella decodifica dei segni di questo nostro tempo. Cominciare da Blanco crediamo sia il miglior punto di partenza.
E sempre in prefazione di catalogo il critico d’arte Luigi Meneghelli dichiara che: “All’entrata di quello che un tempo era stato un Monte di Pietà, subito due elementi ambigui, enigmatici, metaforici: una struttura che sembra la prua di una canoa o anche l’estremità di un corno, ma come inserita nell’architettura e, dunque, elisa, amputata: insieme incombente e remota, estroflessa e ritirata. E, lì vicino, un’inquietante scultura realizzata assemblando un dondolo in lamiera e uno strumento usato per la monta del bestiame, ancora cioè una figura che rimanda al tema dell’oscillamento (tra piacere e dolore, tra attesa e incontro). Si capisce allora perché Leonardo Blanco abbia voluto titolare la sua mostra Open End (una fine aperta o, senza timore di rovinare la portata semantica dei due termini, un’apertura senza fine). Egli ha dovuto ricorrere a quella bizzarra, barocca figura retorica che è l’ossimoro, un autentico ammicco a una realtà in cui gli opposti si tollerano, o meglio convivono come in una fucina di combinazioni alchemiche. Così i suoi quadri si presentano con proprie regole interne che non hanno nulla a che fare con una precisa coerenza linguistica. Non sono desolatamente informali, né elegantemente geometrici, ma neppure arrogantemente evocativi. Sembrano, anzi, spingere l’immagine quasi a complottare contro se stessa, a disubbidire a tutte le sapienze, ad atteggiarsi sempre in nuove fogge. E’ come se l’artista – prosegue Meneghelli – invece che mirare ad essere identico a se stesso fino alla manìa, cercasse di essere continuamente diverso come un guitto, che nasconde il volto dietro maschere capricciose. Il kit della sua pratica artistica prevede tamburati di legno, fogli di alluminio usati, vecchi regesti, stampe digitali, acrilici, chine, resine. Un’attrezzatura che si potrebbe trovare tanto nell’antro di un mago che nello studio di un progettista. Ciò che interessa a Blanco è conquistare un’immagine popolata di ombre, di cose non nate (o già finite), di larve figurali e insieme organizzare, dare un equilibrio a questi barlumi di eternità (anche se si tratta sempre di un’eternità che dura solo un minuto). Si tratta invariabilmente della congiunzione tra ordine e disordine, tra armonia e caos. Lo sostiene a chiare lettere lo stesso artista: “il mio intento è quello di lavorare sul confine, sul passaggio”: su quella zona precaria dove nulla è limitato, netto, preciso. Se osserviamo uno qualsiasi dei lavori, ciò che ci si presenta davanti apparentemente è una gestualità nervosa, incontrollata, inarginabile, è un colore steso a pennellate rapide, energiche, a volte addirittura con la furia delle mani stesse. Al limite dell’Action, dove l’ultimo testamento della forma scompare e l’artista diventa la cosa stessa che sta creando. Solo che l’obiettivo di Blanco non è quello di eliminare il confine tra arte e vita, tra traccia e corpo, ma di indagare proprio l’avventura della traccia, il suo andare casuale, precario, senza una vera fine (o, anche, senza un vero fine, che, in fondo, è la stessa cosa). E allora egli torna metaforicamente sui suoi passi, cancellando, negando, velando (o, al contrario, aggiungendo altro materiale, quasi a voler rilevare tutti gli inciampi che si possono incontrare sulla “strada della creazione”). Così, alla fine, ciò di cui facciamo veramente esperienza, è quella di “luoghi d’anima”, di schegge di tenebra, di lettere di un alfabeto sconosciuto, in cui i segni acquistano un proprio essere, cessando di essere segni di qualcosa. E lo stesso si può dire anche per quelle opere che si basano su stampe digitali. Tutte le foto esibiscono entità fantasmatiche, sfocate, vicine a certi effetti di “solarizzazione” del surrealismo, dove più che la riproduzione della cosa conta l’allusione alla cosa stessa o addirittura il segno della sua assenza. Anche per Blanco importante è dar conto di una perdita o di una ulteriorità visiva. Il che non significa affrontare i territori dell’automatismo o del subconscio, quanto invece indagare l’immagine e la ragione della sua essenza, attuare, attraverso le materie, una riflessione su quelli che sono gli intimi processi del fare. E quando, per ultimo, Blanco avvolge con le sue resine industriali il quadro, il suo sembra un atto di preservazione e di custodia: quasi un mettere in salvo l’evento creativo. Solo che anche le resine sono materie che impongono la loro lampante fisicità. E la impongono soprattutto a quelle partiture asciutte e algide che danno l’impressione di segregare le varie immagini. Così, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una ambivalenza: a una difesa e a un imprigionamento, a un riparo e a una reclusione. Ma davvero poi le clausure geometriche sono perentorie come sbarre o invece tutto lo spazio è inesorabilmente un divenire, dove la perfezione scivola nell’anomalia, il dentro nel fuori, la superficie nel fondo, “l’aperto nel chiuso”?”
Leonardo Blanco, sammarinese, nasce a Santarcangelo di Romagna il 16 maggio 1968. Autodidatta, ha al suo attivo diverse mostre personali e collettive, fra queste, nel 2005 la 2° Biennale d’Arte di Pechino e nel 2007 Open10, Esposizione Internazionale di Sculture e Installazioni (Venezia, Lido). Le sue opere sono conservate presso collezioni pubbliche e private. Alcune sue opere sono in mostra permanente nella Repubblica di San Marino e all’estero. Sarà presente con una installazione (Dollywood) alla 53° Biennale d’Arte di Venezia.
E proprio Paolo Foschi – in prefazione di catalogo – così scrive: “Giunti al termine di una legislatura può essere utile ripensare ai momenti più significativi che l’Istituto dei Musei Comunali e l’Amministrazione Comunale hanno promosso in quest’arco di tempo: ricordiamo l’inaugurazione del MUSAS nel maggio 2005 e il recupero dell’ex Monte di Pietà nel maggio 2006 come prestigioso spazio espositivo polivalente; questi importanti contenitori hanno reso possibile un’offerta culturale più ampia e diversificata, contribuendo a tessere una relazione più proficua fra i cittadini e la loro identità culturale. Le mostre organizzate dall’IMC hanno avuto l’obiettivo di una rivisitazione e di una conseguente valorizzazione dell’opera di artisti santarcangiolesi che hanno lasciato un’impronta significativa nella cultura del Novecento: questa operazione tuttora in atto, che ha ottenuto grande riconoscimento e partecipazione, si apre oggi al mondo dei giovani e vuole rappresentare un’attenzione doverosa e importante, tesa al riconoscimento di una presenza giovanile crescente, legata anche alla vivace attività del Centro Giovani. Si intende in questo modo dare inizio ad un percorso che si auspica possa trovare seguito nei prossimi anni: offrire ai fruitori appassionati dell’arte moderna e a giovani artisti la possibilità di rappresentare la loro visione del mondo, con linguaggi nuovi, con ricerche capaci di suscitare confronto e dibattito, con stimoli al dialogo e alla partecipazione democratica. Questa mostra dedicata e costruita insieme a Leonardo Blanco, giovane ma già affermato artista, vuole essere l’apertura di una fase maggiormente rivolta al presente e capace di proiettarsi nel futuro”.
L’assessore alla Cultura del Comune di Santarcangelo Manuela Ricci parla di Leonardo Blanco dichiarando che nell’esperienza e nel lavoro dell’artista non mancano l’umiltà e la saggezza di chi sa tener conto delle radici, e il coraggio e la leggerezza di chi non rinuncia al volo. Nella sua giovane carriera – prosegue la Ricci – v’è rigore di ricerca e ricchezza di sperimentazione, così come già una significativa serie di risultati e soddisfazioni ottenuti. Nel suo percorso, partito dall’insegnamento dei maestri di Santarcangelo, ha lavorato sul disegno come descrizione e narrazione di un mondo che si teme di perdere, toccando insieme le note della malinconia e dell’ironia. Prove e tecniche diverse lo misurano con materiali inusitati, anche di recupero. Il fascino della materia lo porta quindi ad una forma sempre più essenziale e allusiva: oggi il disegno si riduce a mero segno grafico e al tentativo di una parola che non riesce più a dire. Non già mera afasia, ma una sorta di scrittura zen, un partitura musicale di pura armonia o, infine, uno scatto fotografico in grado di fissare l’essenza stessa del movimento. È ben chiara – afferma l’assessore Ricci – la lezione della grande stagione dell’informale del Novecento, e la macchia di colore condensa un’emozione, la purezza di un’idea che tuttavia non manca di rimodellarsi in continuazione, e diventare persino un’altra idea. Il grado della poesia è altissimo, gli esiti sono raffinatissimi. Nessun compiacimento estetico, però. Accanto alle stupefacenti opere pittoriche (in realtà le tecniche sono assai più complesse), Leonardo porta avanti una sua personale riflessione d’impegno etico i cui messaggi vengono affidati per lo più alle installazioni già presentate in numerose e importanti mostre e di cui un esempio egli vuole offrire anche qui a Santarcangelo nelle sale del Monte di Pietà. Partire da questa sua esperienza crediamo sia utile anche per quanti, più giovani, intendono l’arte non già un esercizio di stile ma una rappresentazione (la più vera?) del mondo che ci è dato di vivere. Non sembrerà troppo azzardato o pretenzioso, infine, affermare che anche l’Amministrazione Comunale ha fatto in questi anni una sorta di percorso simile avviando una attività espositiva che mancava alla città: dopo aver indagato i grandi maestri (e, si badi, non aver ancora concluso il ciclo) ha inevitabilmente notato i giovani che stanno facendo ricerca artistica sperimentando tecniche, linguaggi, e temi nuovi. Si è pian piano scoperto un universo in gran fermento. E dunque – conclude la Ricci – è bene iniziare a mettere a fuoco quanto si è mosso e si muove intorno a noi in campo creativo, e proporre in una «Galleria» altre nuove chiavi di lettura che aiutino nella decodifica dei segni di questo nostro tempo. Cominciare da Blanco crediamo sia il miglior punto di partenza.
E sempre in prefazione di catalogo il critico d’arte Luigi Meneghelli dichiara che: “All’entrata di quello che un tempo era stato un Monte di Pietà, subito due elementi ambigui, enigmatici, metaforici: una struttura che sembra la prua di una canoa o anche l’estremità di un corno, ma come inserita nell’architettura e, dunque, elisa, amputata: insieme incombente e remota, estroflessa e ritirata. E, lì vicino, un’inquietante scultura realizzata assemblando un dondolo in lamiera e uno strumento usato per la monta del bestiame, ancora cioè una figura che rimanda al tema dell’oscillamento (tra piacere e dolore, tra attesa e incontro). Si capisce allora perché Leonardo Blanco abbia voluto titolare la sua mostra Open End (una fine aperta o, senza timore di rovinare la portata semantica dei due termini, un’apertura senza fine). Egli ha dovuto ricorrere a quella bizzarra, barocca figura retorica che è l’ossimoro, un autentico ammicco a una realtà in cui gli opposti si tollerano, o meglio convivono come in una fucina di combinazioni alchemiche. Così i suoi quadri si presentano con proprie regole interne che non hanno nulla a che fare con una precisa coerenza linguistica. Non sono desolatamente informali, né elegantemente geometrici, ma neppure arrogantemente evocativi. Sembrano, anzi, spingere l’immagine quasi a complottare contro se stessa, a disubbidire a tutte le sapienze, ad atteggiarsi sempre in nuove fogge. E’ come se l’artista – prosegue Meneghelli – invece che mirare ad essere identico a se stesso fino alla manìa, cercasse di essere continuamente diverso come un guitto, che nasconde il volto dietro maschere capricciose. Il kit della sua pratica artistica prevede tamburati di legno, fogli di alluminio usati, vecchi regesti, stampe digitali, acrilici, chine, resine. Un’attrezzatura che si potrebbe trovare tanto nell’antro di un mago che nello studio di un progettista. Ciò che interessa a Blanco è conquistare un’immagine popolata di ombre, di cose non nate (o già finite), di larve figurali e insieme organizzare, dare un equilibrio a questi barlumi di eternità (anche se si tratta sempre di un’eternità che dura solo un minuto). Si tratta invariabilmente della congiunzione tra ordine e disordine, tra armonia e caos. Lo sostiene a chiare lettere lo stesso artista: “il mio intento è quello di lavorare sul confine, sul passaggio”: su quella zona precaria dove nulla è limitato, netto, preciso. Se osserviamo uno qualsiasi dei lavori, ciò che ci si presenta davanti apparentemente è una gestualità nervosa, incontrollata, inarginabile, è un colore steso a pennellate rapide, energiche, a volte addirittura con la furia delle mani stesse. Al limite dell’Action, dove l’ultimo testamento della forma scompare e l’artista diventa la cosa stessa che sta creando. Solo che l’obiettivo di Blanco non è quello di eliminare il confine tra arte e vita, tra traccia e corpo, ma di indagare proprio l’avventura della traccia, il suo andare casuale, precario, senza una vera fine (o, anche, senza un vero fine, che, in fondo, è la stessa cosa). E allora egli torna metaforicamente sui suoi passi, cancellando, negando, velando (o, al contrario, aggiungendo altro materiale, quasi a voler rilevare tutti gli inciampi che si possono incontrare sulla “strada della creazione”). Così, alla fine, ciò di cui facciamo veramente esperienza, è quella di “luoghi d’anima”, di schegge di tenebra, di lettere di un alfabeto sconosciuto, in cui i segni acquistano un proprio essere, cessando di essere segni di qualcosa. E lo stesso si può dire anche per quelle opere che si basano su stampe digitali. Tutte le foto esibiscono entità fantasmatiche, sfocate, vicine a certi effetti di “solarizzazione” del surrealismo, dove più che la riproduzione della cosa conta l’allusione alla cosa stessa o addirittura il segno della sua assenza. Anche per Blanco importante è dar conto di una perdita o di una ulteriorità visiva. Il che non significa affrontare i territori dell’automatismo o del subconscio, quanto invece indagare l’immagine e la ragione della sua essenza, attuare, attraverso le materie, una riflessione su quelli che sono gli intimi processi del fare. E quando, per ultimo, Blanco avvolge con le sue resine industriali il quadro, il suo sembra un atto di preservazione e di custodia: quasi un mettere in salvo l’evento creativo. Solo che anche le resine sono materie che impongono la loro lampante fisicità. E la impongono soprattutto a quelle partiture asciutte e algide che danno l’impressione di segregare le varie immagini. Così, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una ambivalenza: a una difesa e a un imprigionamento, a un riparo e a una reclusione. Ma davvero poi le clausure geometriche sono perentorie come sbarre o invece tutto lo spazio è inesorabilmente un divenire, dove la perfezione scivola nell’anomalia, il dentro nel fuori, la superficie nel fondo, “l’aperto nel chiuso”?”
Leonardo Blanco, sammarinese, nasce a Santarcangelo di Romagna il 16 maggio 1968. Autodidatta, ha al suo attivo diverse mostre personali e collettive, fra queste, nel 2005 la 2° Biennale d’Arte di Pechino e nel 2007 Open10, Esposizione Internazionale di Sculture e Installazioni (Venezia, Lido). Le sue opere sono conservate presso collezioni pubbliche e private. Alcune sue opere sono in mostra permanente nella Repubblica di San Marino e all’estero. Sarà presente con una installazione (Dollywood) alla 53° Biennale d’Arte di Venezia.
23
maggio 2009
Leonardo Blanco – Open End
Dal 23 maggio al 19 luglio 2009
arte contemporanea
Location
MONTE DI PIETA’
Santarcangelo Di Romagna, Via Della Costa, 15, (Rimini)
Santarcangelo Di Romagna, Via Della Costa, 15, (Rimini)
Orario di apertura
dal mercoledì alla domenica dalle 17 alle 19,30, venerdì dalle 17 alle 19,30 e dalle 21 alle 23 (lunedì e martedì chiuso).
Vernissage
23 Maggio 2009, ore 18
Sito web
www.metweb.org
Autore
Curatore