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Leonardo Castellani – 50 anni di incisioni (1935-1984)
L’esposizione , realizzata a 125 anni dalla nascita dell’artista, presenta oltre cinquanta opere realizzate con la tecnica dell’acquaforte e della puntasecca ed incise a partire dal 1935 per arrivare al 1984 anno della sua scomparsa.
Comunicato stampa
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A 125 anni dalla nascita, la Galleria “Arianna Sartori. Arte & Object Design” di Mantova, nella sala di via Ippolito Nievo 10, presenterà una interessante selezione di incisioni del Maestro Leonardo Castellani (Faenza 1896 - Urbino 1984).
L’esposizione intitolata “Leonardo Castellani. 50’anni di incisioni: 1935-1984”, curata da Adalberto Sartori, presenta oltre cinquanta opere realizzate con la tecnica dell’acquaforte e della puntasecca ed incise a partire dal 1935 per arrivare al 1984 anno della sua scomparsa.
La retrospettiva, allestita da Maria Gabriella Savoia, sarà inaugurata sabato 20 febbraio alle ore 16.30 alla presenza del figlio Prof. Claudio Castellani e resterà aperta al pubblico fino al 4 marzo 2021, con orario: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30, chiuso festivi.
Il Maestro Leonardo Castellani era già stato ricordato dalla Galleria Arianna Sartori nel gennaio 2007 con l’antologica “Il paesaggio di Urbino come incanto poetico” che aveva suscitato un notevole interesse di pubblico e critica.
Il paesaggio di Urbino come incanto poetico
di Floriano De Santi
“Per Leonardo Castellani il paesaggio di Urbino e dintorni è una trasmutazione d’infinito nei termini della quotidianità. Vi è in esso un incontro lirico di muricce e segni divisori che la punta d’acciaio incide sul piano della lastra, e che da al reticolo sottile degli incroci qualcosa di effervescente, che avanza verso di noi, un flusso luministico che entra materiato nella percezione allo stesso modo degli inchiostri cézanniani. Nelle tante incisioni che Castellani è venuto eseguendo nell’arco di un’intera vita ( sono più di millecinquecento opere tra acquetinte, puntesecche e acqueforti), ciò che sorprende è la forza di evocazione, anzi, l’evidenza concreta e formale del mondo reale, con i mezzi più semplici dell’espressione grafica: una traccia, un respiro, un’ombra vellutata e lo spazio diventa mentale, pur se sotto la pelle vibri di un sentimento elegiaco. Così, ad esempio, un pagliaio nel mezzo della campagna è una macchia d’infinito rappresa, una secrezione perlacea raccolta alla cavità, all’essenza espansiva dell’universo. Che è poi segnale della fulmineità temporale, momento amplificatorio dell’orizzonte ottico-sensibile che rende più evidente e imperturbabile la distanza, come se Castellani riscrivesse nella propria lingua l’impaurente aforisma pascaliano del frantumarsi del silenzio cosmico nella realtà pervasiva dell’attimo.
Sull’immagine che fa gruppo nel foglio incisorio, e sui microeventi che in essa si compongono sempre armoniosamente (pur se sia da riconsiderare con occhi diversi e con un altrimenti meditato senso ermeneutico la “maniera nera” che Castellani tenne ferma grosso modo sino alla prima metà degli anni Quaranta), vive un’accezione sostantiva e mentale dell’opera grafica che non diseredita tuttavia l’apprensione concreta dei dati e delle evenienze visibili. È una linea di lettura, questa, che può svolgersi lungo il doppio versante delle forme del contenuto e delle forme dell’espressione: come dire che il linguaggio grafico di Castellani, per esprimere quel suo mondo, si articola in flessioni intonative capaci di offrire un senso linguistico alle sue percezioni.
Giunti a questo punto, il metodo più penetrante e corretto sarebbe l’analisi delle armature stilistiche che governano il testo, analisi sentita comparativamente con le leggi e i segni espressivi della maggiore grafica del Novecento. A semiologi e strutturalisti di valore non mancherà certo l’occasione per farlo, vista ormai la classicità di questo artista. Per intanto si dica, per mostrarne il valore d’innovazione, che il segno spiovente che Castellani colse nel Canaletto e in Marco Ricci (tanto che un Valsecchi poté non senza motivi parlare di una grafica settecentesca trasferita nelle pieghe del linguaggio moderno e novecentesco), ha disegnato, nel concorso con il segno in verticale e in orizzontale che solo impiegavano nelle prime prove Bartolini e Morandi, un oggettivo arricchimento del tratteggio dell’incisione (e in tal senso si vedano fogli quali Autoritratto del ’30, L’Arzilla del ’31, Il picchio del ’34 e Conchiglie del ’41). Su un uguale terreno di cultura è insomma germinata una natura lirica che ha poi dislagato, sempre con controllo e misura, nell’effetto assolutamente abbagliante dei capolavori di questo secondo dopoguerra: dalla Piantaccia di fico del ’52 a Pioppi a Gadana del ’77, dal Campanile di Schieti del ’62 a Villa dell’orologio del ’79.
“Le opere di Castellani”, ha scritto con acutezza e intrigante scrittura Paolo Volponi, un altro grande interprete della città ducale, “dai rarissimi (purtroppo) oli ai disegni, dalle acqueforti agli acquerelli hanno un andamento costruttivo ed una geometria del tutto particolari, che tanno fuori, a giudizio e a rimembranza delle tipicità urbinati: prospettive urbane, luce, ondosità collinare fino ai trapezi appenninici, e che non vi entrano come rappresentazione e indulgenza e nemmeno come un altro elemento di quella bellezza naturale ed insieme architettonica. Castellani anche quando li dipinge e disegna non cede a una collina, a un refolo di vento che scompone le luci di una piantata; non entra nel sentimento novecentistico della loro enfasi, posizione e natura, non li distingue, li pittura in un sentimento proprio e li ricostruisce con i nuovi mezzi così originariamente che essi, prima, quella collina o boschina di alberi, non sono mai esistiti e cominciano ad esistere adesso sulla tela o sulla carta. Eppure niente era più naturale e facile che Castellani cadesse dentro Urbino, diventandone il cantore convinto ed il vedutista, vivendoci ed insegnandoci per 50 anni, con famiglia urbinate, a contatto come maestro e cittadino, di tutte le verità sociali più fertili della città, oltreché di quelle della sua inestinguibile bellezza”.
Sollecitato soprattutto dalle immagini che gli venivano incontro dalle finestre aperte del suo studio su un vasto orizzonte di colline, di macchie e di radure (Dalla parte della casa del ’65), dai cascinali bianche e muti (La collina più alta del ’69), dai magri filari di vitacee di un verde un po’ spento che interrompevano le zone color ocra dorata dei campi di grano falciato (come in un paesaggio di Timoteo Viti e di Piero della Francesca), dalle folti siepi che costeggiavano le curve lente delle strade bianche (San Giovanni di Urbino del ’62), dalle masse confuse degli alberi che si stagliavano contro il pallido azzurro del cielo estivo (La pozza della Madonna dell’Homo del ’59), Castellani individuava nelle lontananze, e a lungo meditava, i motivi della sua intenzione creativa.
Già in Monte Dolce del ’36 e in Paesaggio al Tirasegno dell’anno appresso c’è un elemento che vorrei dire morale che – con concretezza e semplicità austere – fissa la volatile essenzialità della poesia dell’infinito in quelle campagne solitarie. Qui il segno non è mai abbandonato a se stesso, la tessitura grafica non costruisce atmosfere indistinte o vagamente assorbenti. L’analisi di tutto il campo d’intervento trasforma i dati meramente oggettivi, suddivide con un rigore che quasi verrebbe di chiamare costruttivista le zone di chiaro con quelle d’ombra e di penombra. Le forme – anche se fossero quelle delle splendide nature morte (tanto per semplificare, e per restare alle opere più note, citiamo Il tavolo del pittore del ’36, Storia naturale del ’41, Fiori gialli del ’46 e Conchiglia e farfallone del ’50) nelle quali par di cogliere, attraverso la perizia dell’intreccio, la materia di cui son fatti i vasi, le bottiglie, i lumi a petrolio, le chiocciole, gli animali imbalsamati, i fiori secchi – si dispongono secondo una logica di composizione che non lascia nulla al caso e, perciò, nulla agli abbandoni sentimentali. In ultimo, la norma razionale – di visione, d’intervento, di comportamento – rovescia la Forschung, l’indagine figurativa nella sintesi che è necessaria alla compiutezza dell’opera.
Come se fosse stato il paesaggio urbinate ad avvicinarlo all’area dei suoi primi interessi culturali (Raffaello, Barocci, il vedutismo lagunare e quanto poteva aver assimilato dal volume del Pica sugli impressionisti pubblicato nel 1908) e, attraverso tale esperienza, a condurlo per la difficile strada dell’individuazione, i “motivi” tracciati sul metallo o sulla carta o sulla tela di Castellani nascevano, e molto lentamente, solo nella sua testa. Se le sue acqueforti erano quasi sempre impostate e risolte in pochi giorni, senza pentimenti, con una padronanza assoluta dei toni e delle forme, spesso sul solco di un rapido e leggero accenno della matita, questo scioglimento si verificava solamente dopo una lunga incubazione, dopo una lenta e meditata assimilazione del soggetto, dopo una serie di schizzi preparatori, quando cioè l’opera era già matura nella sua mente.
È un atteggiamento simile a quello di Proust immobile davanti alle rose del Bengala, in attesa che gli rivelino la loro essenza. Giacomo Debenedetti, in una pagina famosa, ha creato un rapporto tra quell’episodio, riferito a Reynaldo Hahn che era presente, e un breve scritto di Sartre sull’“intenzionalità husserliana” illuminando un modo di conoscenza diverso da quello dello spirito-ragno, o spirito-struzzo, che “mangia” e digerisce le cose per conoscerle, un modo invece per il quale la conoscenza, data l’immobilità dell’artista e della cosa uno di fronte all’altra, è un “esplodere reciproco”. La cosa stessa ha acquistato, sotto la contemplazione dell’artista, la capacità di “esplodere verso di lui”, aprirgli la sua scorza, rivelargli la sua sostanza. Questo era il modo di Castellani davanti al paesaggio di Urbino: di attesa, di passività e poi di penetrazione: il modo dello spirito lento e dell’“incanto poetico misto di verità e di grazia”.
Leonardo Castellani
Nacque a Faenza il 19 ottobre 1896, da famiglia faentina di ebanisti.
È stato uno dei più grandi artisti italiani del 1900.
Suo padre, Federico, intagliatore e dirigente dell’Ebanisteria faentina, si trasferì con la famiglia a Cesena nel 1909, dove era stato chiamato a dirigere, presso la Scuola Industriale, la sezione ebanisti-intagliatori. Nel 1914 Leonardo venne licenziato dalla Scuola Industriale come ebanista-intagliatore, e successivamente si iscrisse all’Accademia di Firenze, nella sezione “scultura” dove conobbe Osvaldo Licini (anche questi frequentò la sezione “scultura”). Trasferitosi a Roma, frequentò per un certo periodo lo studio dello scultore Ettore Ferrari; ma ritornò presto a Cesena per fondarvi una fabbrichetta di ceramica, intitolata “Bottega di ceramica artistica”. Durante il periodo romano aveva frequentato il gruppo futurista di F. T. Marinetti, collaborando a quel movimento artistico. Per dissensi commerciali la “Bottega di ceramica artistica” si chiude nel 1923. Castellani allestì a Cesena, nello stesso anno, una mostra di ceramica e continuò con la decorazione pittorica e la scultura. Espose alla III Biennale Romana (1925), partecipò dal 1926 al 1956 a molte Biennali veneziane, a tutte le Mostre all’estero organizzate dal Sindacato del Bianco e Nero di Roma e a quelle promosse dalla Calcografia Nazionale di Roma. Nel 1927, dopo una mostra personale a Cesena, sotto gli auspici degli Amici dell’Arte (16 pitture e 16 disegni), si trasferì a Venezia, dove rimase circa un anno, in attesa di migliore fortuna. Nel 1928 venne chiamato a Fano, come insegnante incaricato di decorazione e di ceramica. Fu in questo periodo che avviò decisamente - dopo ripetuti tentativi - l’attività di incisore. Nel 1930 venne chiamato a Urbino, a ricoprire la cattedra di Calcografia all’Istituto d’arte per la decorazione e illustrazione del Libro. La tenne per 38 anni. A Urbino, diviso quindi fra l’insegnamento e l’incisione, realizzò la quasi totalità delle sue lastre. Sotto la sua guida si formarono i migliori incisori provenienti dalla Scuola di Urbino. Due le antologiche: a Urbino nel 1976, e a Faenza due anni dopo. Viaggiatore instancabile e scrittore raffinato pubblicò moltissime pagine di prosa e poesia in varie occasioni.
Leonardo Castellani scomparve all’età di 88 anni, il 20 novembre 1984 a Urbino.
A Urbino è aperto al pubblico il Museo Castellani, che riunisce 150 incisioni donate dalla moglie Edvige e dai figli Paolo, Silvestro e Claudio.
Opere di Leonardo Castellani sono presenti in numerosi Musei e Biblioteche (Helsinki, Londra, Milano, Padova, Roma, Verona, Vicenza, Firenze, Ascoli Piceno, Cesena, Faenza, New York, Parigi, Piove di Sacco, Reggio Emilia, Urbania), nonché presso importanti Fondazioni (Fondazione Cini, Venezia; Matalon, Milano; Tito Balestra, Longiano; Mastroianni, Arpino; Il Bisonte, Firenze; Museo Alessandro Appella, Castronuovo Sant’Andrea; Raccolta delle Stampe Adalberto Sartori, Mantova; Pinacoteca, Faenza; Castel Durante, Urbania; Museo Zuccherman, Padova; archivi, Palazzo Bomben della Fondazione Benetton Studi Ricerche biblioteca Fondazione Benetton, Treviso ed altri musei).
Bibliografia essenziale:
1974 - “Leonardo Castellani, Opera Grafica (1928-1973)”, a cura di Neri Pozza Editore Vicenza. “Ampliamenti all’Opera Grafica (1973 -1984)”, Vicenza, Neri Pozza Editore.
1990 - “Leonardo Castellani, Mostra a Klagenfurt (A) 1990-1991”, catalogo stampato a cura dell’Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino per il Comune di Klagenfurt, Pesaro, Edizioni della Pergola.
1994 - “L’illimite lirico. L’opera artistica e letteraria di Leonardo Castellani”, a cura di Floriano e Gualtiero De Santi, Edigrafital Teramo.
1997 - Floriano De Santi, “Leonardo Castellani. Il Paesaggio dell’anima”. Dipinti, sculture, ceramiche, disegni, acquerelli, incisioni, libri d’arte, dal 1914 al 1984, Galleria d’arte moderna e contemporanea della Repubblica di San Marino, Centro Internazionale “Umberto Mastroianni” del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, Tipolitografia Queriniana.
2000 - A cura di Claudio Castellani, Giampaolo Dal Pra, Giuseppe Lotto, Umberto Marinello, “Leonardo Castellani, Incisioni”. Testi critici di Umberto Marinello e Giorgio Segato, Piove di Sacco, Centro Piovese d’Arte e Cultura.
2013 - Segno e racconto: Urbino, Accademia Raffaello, Bottega Giovanni Santi in casa Raffaello.
2019 - Ritratti, racconti di vita. Urbino, Accademia Raffaello, Bottega Giovanni Santi in casa Raffaello.
L’esposizione intitolata “Leonardo Castellani. 50’anni di incisioni: 1935-1984”, curata da Adalberto Sartori, presenta oltre cinquanta opere realizzate con la tecnica dell’acquaforte e della puntasecca ed incise a partire dal 1935 per arrivare al 1984 anno della sua scomparsa.
La retrospettiva, allestita da Maria Gabriella Savoia, sarà inaugurata sabato 20 febbraio alle ore 16.30 alla presenza del figlio Prof. Claudio Castellani e resterà aperta al pubblico fino al 4 marzo 2021, con orario: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30, chiuso festivi.
Il Maestro Leonardo Castellani era già stato ricordato dalla Galleria Arianna Sartori nel gennaio 2007 con l’antologica “Il paesaggio di Urbino come incanto poetico” che aveva suscitato un notevole interesse di pubblico e critica.
Il paesaggio di Urbino come incanto poetico
di Floriano De Santi
“Per Leonardo Castellani il paesaggio di Urbino e dintorni è una trasmutazione d’infinito nei termini della quotidianità. Vi è in esso un incontro lirico di muricce e segni divisori che la punta d’acciaio incide sul piano della lastra, e che da al reticolo sottile degli incroci qualcosa di effervescente, che avanza verso di noi, un flusso luministico che entra materiato nella percezione allo stesso modo degli inchiostri cézanniani. Nelle tante incisioni che Castellani è venuto eseguendo nell’arco di un’intera vita ( sono più di millecinquecento opere tra acquetinte, puntesecche e acqueforti), ciò che sorprende è la forza di evocazione, anzi, l’evidenza concreta e formale del mondo reale, con i mezzi più semplici dell’espressione grafica: una traccia, un respiro, un’ombra vellutata e lo spazio diventa mentale, pur se sotto la pelle vibri di un sentimento elegiaco. Così, ad esempio, un pagliaio nel mezzo della campagna è una macchia d’infinito rappresa, una secrezione perlacea raccolta alla cavità, all’essenza espansiva dell’universo. Che è poi segnale della fulmineità temporale, momento amplificatorio dell’orizzonte ottico-sensibile che rende più evidente e imperturbabile la distanza, come se Castellani riscrivesse nella propria lingua l’impaurente aforisma pascaliano del frantumarsi del silenzio cosmico nella realtà pervasiva dell’attimo.
Sull’immagine che fa gruppo nel foglio incisorio, e sui microeventi che in essa si compongono sempre armoniosamente (pur se sia da riconsiderare con occhi diversi e con un altrimenti meditato senso ermeneutico la “maniera nera” che Castellani tenne ferma grosso modo sino alla prima metà degli anni Quaranta), vive un’accezione sostantiva e mentale dell’opera grafica che non diseredita tuttavia l’apprensione concreta dei dati e delle evenienze visibili. È una linea di lettura, questa, che può svolgersi lungo il doppio versante delle forme del contenuto e delle forme dell’espressione: come dire che il linguaggio grafico di Castellani, per esprimere quel suo mondo, si articola in flessioni intonative capaci di offrire un senso linguistico alle sue percezioni.
Giunti a questo punto, il metodo più penetrante e corretto sarebbe l’analisi delle armature stilistiche che governano il testo, analisi sentita comparativamente con le leggi e i segni espressivi della maggiore grafica del Novecento. A semiologi e strutturalisti di valore non mancherà certo l’occasione per farlo, vista ormai la classicità di questo artista. Per intanto si dica, per mostrarne il valore d’innovazione, che il segno spiovente che Castellani colse nel Canaletto e in Marco Ricci (tanto che un Valsecchi poté non senza motivi parlare di una grafica settecentesca trasferita nelle pieghe del linguaggio moderno e novecentesco), ha disegnato, nel concorso con il segno in verticale e in orizzontale che solo impiegavano nelle prime prove Bartolini e Morandi, un oggettivo arricchimento del tratteggio dell’incisione (e in tal senso si vedano fogli quali Autoritratto del ’30, L’Arzilla del ’31, Il picchio del ’34 e Conchiglie del ’41). Su un uguale terreno di cultura è insomma germinata una natura lirica che ha poi dislagato, sempre con controllo e misura, nell’effetto assolutamente abbagliante dei capolavori di questo secondo dopoguerra: dalla Piantaccia di fico del ’52 a Pioppi a Gadana del ’77, dal Campanile di Schieti del ’62 a Villa dell’orologio del ’79.
“Le opere di Castellani”, ha scritto con acutezza e intrigante scrittura Paolo Volponi, un altro grande interprete della città ducale, “dai rarissimi (purtroppo) oli ai disegni, dalle acqueforti agli acquerelli hanno un andamento costruttivo ed una geometria del tutto particolari, che tanno fuori, a giudizio e a rimembranza delle tipicità urbinati: prospettive urbane, luce, ondosità collinare fino ai trapezi appenninici, e che non vi entrano come rappresentazione e indulgenza e nemmeno come un altro elemento di quella bellezza naturale ed insieme architettonica. Castellani anche quando li dipinge e disegna non cede a una collina, a un refolo di vento che scompone le luci di una piantata; non entra nel sentimento novecentistico della loro enfasi, posizione e natura, non li distingue, li pittura in un sentimento proprio e li ricostruisce con i nuovi mezzi così originariamente che essi, prima, quella collina o boschina di alberi, non sono mai esistiti e cominciano ad esistere adesso sulla tela o sulla carta. Eppure niente era più naturale e facile che Castellani cadesse dentro Urbino, diventandone il cantore convinto ed il vedutista, vivendoci ed insegnandoci per 50 anni, con famiglia urbinate, a contatto come maestro e cittadino, di tutte le verità sociali più fertili della città, oltreché di quelle della sua inestinguibile bellezza”.
Sollecitato soprattutto dalle immagini che gli venivano incontro dalle finestre aperte del suo studio su un vasto orizzonte di colline, di macchie e di radure (Dalla parte della casa del ’65), dai cascinali bianche e muti (La collina più alta del ’69), dai magri filari di vitacee di un verde un po’ spento che interrompevano le zone color ocra dorata dei campi di grano falciato (come in un paesaggio di Timoteo Viti e di Piero della Francesca), dalle folti siepi che costeggiavano le curve lente delle strade bianche (San Giovanni di Urbino del ’62), dalle masse confuse degli alberi che si stagliavano contro il pallido azzurro del cielo estivo (La pozza della Madonna dell’Homo del ’59), Castellani individuava nelle lontananze, e a lungo meditava, i motivi della sua intenzione creativa.
Già in Monte Dolce del ’36 e in Paesaggio al Tirasegno dell’anno appresso c’è un elemento che vorrei dire morale che – con concretezza e semplicità austere – fissa la volatile essenzialità della poesia dell’infinito in quelle campagne solitarie. Qui il segno non è mai abbandonato a se stesso, la tessitura grafica non costruisce atmosfere indistinte o vagamente assorbenti. L’analisi di tutto il campo d’intervento trasforma i dati meramente oggettivi, suddivide con un rigore che quasi verrebbe di chiamare costruttivista le zone di chiaro con quelle d’ombra e di penombra. Le forme – anche se fossero quelle delle splendide nature morte (tanto per semplificare, e per restare alle opere più note, citiamo Il tavolo del pittore del ’36, Storia naturale del ’41, Fiori gialli del ’46 e Conchiglia e farfallone del ’50) nelle quali par di cogliere, attraverso la perizia dell’intreccio, la materia di cui son fatti i vasi, le bottiglie, i lumi a petrolio, le chiocciole, gli animali imbalsamati, i fiori secchi – si dispongono secondo una logica di composizione che non lascia nulla al caso e, perciò, nulla agli abbandoni sentimentali. In ultimo, la norma razionale – di visione, d’intervento, di comportamento – rovescia la Forschung, l’indagine figurativa nella sintesi che è necessaria alla compiutezza dell’opera.
Come se fosse stato il paesaggio urbinate ad avvicinarlo all’area dei suoi primi interessi culturali (Raffaello, Barocci, il vedutismo lagunare e quanto poteva aver assimilato dal volume del Pica sugli impressionisti pubblicato nel 1908) e, attraverso tale esperienza, a condurlo per la difficile strada dell’individuazione, i “motivi” tracciati sul metallo o sulla carta o sulla tela di Castellani nascevano, e molto lentamente, solo nella sua testa. Se le sue acqueforti erano quasi sempre impostate e risolte in pochi giorni, senza pentimenti, con una padronanza assoluta dei toni e delle forme, spesso sul solco di un rapido e leggero accenno della matita, questo scioglimento si verificava solamente dopo una lunga incubazione, dopo una lenta e meditata assimilazione del soggetto, dopo una serie di schizzi preparatori, quando cioè l’opera era già matura nella sua mente.
È un atteggiamento simile a quello di Proust immobile davanti alle rose del Bengala, in attesa che gli rivelino la loro essenza. Giacomo Debenedetti, in una pagina famosa, ha creato un rapporto tra quell’episodio, riferito a Reynaldo Hahn che era presente, e un breve scritto di Sartre sull’“intenzionalità husserliana” illuminando un modo di conoscenza diverso da quello dello spirito-ragno, o spirito-struzzo, che “mangia” e digerisce le cose per conoscerle, un modo invece per il quale la conoscenza, data l’immobilità dell’artista e della cosa uno di fronte all’altra, è un “esplodere reciproco”. La cosa stessa ha acquistato, sotto la contemplazione dell’artista, la capacità di “esplodere verso di lui”, aprirgli la sua scorza, rivelargli la sua sostanza. Questo era il modo di Castellani davanti al paesaggio di Urbino: di attesa, di passività e poi di penetrazione: il modo dello spirito lento e dell’“incanto poetico misto di verità e di grazia”.
Leonardo Castellani
Nacque a Faenza il 19 ottobre 1896, da famiglia faentina di ebanisti.
È stato uno dei più grandi artisti italiani del 1900.
Suo padre, Federico, intagliatore e dirigente dell’Ebanisteria faentina, si trasferì con la famiglia a Cesena nel 1909, dove era stato chiamato a dirigere, presso la Scuola Industriale, la sezione ebanisti-intagliatori. Nel 1914 Leonardo venne licenziato dalla Scuola Industriale come ebanista-intagliatore, e successivamente si iscrisse all’Accademia di Firenze, nella sezione “scultura” dove conobbe Osvaldo Licini (anche questi frequentò la sezione “scultura”). Trasferitosi a Roma, frequentò per un certo periodo lo studio dello scultore Ettore Ferrari; ma ritornò presto a Cesena per fondarvi una fabbrichetta di ceramica, intitolata “Bottega di ceramica artistica”. Durante il periodo romano aveva frequentato il gruppo futurista di F. T. Marinetti, collaborando a quel movimento artistico. Per dissensi commerciali la “Bottega di ceramica artistica” si chiude nel 1923. Castellani allestì a Cesena, nello stesso anno, una mostra di ceramica e continuò con la decorazione pittorica e la scultura. Espose alla III Biennale Romana (1925), partecipò dal 1926 al 1956 a molte Biennali veneziane, a tutte le Mostre all’estero organizzate dal Sindacato del Bianco e Nero di Roma e a quelle promosse dalla Calcografia Nazionale di Roma. Nel 1927, dopo una mostra personale a Cesena, sotto gli auspici degli Amici dell’Arte (16 pitture e 16 disegni), si trasferì a Venezia, dove rimase circa un anno, in attesa di migliore fortuna. Nel 1928 venne chiamato a Fano, come insegnante incaricato di decorazione e di ceramica. Fu in questo periodo che avviò decisamente - dopo ripetuti tentativi - l’attività di incisore. Nel 1930 venne chiamato a Urbino, a ricoprire la cattedra di Calcografia all’Istituto d’arte per la decorazione e illustrazione del Libro. La tenne per 38 anni. A Urbino, diviso quindi fra l’insegnamento e l’incisione, realizzò la quasi totalità delle sue lastre. Sotto la sua guida si formarono i migliori incisori provenienti dalla Scuola di Urbino. Due le antologiche: a Urbino nel 1976, e a Faenza due anni dopo. Viaggiatore instancabile e scrittore raffinato pubblicò moltissime pagine di prosa e poesia in varie occasioni.
Leonardo Castellani scomparve all’età di 88 anni, il 20 novembre 1984 a Urbino.
A Urbino è aperto al pubblico il Museo Castellani, che riunisce 150 incisioni donate dalla moglie Edvige e dai figli Paolo, Silvestro e Claudio.
Opere di Leonardo Castellani sono presenti in numerosi Musei e Biblioteche (Helsinki, Londra, Milano, Padova, Roma, Verona, Vicenza, Firenze, Ascoli Piceno, Cesena, Faenza, New York, Parigi, Piove di Sacco, Reggio Emilia, Urbania), nonché presso importanti Fondazioni (Fondazione Cini, Venezia; Matalon, Milano; Tito Balestra, Longiano; Mastroianni, Arpino; Il Bisonte, Firenze; Museo Alessandro Appella, Castronuovo Sant’Andrea; Raccolta delle Stampe Adalberto Sartori, Mantova; Pinacoteca, Faenza; Castel Durante, Urbania; Museo Zuccherman, Padova; archivi, Palazzo Bomben della Fondazione Benetton Studi Ricerche biblioteca Fondazione Benetton, Treviso ed altri musei).
Bibliografia essenziale:
1974 - “Leonardo Castellani, Opera Grafica (1928-1973)”, a cura di Neri Pozza Editore Vicenza. “Ampliamenti all’Opera Grafica (1973 -1984)”, Vicenza, Neri Pozza Editore.
1990 - “Leonardo Castellani, Mostra a Klagenfurt (A) 1990-1991”, catalogo stampato a cura dell’Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino per il Comune di Klagenfurt, Pesaro, Edizioni della Pergola.
1994 - “L’illimite lirico. L’opera artistica e letteraria di Leonardo Castellani”, a cura di Floriano e Gualtiero De Santi, Edigrafital Teramo.
1997 - Floriano De Santi, “Leonardo Castellani. Il Paesaggio dell’anima”. Dipinti, sculture, ceramiche, disegni, acquerelli, incisioni, libri d’arte, dal 1914 al 1984, Galleria d’arte moderna e contemporanea della Repubblica di San Marino, Centro Internazionale “Umberto Mastroianni” del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, Tipolitografia Queriniana.
2000 - A cura di Claudio Castellani, Giampaolo Dal Pra, Giuseppe Lotto, Umberto Marinello, “Leonardo Castellani, Incisioni”. Testi critici di Umberto Marinello e Giorgio Segato, Piove di Sacco, Centro Piovese d’Arte e Cultura.
2013 - Segno e racconto: Urbino, Accademia Raffaello, Bottega Giovanni Santi in casa Raffaello.
2019 - Ritratti, racconti di vita. Urbino, Accademia Raffaello, Bottega Giovanni Santi in casa Raffaello.
20
febbraio 2021
Leonardo Castellani – 50 anni di incisioni (1935-1984)
Dal 20 febbraio al 04 marzo 2021
arte moderna
Location
GALLERIA ARIANNA SARTORI
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Orario di apertura
dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso festivi
Vernissage
20 Febbraio 2021, 16.30
Autore
Curatore