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Let’s spit on Hegel again?
un progetto collettivo che coinvolge le opere di Sarah Abu Abdallah, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova e Valentina Miorandi.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
LET'S SPIT ON HEGEL AGAIN?
Sarah Abu Abdallah
Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova
Valentina Miorandi
A cura di L.A.L.D.
6 Luglio – 30 Settembre, 2015
Solo su appuntamento.
info@likealittledisaster.com
www.likealittledisaster.com
(Please scroll down for the English version)
Like A Little Disaster ha il piacere di presentare LET'S SPITZ ON HEGEL AGAIN?, un progetto collettivo che coinvolge le opere di Sarah Abu Abdallah, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova e Valentina Miorandi.
Attraverso una dinamica speculare e non sovrapponibile, il progetto tenta di mettere a fuoco qualche tipo di atteggiamento o attitudine comune, documentando adesioni empatiche, traiettorie o prospettive che si sfiorano e contagiano, presentandosi come possibilità d'incontro, come un invito a partecipare rivolto dagli artisti direttamente a ciascuno di noi. 1
Le opere in mostra mettono in contatto esperienze e testimonianze che, pur provenendo da luoghi molto distanti tra loro, sono fondate su un avvicinarsi alla realtà in maniera libera, sicura, immune da compromessi emotivi, seguita da un procedere radicalmente indipendente e autonomo; testimonianze che qui si incontrano su un terreno di battaglia comune mostrandosi all’altezza di un universo senza risposte.2
Tre poetiche in dialogo tra loro all'interno di un pluralismo di linguaggi, segni e immagini che si pongono in posizione critica, di analisi del mondo circostante, come paradigma semiotico e culturale della propria condizione sociale ed esistenziale.
Non effimere allusioni, quindi, ma statement in cui emerge una schietta rivendicazione personale e politica, “della parte dove stare”; l’insofferenza verso i linguaggi accreditati, un’interrogazione quasi ontologica dell’arte come del senso dello stare al mondo.
l loro è soprattutto un atteggiamento che si appropria con spregiudicatezza, e insieme leggerezza, di tutte le pratiche mediali possibili per costruire e decostruire il proprio linguaggio e “decostruire il sistema per poter parlare e agire in modo altro “3
Le opere in mostra intrecciano un percorso fatto di rimandi impalpabili che funzionano come narrazioni e atmosfere da vivere ed esperire, temperature emotive da attraversare. Sono poetiche orgogliosamente fondate sulle conquiste delle precedenti generazioni femministe e capaci di oltrepassare criticamente i dualismi tra militanza ed emancipazione, spazi della teoria e spazi della pratica, istanze individuali e rivendicazioni collettive.
I loro linguaggi esaminano attivamente le sfaccettate forme di potere esistenti, in cui il corpo femminile simboleggia un territorio, fortemente contestato, di conflitti, autorità e desiderio. Una ricerca sullo stereotipo femminile veicolato dalla cultura dominante, che utilizza ironia e acutezza come mezzo di espressione per mettere in discussione le varie forme di autorità del presente e suggerisce un'arte che si interroga sui propri statuti e indaga le modalità attraverso cui vengono manipolate e distribuite e interiorizzate le immagini.
Le artiste coinvolte nel progetto mettono in gioco congegni alternativi che tentano di sperimentare nuove grammatiche, altri metodi della relazione e del dubbio, che sperimentano l'esperienza dell'arte come "quel momento vitale in cui tu non chiedi garanzie" 4, nel tentativo di scardinare una visione unica, una griglia ferma del pensiero e procedere per continui tentativi, utilizzando l'ascolto, la cura della relazione come strumento per misurasi con l'Altro.
Questo procedere per dubbi, per corrispondenze, per intenzioni non lineari mette sotto accusa la struttura del pensiero fondata sulle categorie di essenza e di soggettività, sull’oggettivazione delle cose e dell’Altro, sulla definizione normativa mono-soggettiva della verità.
Le artiste di Let's spit on Hehel again? lavorano su un doppio asse di posizionamento, quello geopolitico e quello storico-familiare. In questa intersezione di tratti personali e culturali si trova la specificità della loro produzione.
Siamo in presenza di una sollecitazione identitaria che si origina dal proprio interno per destituire il derridiano fallo-logo-centrico protagonismo dell’individuo a favore dell’esposizione collettiva di un sapere e di un fare che sottende l'agire delle artiste, attraverso un raccontare che è lasciare parlare e dunque anche porsi in relazione, una possibilità d’incontro rivolta all’Altro che osserva ed è sempre chiamato in causa nella dinamica dell’appropriazione e dello spossessamento reciproci.
1-2-4 Carla Lonzi
3 Luce Irigaray
IMPORTANTE: In questa mostra la percentuale di visitatrici deve essere sempre superiore a quella dei visitatori, per questo vi preghiamo di organizzare la vostra visita con L.A.L.D. almeno due giorni prima all'indirizzo info@likealittledisaster.com
/ / / / / / / / /
LET'S SPIT ON HEGEL AGAIN?
Sarah Abu Abdallah
Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova
Valentina Miorandi
Curated by L.A.L.D.
July 6 – September 30, 2015
By appointment only.
info@likealittledisaster.com
www.likealittledisaster.com
Like a Little Disaster is pleased to present “LET’S SPITZ ON HEGEL AGAIN?”, a group show including works by Sarah Abu Abdallah, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova and Valentina Miorandi.
Going through specular dynamics, never superimposing, the project tries to focus on some kind of common attitude or approach, documenting empathic cohesion, crossing and bleeding, posing like a chance meeting, an invitation addressed by the artists to each of us.1
The works in the exhibition connect experiences to testimonies, and despite they come from very distant places have in common a way to look at reality, with an autonomous, self assured approach, immune from emotional compromises, radically independent. These signs and approaches meet on a unique battle field, keeping up with a universe without of answers.2
Three different poetics in dialogue with each other within a plurality of languages, gestures and images, presented as a critical placement and analysis of the surrounding world, as cultural and semiotic paradigm of their social and existential condition.
Not ephemeral allusions then, but statements from which emerges a forthright claim, both personal and political. The artists share the same impatience towards accredited languages, an almost ontological test on art as sense of being in the world. The primarily attitude is the appropriation, with ruthlessness and lightness, of all possible media practices, to build and disassemble their own language and "deconstruct the system, to be able to speak and act in another way"3
The works aims at interlacing a path of intangible connections, narrations and atmospheres, emotional temperatures to cross. We are in front of poetics proudly founded on the conquests of previous generations of feminists, able to pass over the critical dualism between militancy and emancipation, spaces of theory and spaces of practice, individual instances and collective claims. Their languages actively examine the multifaceted forms of power, in which the female body symbolizes a territory of conflict, strongly contested, between authority and desire. Their research on the female stereotype conveyed by the dominant culture uses irony and sharpness as a means of expression, to question the various forms of authority. They introduce an art that questions itself on its statutes, investigating the ways in which images are manipulated, distributed and interiorised.
The artists involved in the project activate alternative devices that attempt to experiment new grammars, other methods of relationship and of doubt, investigating the experience of art as "that moment of life when you don't ask guarantees anymore".4 They try to undermine the one-way vision, the fixed grid of the thought, proceeding instead on continued efforts, using the listening, the caring and the relationship as a tool to measure themselves with the Other.
The artists work on a dual-axis placement: the geopolitical and the historical-familiar one. In the intersection between personal and cultural touches is located the specificity of their production. We are in presence of an identitarian solicitation wanting to dismiss the Derridean phallus-logo-centric leadership of the individual in favor of a collective exposure of knowledge, to underlie the practice of their narration, that is a "let speak", to relate the possibility of meeting the "Other" who looks and is always invoked in a mutual appropriation and dispossession.
1-2-4 Carla Lonzi
3 Luce Irigaray
IMPORTANT NOTE: In this exhibition the percentage of female visitors must always be higher than men's, so please organize your visit at least two day prior in order to match this requirements at: info@likealittledisaster.com
Sarah Abu Abdallah
Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova
Valentina Miorandi
A cura di L.A.L.D.
6 Luglio – 30 Settembre, 2015
Solo su appuntamento.
info@likealittledisaster.com
www.likealittledisaster.com
(Please scroll down for the English version)
Like A Little Disaster ha il piacere di presentare LET'S SPITZ ON HEGEL AGAIN?, un progetto collettivo che coinvolge le opere di Sarah Abu Abdallah, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova e Valentina Miorandi.
Attraverso una dinamica speculare e non sovrapponibile, il progetto tenta di mettere a fuoco qualche tipo di atteggiamento o attitudine comune, documentando adesioni empatiche, traiettorie o prospettive che si sfiorano e contagiano, presentandosi come possibilità d'incontro, come un invito a partecipare rivolto dagli artisti direttamente a ciascuno di noi. 1
Le opere in mostra mettono in contatto esperienze e testimonianze che, pur provenendo da luoghi molto distanti tra loro, sono fondate su un avvicinarsi alla realtà in maniera libera, sicura, immune da compromessi emotivi, seguita da un procedere radicalmente indipendente e autonomo; testimonianze che qui si incontrano su un terreno di battaglia comune mostrandosi all’altezza di un universo senza risposte.2
Tre poetiche in dialogo tra loro all'interno di un pluralismo di linguaggi, segni e immagini che si pongono in posizione critica, di analisi del mondo circostante, come paradigma semiotico e culturale della propria condizione sociale ed esistenziale.
Non effimere allusioni, quindi, ma statement in cui emerge una schietta rivendicazione personale e politica, “della parte dove stare”; l’insofferenza verso i linguaggi accreditati, un’interrogazione quasi ontologica dell’arte come del senso dello stare al mondo.
l loro è soprattutto un atteggiamento che si appropria con spregiudicatezza, e insieme leggerezza, di tutte le pratiche mediali possibili per costruire e decostruire il proprio linguaggio e “decostruire il sistema per poter parlare e agire in modo altro “3
Le opere in mostra intrecciano un percorso fatto di rimandi impalpabili che funzionano come narrazioni e atmosfere da vivere ed esperire, temperature emotive da attraversare. Sono poetiche orgogliosamente fondate sulle conquiste delle precedenti generazioni femministe e capaci di oltrepassare criticamente i dualismi tra militanza ed emancipazione, spazi della teoria e spazi della pratica, istanze individuali e rivendicazioni collettive.
I loro linguaggi esaminano attivamente le sfaccettate forme di potere esistenti, in cui il corpo femminile simboleggia un territorio, fortemente contestato, di conflitti, autorità e desiderio. Una ricerca sullo stereotipo femminile veicolato dalla cultura dominante, che utilizza ironia e acutezza come mezzo di espressione per mettere in discussione le varie forme di autorità del presente e suggerisce un'arte che si interroga sui propri statuti e indaga le modalità attraverso cui vengono manipolate e distribuite e interiorizzate le immagini.
Le artiste coinvolte nel progetto mettono in gioco congegni alternativi che tentano di sperimentare nuove grammatiche, altri metodi della relazione e del dubbio, che sperimentano l'esperienza dell'arte come "quel momento vitale in cui tu non chiedi garanzie" 4, nel tentativo di scardinare una visione unica, una griglia ferma del pensiero e procedere per continui tentativi, utilizzando l'ascolto, la cura della relazione come strumento per misurasi con l'Altro.
Questo procedere per dubbi, per corrispondenze, per intenzioni non lineari mette sotto accusa la struttura del pensiero fondata sulle categorie di essenza e di soggettività, sull’oggettivazione delle cose e dell’Altro, sulla definizione normativa mono-soggettiva della verità.
Le artiste di Let's spit on Hehel again? lavorano su un doppio asse di posizionamento, quello geopolitico e quello storico-familiare. In questa intersezione di tratti personali e culturali si trova la specificità della loro produzione.
Siamo in presenza di una sollecitazione identitaria che si origina dal proprio interno per destituire il derridiano fallo-logo-centrico protagonismo dell’individuo a favore dell’esposizione collettiva di un sapere e di un fare che sottende l'agire delle artiste, attraverso un raccontare che è lasciare parlare e dunque anche porsi in relazione, una possibilità d’incontro rivolta all’Altro che osserva ed è sempre chiamato in causa nella dinamica dell’appropriazione e dello spossessamento reciproci.
1-2-4 Carla Lonzi
3 Luce Irigaray
IMPORTANTE: In questa mostra la percentuale di visitatrici deve essere sempre superiore a quella dei visitatori, per questo vi preghiamo di organizzare la vostra visita con L.A.L.D. almeno due giorni prima all'indirizzo info@likealittledisaster.com
/ / / / / / / / /
LET'S SPIT ON HEGEL AGAIN?
Sarah Abu Abdallah
Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova
Valentina Miorandi
Curated by L.A.L.D.
July 6 – September 30, 2015
By appointment only.
info@likealittledisaster.com
www.likealittledisaster.com
Like a Little Disaster is pleased to present “LET’S SPITZ ON HEGEL AGAIN?”, a group show including works by Sarah Abu Abdallah, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova and Valentina Miorandi.
Going through specular dynamics, never superimposing, the project tries to focus on some kind of common attitude or approach, documenting empathic cohesion, crossing and bleeding, posing like a chance meeting, an invitation addressed by the artists to each of us.1
The works in the exhibition connect experiences to testimonies, and despite they come from very distant places have in common a way to look at reality, with an autonomous, self assured approach, immune from emotional compromises, radically independent. These signs and approaches meet on a unique battle field, keeping up with a universe without of answers.2
Three different poetics in dialogue with each other within a plurality of languages, gestures and images, presented as a critical placement and analysis of the surrounding world, as cultural and semiotic paradigm of their social and existential condition.
Not ephemeral allusions then, but statements from which emerges a forthright claim, both personal and political. The artists share the same impatience towards accredited languages, an almost ontological test on art as sense of being in the world. The primarily attitude is the appropriation, with ruthlessness and lightness, of all possible media practices, to build and disassemble their own language and "deconstruct the system, to be able to speak and act in another way"3
The works aims at interlacing a path of intangible connections, narrations and atmospheres, emotional temperatures to cross. We are in front of poetics proudly founded on the conquests of previous generations of feminists, able to pass over the critical dualism between militancy and emancipation, spaces of theory and spaces of practice, individual instances and collective claims. Their languages actively examine the multifaceted forms of power, in which the female body symbolizes a territory of conflict, strongly contested, between authority and desire. Their research on the female stereotype conveyed by the dominant culture uses irony and sharpness as a means of expression, to question the various forms of authority. They introduce an art that questions itself on its statutes, investigating the ways in which images are manipulated, distributed and interiorised.
The artists involved in the project activate alternative devices that attempt to experiment new grammars, other methods of relationship and of doubt, investigating the experience of art as "that moment of life when you don't ask guarantees anymore".4 They try to undermine the one-way vision, the fixed grid of the thought, proceeding instead on continued efforts, using the listening, the caring and the relationship as a tool to measure themselves with the Other.
The artists work on a dual-axis placement: the geopolitical and the historical-familiar one. In the intersection between personal and cultural touches is located the specificity of their production. We are in presence of an identitarian solicitation wanting to dismiss the Derridean phallus-logo-centric leadership of the individual in favor of a collective exposure of knowledge, to underlie the practice of their narration, that is a "let speak", to relate the possibility of meeting the "Other" who looks and is always invoked in a mutual appropriation and dispossession.
1-2-4 Carla Lonzi
3 Luce Irigaray
IMPORTANT NOTE: In this exhibition the percentage of female visitors must always be higher than men's, so please organize your visit at least two day prior in order to match this requirements at: info@likealittledisaster.com
06
luglio 2015
Let’s spit on Hegel again?
Dal 06 luglio al 30 settembre 2015
arte contemporanea
Location
LIKE A LITTLE DISASTER
Torre Santa Susanna, Via Giuseppe Garibaldi, 7, (Brindisi)
Torre Santa Susanna, Via Giuseppe Garibaldi, 7, (Brindisi)
Orario di apertura
solo su appuntamento
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