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Leviatano
Mostra collettiva di fotografia con giovani fotografi sul tema del ritratto. Fotografo ospite: Aldo Giarelli.
Comunicato stampa
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Questa mostra parte dall’ipotesi che nella cultura umana siano osservabili tre cesure fondamentali: prima l’invenzione della scrittura lineare verificatasi verso la metà del secondo millennio a.C, la seconda, avvenuta verso la metà del XIX secolo con la nascita della fotografia e, la terza, cui stiamo assistendo, sotto la voce” la trasposizione dal reale al virtuale”.
L’intento della presente mostra non è infatti difendere una tesi ma contribuire al dibattito sul tema della fotografia e in particolare su quella del ritratto.
La massificazione della fotografia, iniziata dai nostri padri, sembra esplodere definitivamente dall’introduzione degli smartphone. Capaci di produrre immensi quantitativi di fotografie di qualsiasi genere, ma in particolare di ritratti, nella generica formula del banal-amatorismo turistico e famigliare. Infinite possibilità che portano alle stesse visioni.
Citando Gillo Dorfles:“ lo ‘stile’ è la risultante d’un particolare atteggiamento della forma (...); la moda una sottocategoria dello stile; come un fenomeno d’interazione tra arte e società...”.
La speranza è di penetrare, grazie a questo progetto, nell’immediato immaginario attraverso lo stile e i codici visivi ad esso legati, offrendo valore e bellezza ai soggetti fotografati.
Cercando sopratutto la singolarità creativa, anche per distogliere la fotografia d’autore dai bombardamenti derivanti dai social, e non meno importante dall’antico confronto con la pittura, anche allora come ora si insiste nell’apprezzare una fotografia con il luogo comune “ perchè assomiglia a un quadro ”. A nulla valse l’annuncio di Daguerre: “ da oggi la pittura è morta ”.
E non morì, come non muore la fotografia nei confronti della televisione e di tutte le nuove tecnologie. Poichè la fotografia ha un grande vantaggio: si adatta, e sta a noi non perderci ed evitare di tornare analfabeti dell’immagine.
FOTOGRFI:
Aldo Giarelli vive la fotografia come un elemento essenzialmente poetico. Una forma di scrittura teatrale, con sprazzi di erotismo, fruibili solo attraverso una dimensione metafisica nella quale sprofondare attraverso le sfaccettature di migliaia di specchi formati da volti che si svelano solo a chi ha il coraggio di reggerne lo sguardo.
Elena Arrica ci regala una visione umana e intima, prediligendo un soggetto, il suo compagno, sul quale è possibile posare più volte lo sguardo, creando un tipo di fotografia coinvolgente attraverso un senso di appartenenza al quale è difficile non commuoversi.
Elisa Carucci è un’autrice poliedrica, tale da creare una visione poetica capace di fondersi anche nella pura forma. In qualche modo le sue fotografie riescono a essere in sintonia sia con il pubblico sia con le persone che ritraggono. La prossimità per certi versi alla cultura pop, che caratterizza una parte dei suoi lavori, scaturisce con naturalezza dalla sua personalità.
Riccardo Delfanti appone una firma inconfondibile con le sue immagini in bianco e nero, esteticamente consapevoli. Da sempre interessato a questioni di natura estetico-formale coglie la personalità unica ed individualista della modella, senza forzature, creando un legame tra soggetto e visitatore a cui non è possibile sottrarsi.
Gianluca Laneve elabora un rapporto stretto tra soggetto e scena, creando complicità tra la sua visione pop tendente al glamour, dal gusto decorativo, ad una più sobria e decisa rappresentazione d’insieme. Voltando le spalle all’illusione realistica del documento, si lascia trasportare dal proprio gusto estetico.
Chi ammira le immagini di Alberto Nidola non apprende soltanto i sentimenti di coloro che sono stati fotografati, ma anche quelli del fotografo stesso. Attraverso uno sguardo sincero, privo di artifici, ciò che impressiona della sua opera è lo sguardo positivo e affettuoso sull’essere umano.
Ilaria Saltarella più che una fotografa moderna può essere considerata un’artista che elabora la vecchia tradizione del ritratto con un raffinato sguardo psicologico. Ponendosi come creatrice di ritatti, per molti aspetti atemporali, riprende codici visivi moderni per far risaltare le caratteristiche estetiche tipiche di un determinato soggetto.
La mostra ha lo stesso titolo del famoso saggio scritto da Thomas Hobbes e pubblicato nel 1651. Punto di partenza per una riflessione approfondita, dal punto di vista fotografico, sulla differenza tra un “mostro” gigantesco come lo sono i nuovi social, insieme alla loro moltitudine di immagini inserite in maniera meccanicistica, e quindi funzionale ad uno scopo, e la contrapposta ricerca di conferire anche un’anima ai ritratti.
Il significato dei ritratti si trova anche sulla superficie. Seppur lo si possa cogliere in maniera poco approfondita con un solo colpo d’occhio, dobbiamo dedicare più tempo a lasciar vagare lo sguardo sulla superficie, ridando il senso di “ evento congelato ” e riscoprendo la magia di vedere una persona senza averla mai incontrata.
L’intento della presente mostra non è infatti difendere una tesi ma contribuire al dibattito sul tema della fotografia e in particolare su quella del ritratto.
La massificazione della fotografia, iniziata dai nostri padri, sembra esplodere definitivamente dall’introduzione degli smartphone. Capaci di produrre immensi quantitativi di fotografie di qualsiasi genere, ma in particolare di ritratti, nella generica formula del banal-amatorismo turistico e famigliare. Infinite possibilità che portano alle stesse visioni.
Citando Gillo Dorfles:“ lo ‘stile’ è la risultante d’un particolare atteggiamento della forma (...); la moda una sottocategoria dello stile; come un fenomeno d’interazione tra arte e società...”.
La speranza è di penetrare, grazie a questo progetto, nell’immediato immaginario attraverso lo stile e i codici visivi ad esso legati, offrendo valore e bellezza ai soggetti fotografati.
Cercando sopratutto la singolarità creativa, anche per distogliere la fotografia d’autore dai bombardamenti derivanti dai social, e non meno importante dall’antico confronto con la pittura, anche allora come ora si insiste nell’apprezzare una fotografia con il luogo comune “ perchè assomiglia a un quadro ”. A nulla valse l’annuncio di Daguerre: “ da oggi la pittura è morta ”.
E non morì, come non muore la fotografia nei confronti della televisione e di tutte le nuove tecnologie. Poichè la fotografia ha un grande vantaggio: si adatta, e sta a noi non perderci ed evitare di tornare analfabeti dell’immagine.
FOTOGRFI:
Aldo Giarelli vive la fotografia come un elemento essenzialmente poetico. Una forma di scrittura teatrale, con sprazzi di erotismo, fruibili solo attraverso una dimensione metafisica nella quale sprofondare attraverso le sfaccettature di migliaia di specchi formati da volti che si svelano solo a chi ha il coraggio di reggerne lo sguardo.
Elena Arrica ci regala una visione umana e intima, prediligendo un soggetto, il suo compagno, sul quale è possibile posare più volte lo sguardo, creando un tipo di fotografia coinvolgente attraverso un senso di appartenenza al quale è difficile non commuoversi.
Elisa Carucci è un’autrice poliedrica, tale da creare una visione poetica capace di fondersi anche nella pura forma. In qualche modo le sue fotografie riescono a essere in sintonia sia con il pubblico sia con le persone che ritraggono. La prossimità per certi versi alla cultura pop, che caratterizza una parte dei suoi lavori, scaturisce con naturalezza dalla sua personalità.
Riccardo Delfanti appone una firma inconfondibile con le sue immagini in bianco e nero, esteticamente consapevoli. Da sempre interessato a questioni di natura estetico-formale coglie la personalità unica ed individualista della modella, senza forzature, creando un legame tra soggetto e visitatore a cui non è possibile sottrarsi.
Gianluca Laneve elabora un rapporto stretto tra soggetto e scena, creando complicità tra la sua visione pop tendente al glamour, dal gusto decorativo, ad una più sobria e decisa rappresentazione d’insieme. Voltando le spalle all’illusione realistica del documento, si lascia trasportare dal proprio gusto estetico.
Chi ammira le immagini di Alberto Nidola non apprende soltanto i sentimenti di coloro che sono stati fotografati, ma anche quelli del fotografo stesso. Attraverso uno sguardo sincero, privo di artifici, ciò che impressiona della sua opera è lo sguardo positivo e affettuoso sull’essere umano.
Ilaria Saltarella più che una fotografa moderna può essere considerata un’artista che elabora la vecchia tradizione del ritratto con un raffinato sguardo psicologico. Ponendosi come creatrice di ritatti, per molti aspetti atemporali, riprende codici visivi moderni per far risaltare le caratteristiche estetiche tipiche di un determinato soggetto.
La mostra ha lo stesso titolo del famoso saggio scritto da Thomas Hobbes e pubblicato nel 1651. Punto di partenza per una riflessione approfondita, dal punto di vista fotografico, sulla differenza tra un “mostro” gigantesco come lo sono i nuovi social, insieme alla loro moltitudine di immagini inserite in maniera meccanicistica, e quindi funzionale ad uno scopo, e la contrapposta ricerca di conferire anche un’anima ai ritratti.
Il significato dei ritratti si trova anche sulla superficie. Seppur lo si possa cogliere in maniera poco approfondita con un solo colpo d’occhio, dobbiamo dedicare più tempo a lasciar vagare lo sguardo sulla superficie, ridando il senso di “ evento congelato ” e riscoprendo la magia di vedere una persona senza averla mai incontrata.
12
giugno 2018
Leviatano
Dal 12 giugno al 03 luglio 2018
fotografia
arte contemporanea
giovane arte
arte contemporanea
giovane arte
Location
ART GALLERY 37
Torino, Via Michele Buniva, 9/ter/f, (Torino)
Torino, Via Michele Buniva, 9/ter/f, (Torino)
Orario di apertura
16-19
Vernissage
12 Giugno 2018, h 19:00
Autore
Curatore