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Lidia Bagnoli – Outside-Inside
Interno ed esterno, inside e outside. Termini antitetici, o forse apparentemente tali. Un ossimoro, o il doppio lato di un racconto dai due volti che Lidia Bagnoli ha sviluppato. I temi sono quelli dei ponti accomunati ai docks, e quello costituito dai volti di un gruppo di deportati dell’Armenia.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Due voci
un racconto
di Franco Basile
Interno ed esterno, inside e outside. Termini antitetici, o forse apparentemente tali. Un ossimoro, o il doppio lato di un racconto dai due volti che Lidia Bagnoli ha sviluppato in tempi diversi. I temi sono quelli dei ponti accomunati ai docks, e quello costituito dai volti di un gruppo di centenari, donne e uomini ritratti come esercizio introspettivo, sembianze dove la geografia degli anni evoca un lontano, tragico evento, la deportazione in massa degli armeni del 1915, la strage dei bambini. I lavori sono un fermo-immagine dove il ricordo si riflette per sempre sulla tela assieme all’ombra di chi l’ha vissuto.
“Nelle opere che identifico sotto il titolo inside – ricorda la pittrice – indico non solo la vista opposta all’outside, ma anche il guardarsi dentro, un’introspezione che porta molto lontano tra evocazione e amare venature del pensiero”. L’idea trae origine da una mostra di foto di artisti armeni che si erano ispirati al dramma del 1915. Le immagini erano quelle di alcuni superstiti, gli ex bambini che tra i segni dell’età riportavano i tratti di quanto avevano vissuto. “Quelle foto – ricorda sempre Lidia – mi avevano colpito profondamente. Mentre le guardavo pensavo a quanto, a distanza di tanti anni, si potesse ancora cogliere di ciò che era successo un secolo prima”. L’artista ha dunque catturato con animo attento quello che le foto raccontavano. Quei volti erano pergamene del tempo, quei tratti tracciavano fili di ragno sulla pelle avvizzita mentre la scrittura degli anni si insinuava fra le ombre.
Ponti e docks, l’altro riflesso della mostra, un lungo resoconto sviluppato sulla traccia di appunti di viaggio. Fogli sparsi, li chiama l’artista, situazioni registrate in periodi diversi in una terra e in situazioni in cui la memoria di Corot e il ponte di Narni, di Van Gogh e il ponte di Langlois ad Arles sembravano appartenere a un sogno abitato da fantasmi. I ponti, i docks, il senso dell’archeologia rientrano così nei fogli di un mondo ben diverso, quello incontrato viaggiando lungo le strade americane, dentro e fuori gli stessi stati d’animo.
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Nuova identità
Era come se il mondo si fosse capovolto. Quella sera il sole al tramonto aveva formato un labirinto di polveri e di ricordi. Sotto il ponte Lidia aveva trovato una nicchia dove rifugiarsi, e come un antico filosofo sentiva di poter resistere alla durezza del mondo, o alla futilità dei fatti comuni, al consumo cioè di banalità prive di durata. Raggiungeva sovente quest’angolo che era raccolto sotto le arcate del ponte di Brooklyn, in un punto che aveva scoperto nel corso delle sue incessanti esplorazioni. Si era trasferita in un luogo lontano fisicamente da dove normalmente viveva, ma non era la distanza che la interessava , quanto invece la sensazione di aver scoperto un altro mondo, una terra diversa. Trovarsi qui le dava l’idea di una radicale discontinuità nella trama delle abitudini e delle convenzioni. All’ombra del ponte era come smuovere lo scorrere monotono degli eventi. Dal basso la punta dei grattacieli mischiavano le carte con nuvole e voli aerei. L’Hudson la separava dalla città, ma il fluire dell’acqua non rappresentava un confine, il ponte le dava la certezza di un passaggio di transizione, una rampa da cui partire e raggiungere a piacimento qualsiasi strada. Lassù, in alto, in un universo che si sviluppava sospeso nel vuoto, una nutrita ciurma di esseri al volante formava una striscia gommata. Ferro, pietre, cemento, piloni, strutture destinate a trasformare i panorami delle città. Provava una strana sensazione, era come abituarsi a essere vivi dopo aver steso una rete metallica per proteggere anime ferite. Tutte le ore sono buone per stabilire un tempo in cui ciò che si vede non è frutto di quello che appare, ma risultato di ciò che la mente trasforma.
Corsi d’acqua, darsene, strutture aeree e docks, in queste cose Lidia individua quasi naturalmente il superamento della linea di confine tra realtà e invenzione, e dunque la possibilità di un quadro che cambia la realtà in finzione fino a rendere un esterno, un outside, in un gioco di inside: in una rappresentazione chiamata nuova identità.(f.b.)
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Antica fanciullezza
Seguire i tratti di un volto è come compiere un viaggio all’interno del sentimento. A questo deve pensare Lidia Bagnoli ogni volta che si accinge a ritrarre qualcuno. La lettura dei volti è una costante per lei, un esercizio che porta a ricordi lontani, tra cui quello di un vecchio fumatore trasposto su un grande pannello. Ci torna spesso alla memoria questo lavoro, con le volute di fumo che velavano di un tono azzurrognolo i tratti somatici del soggetto. Riprendere una persona può voler dire narrare simbolicamente il contrasto fra presenza e dissoluzione, oppure dare sostanza al rapporto luce-colore tra realtà e segreti della memoria. Le sembianze del vecchio fumatore ogni tanto riaffiorano nel ripasso di ciò che è stato, anche se il tempo, facendo la voce grossa, ha intanto dissolto le volute che lo avvolgevano. Il repertorio dei ritratti eseguiti da Lidia si è arricchito negli anni mentre lo studio e il racconto delle persone si accompagnano a una serie di temi che la pittrice affronta di volta in volta. La pittrice non è interessata alla fissazione di un evento in sé, quanto invece al movimento, al fluttuare e alle vicissitudini del pensiero, che sovente può voler dire lotta nell’incontrarsi con i singoli episodi e le figure del nostro esistere.
La vita si può leggere anche in un ritratto, negli effetti di straniamento e di sospensione che nello svolgimento dell’artista si alternano a un’attenzione ai tratti somatici, attenzione sostenuta da un dosato rigore compositivo. E’ un’indagine dell’anima quella che Lidia svolge laddove dove i ricordi si riflettono tra le pieghe di un volto, nel luccichìo di uno sguardo, nella meraviglia di un gesto declinato secondo un moto di illusione. Adesso il suo repertorio si è arricchito con le figure dei centenari armeni. Dalle foto esposte in occasione della commemorazione della strage del 1915 aveva tratto spunto per un racconto visivo, non tanto per le immagini in sé, ma perché, mentre le guardava, pensava a quanto si potesse ancora cogliere tra le pieghe di una bocca, tra le rughe della fronte o dalla rapidità di uno sguardo, pensava cioè a quanto si potesse ancora intuire dei giorni in cui i centenari avevano vissuto la loro fanciullezza. (f.b.)
un racconto
di Franco Basile
Interno ed esterno, inside e outside. Termini antitetici, o forse apparentemente tali. Un ossimoro, o il doppio lato di un racconto dai due volti che Lidia Bagnoli ha sviluppato in tempi diversi. I temi sono quelli dei ponti accomunati ai docks, e quello costituito dai volti di un gruppo di centenari, donne e uomini ritratti come esercizio introspettivo, sembianze dove la geografia degli anni evoca un lontano, tragico evento, la deportazione in massa degli armeni del 1915, la strage dei bambini. I lavori sono un fermo-immagine dove il ricordo si riflette per sempre sulla tela assieme all’ombra di chi l’ha vissuto.
“Nelle opere che identifico sotto il titolo inside – ricorda la pittrice – indico non solo la vista opposta all’outside, ma anche il guardarsi dentro, un’introspezione che porta molto lontano tra evocazione e amare venature del pensiero”. L’idea trae origine da una mostra di foto di artisti armeni che si erano ispirati al dramma del 1915. Le immagini erano quelle di alcuni superstiti, gli ex bambini che tra i segni dell’età riportavano i tratti di quanto avevano vissuto. “Quelle foto – ricorda sempre Lidia – mi avevano colpito profondamente. Mentre le guardavo pensavo a quanto, a distanza di tanti anni, si potesse ancora cogliere di ciò che era successo un secolo prima”. L’artista ha dunque catturato con animo attento quello che le foto raccontavano. Quei volti erano pergamene del tempo, quei tratti tracciavano fili di ragno sulla pelle avvizzita mentre la scrittura degli anni si insinuava fra le ombre.
Ponti e docks, l’altro riflesso della mostra, un lungo resoconto sviluppato sulla traccia di appunti di viaggio. Fogli sparsi, li chiama l’artista, situazioni registrate in periodi diversi in una terra e in situazioni in cui la memoria di Corot e il ponte di Narni, di Van Gogh e il ponte di Langlois ad Arles sembravano appartenere a un sogno abitato da fantasmi. I ponti, i docks, il senso dell’archeologia rientrano così nei fogli di un mondo ben diverso, quello incontrato viaggiando lungo le strade americane, dentro e fuori gli stessi stati d’animo.
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Nuova identità
Era come se il mondo si fosse capovolto. Quella sera il sole al tramonto aveva formato un labirinto di polveri e di ricordi. Sotto il ponte Lidia aveva trovato una nicchia dove rifugiarsi, e come un antico filosofo sentiva di poter resistere alla durezza del mondo, o alla futilità dei fatti comuni, al consumo cioè di banalità prive di durata. Raggiungeva sovente quest’angolo che era raccolto sotto le arcate del ponte di Brooklyn, in un punto che aveva scoperto nel corso delle sue incessanti esplorazioni. Si era trasferita in un luogo lontano fisicamente da dove normalmente viveva, ma non era la distanza che la interessava , quanto invece la sensazione di aver scoperto un altro mondo, una terra diversa. Trovarsi qui le dava l’idea di una radicale discontinuità nella trama delle abitudini e delle convenzioni. All’ombra del ponte era come smuovere lo scorrere monotono degli eventi. Dal basso la punta dei grattacieli mischiavano le carte con nuvole e voli aerei. L’Hudson la separava dalla città, ma il fluire dell’acqua non rappresentava un confine, il ponte le dava la certezza di un passaggio di transizione, una rampa da cui partire e raggiungere a piacimento qualsiasi strada. Lassù, in alto, in un universo che si sviluppava sospeso nel vuoto, una nutrita ciurma di esseri al volante formava una striscia gommata. Ferro, pietre, cemento, piloni, strutture destinate a trasformare i panorami delle città. Provava una strana sensazione, era come abituarsi a essere vivi dopo aver steso una rete metallica per proteggere anime ferite. Tutte le ore sono buone per stabilire un tempo in cui ciò che si vede non è frutto di quello che appare, ma risultato di ciò che la mente trasforma.
Corsi d’acqua, darsene, strutture aeree e docks, in queste cose Lidia individua quasi naturalmente il superamento della linea di confine tra realtà e invenzione, e dunque la possibilità di un quadro che cambia la realtà in finzione fino a rendere un esterno, un outside, in un gioco di inside: in una rappresentazione chiamata nuova identità.(f.b.)
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Antica fanciullezza
Seguire i tratti di un volto è come compiere un viaggio all’interno del sentimento. A questo deve pensare Lidia Bagnoli ogni volta che si accinge a ritrarre qualcuno. La lettura dei volti è una costante per lei, un esercizio che porta a ricordi lontani, tra cui quello di un vecchio fumatore trasposto su un grande pannello. Ci torna spesso alla memoria questo lavoro, con le volute di fumo che velavano di un tono azzurrognolo i tratti somatici del soggetto. Riprendere una persona può voler dire narrare simbolicamente il contrasto fra presenza e dissoluzione, oppure dare sostanza al rapporto luce-colore tra realtà e segreti della memoria. Le sembianze del vecchio fumatore ogni tanto riaffiorano nel ripasso di ciò che è stato, anche se il tempo, facendo la voce grossa, ha intanto dissolto le volute che lo avvolgevano. Il repertorio dei ritratti eseguiti da Lidia si è arricchito negli anni mentre lo studio e il racconto delle persone si accompagnano a una serie di temi che la pittrice affronta di volta in volta. La pittrice non è interessata alla fissazione di un evento in sé, quanto invece al movimento, al fluttuare e alle vicissitudini del pensiero, che sovente può voler dire lotta nell’incontrarsi con i singoli episodi e le figure del nostro esistere.
La vita si può leggere anche in un ritratto, negli effetti di straniamento e di sospensione che nello svolgimento dell’artista si alternano a un’attenzione ai tratti somatici, attenzione sostenuta da un dosato rigore compositivo. E’ un’indagine dell’anima quella che Lidia svolge laddove dove i ricordi si riflettono tra le pieghe di un volto, nel luccichìo di uno sguardo, nella meraviglia di un gesto declinato secondo un moto di illusione. Adesso il suo repertorio si è arricchito con le figure dei centenari armeni. Dalle foto esposte in occasione della commemorazione della strage del 1915 aveva tratto spunto per un racconto visivo, non tanto per le immagini in sé, ma perché, mentre le guardava, pensava a quanto si potesse ancora cogliere tra le pieghe di una bocca, tra le rughe della fronte o dalla rapidità di uno sguardo, pensava cioè a quanto si potesse ancora intuire dei giorni in cui i centenari avevano vissuto la loro fanciullezza. (f.b.)
08
settembre 2018
Lidia Bagnoli – Outside-Inside
Dall'otto al 30 settembre 2018
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal mercoledì al venerdì 17.00-20.00; sabato e festivi: 11.00-12.30 e 17.00-20.00; chiuso il lunedì e martedì
Vernissage
8 Settembre 2018, ore 18.30
Autore
Curatore