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Light Lab. Cortocircuiti quotidiani
La luce non viene pertanto intesa come fattore smaterializzante dell’opera quanto piuttosto come versatile elemento della quotidianità che offre una concreta opportunità di mutare le abitudini percettive
Comunicato stampa
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„Molte persone credono di poter esperire qualcosa nel momento in cui la capiscono, ma secondo me ciò non è affatto vero. Non credo che la comprensione di una cosa conduca all’esperienza della stessa. In fondo secondo me la comprensione porta solamente ad una sorta di padronanza della cosa in questione.” (John Cage)
Il corto circuito è fisicamente legato ad un fenomeno luminoso e metaforicamente rinvia ad un momento di irrazionalità, in cui le coordinate abituali vengono temporaneamente sospese. È un fenomeno di per sé banale, che però funge da disturbo all’interno di un abituale svolgimento degli eventi e può altresì condurre a straniamenti così come è in grado di mutare un processo d’attenzione in corso. Per la mostra di Museion la luce è stata scelta come simbolo per eccellenza della possibilità di innescare cortocircuiti visivi e di permettere allo spettatore di riconsiderare e di vivere con parametri alterati le proprie percezioni quotidiane. Nella produzione artistica degli undici artisti invitati l’elemento luminoso ricopre indubbiamente un ruolo importante, ma è soprattutto il profondo ed eclettico interesse per modalità visive ed esperienze alternative ad unire le differenti posizioni presentate.
La luce non viene pertanto intesa come fattore smaterializzante dell’opera quanto piuttosto come versatile elemento della quotidianità che offre una concreta opportunità di mutare le abitudini percettive. La citazione introduttiva di Cage non vuole essere solo un semplice omaggio, ma un effettivo riferimento a chi ha concepito l’esperienza del mondo come disponibilità del singolo ad aprirsi agli eventi e a parteciparvi abbandonando categorie logiche preconcette e analisi razionali. Inoltre, con Cage diventa più remota l’idea di un’arte come rifugio dalla vita e si consolida la concezione di un arte che non è fuga, bensì introduzione alla vita. L’arte degli undici artisti in mostra è radicata alla vita, ma cerca di rapportarvisi attraverso lievi spostamenti, alterazioni di prospettive, dissonanze. È un’arte che pone interrogativi, che stimola l’osservatore ad una partecipazione emotiva, a-logica; un’arte che offre la possibilità di vivere il quotidiano con un surplus di sensazioni, che non devono per forza essere spiegate, ma che con sottigliezza e non rara subliminalità arricchiscono la linearità delle nostre azioni. Molte delle opere in mostra richiedono di essere vissute, pretendono il coinvolgimento dello spettatore, ma gli lasciano la massima libertà di azione. L’elemento luminoso in alcuni casi costituisce di per sé lo scarto tra il semplice oggetto e l’opera d’arte, in altri diventa funzionale a innescare processi di trasformazione in situazioni comuni e familiari. L’opera di Michael Sailstorfer installata lungo la ciclabile che attraversa il fiume Talvera diventa una sorta di emblema della mostra, in quanto è costiuita dall’effettivo corto circuito che viene a crearsi ad intervalli alterni tra due lampioni turbando inaspettatamente la quiete luminosa degli altri corpi luminosi. Mario Airò cambia le coordinata visive di un corridoio della libera Università di Bolzano adiacente a Museion, mentre Marcello Maloberti trasforma radicalmente la mensa universitaria invadendo pareti, soffitto e finestre con uno scotch cartaceo che riflette la luce sia artificiale che naturale gettando sempre nuovi riflessi nell’ambiente ricoperto dal nastro adesivo e mutando pertanto in continuazione la percezione dello spazio architettonico. Anche l’opera di Riccardo Previdi si trova fuori dagli spazi museali propriamente deputati all’esposizione e consiste in una pedana mobile e luminosa atta ad accogliere eventi musicali e al contempo a farsi ambasciatrice di Museion quando nel corso della mostra verrà trasportata presso altre istituzioni culturali per ospitare dei concerti appositamenti concepiti per l’occasione. All’interno di Museion la sala contenente l’installazione dei discoballs di John Armleder, che con i loro incessanti riflessi continuano a mutare l’assetto visivo dello spazio, assume quasi una “paternità” dell’intera esposizione. Ceal Floyer per mezzo di espedienti tecnici semplicissimi crea un’installazione ambientale alquanto accattivante che inganna la nostra esperienza sensoriale e Zilla Leutenegger trasforma un’ala del museo in un ufficio, ovvero attraverso il disegno di un ufficio completato da una videoproiezione ci irretisce in un familiare gioco di ambivalenze. Massimo Bartolini popola o meglio scopre gli inquilini segreti che popolano l’intercapedine tra Museion ed edificio universitario e Tobias Rehberger infonde una affascinante vitalità ad essenziali cabinets, che senza il suo intervento potrebbero anche fungere da armadi in una comune camera da letto. Jeppe Hein sorprende i visitatori con un cubo di neon mobile, mentre Cerith Wyn Evans trasferisce dei testi letterari in alfabeto morse e conferisce il ritmo del testo tradotto ad un candelabro appeso al soffitto in una delle sale museali.
In fondo in molte opere la relazione tra forma e funzione è essenziale, ma ancora più importante è l’anelito generale a generare connessioni inaspettate e ad intervenire nei difficili interstizi tra comunicazione e “misreading”.
(Letizia Ragaglia, curatrice della mostra)
La lista degli artisti partecipanti:
- Mario Airò
- John Armleder
- Massimo Bartolini
- Ceal Floyer
- Jeppe Hein
- Zilla Leutenegger
- Marcello Maloberti
- Riccardo Previdi
- Tobias Rehberger
- Michael Sailstorfer
- Cerith Wyn Evans
Il corto circuito è fisicamente legato ad un fenomeno luminoso e metaforicamente rinvia ad un momento di irrazionalità, in cui le coordinate abituali vengono temporaneamente sospese. È un fenomeno di per sé banale, che però funge da disturbo all’interno di un abituale svolgimento degli eventi e può altresì condurre a straniamenti così come è in grado di mutare un processo d’attenzione in corso. Per la mostra di Museion la luce è stata scelta come simbolo per eccellenza della possibilità di innescare cortocircuiti visivi e di permettere allo spettatore di riconsiderare e di vivere con parametri alterati le proprie percezioni quotidiane. Nella produzione artistica degli undici artisti invitati l’elemento luminoso ricopre indubbiamente un ruolo importante, ma è soprattutto il profondo ed eclettico interesse per modalità visive ed esperienze alternative ad unire le differenti posizioni presentate.
La luce non viene pertanto intesa come fattore smaterializzante dell’opera quanto piuttosto come versatile elemento della quotidianità che offre una concreta opportunità di mutare le abitudini percettive. La citazione introduttiva di Cage non vuole essere solo un semplice omaggio, ma un effettivo riferimento a chi ha concepito l’esperienza del mondo come disponibilità del singolo ad aprirsi agli eventi e a parteciparvi abbandonando categorie logiche preconcette e analisi razionali. Inoltre, con Cage diventa più remota l’idea di un’arte come rifugio dalla vita e si consolida la concezione di un arte che non è fuga, bensì introduzione alla vita. L’arte degli undici artisti in mostra è radicata alla vita, ma cerca di rapportarvisi attraverso lievi spostamenti, alterazioni di prospettive, dissonanze. È un’arte che pone interrogativi, che stimola l’osservatore ad una partecipazione emotiva, a-logica; un’arte che offre la possibilità di vivere il quotidiano con un surplus di sensazioni, che non devono per forza essere spiegate, ma che con sottigliezza e non rara subliminalità arricchiscono la linearità delle nostre azioni. Molte delle opere in mostra richiedono di essere vissute, pretendono il coinvolgimento dello spettatore, ma gli lasciano la massima libertà di azione. L’elemento luminoso in alcuni casi costituisce di per sé lo scarto tra il semplice oggetto e l’opera d’arte, in altri diventa funzionale a innescare processi di trasformazione in situazioni comuni e familiari. L’opera di Michael Sailstorfer installata lungo la ciclabile che attraversa il fiume Talvera diventa una sorta di emblema della mostra, in quanto è costiuita dall’effettivo corto circuito che viene a crearsi ad intervalli alterni tra due lampioni turbando inaspettatamente la quiete luminosa degli altri corpi luminosi. Mario Airò cambia le coordinata visive di un corridoio della libera Università di Bolzano adiacente a Museion, mentre Marcello Maloberti trasforma radicalmente la mensa universitaria invadendo pareti, soffitto e finestre con uno scotch cartaceo che riflette la luce sia artificiale che naturale gettando sempre nuovi riflessi nell’ambiente ricoperto dal nastro adesivo e mutando pertanto in continuazione la percezione dello spazio architettonico. Anche l’opera di Riccardo Previdi si trova fuori dagli spazi museali propriamente deputati all’esposizione e consiste in una pedana mobile e luminosa atta ad accogliere eventi musicali e al contempo a farsi ambasciatrice di Museion quando nel corso della mostra verrà trasportata presso altre istituzioni culturali per ospitare dei concerti appositamenti concepiti per l’occasione. All’interno di Museion la sala contenente l’installazione dei discoballs di John Armleder, che con i loro incessanti riflessi continuano a mutare l’assetto visivo dello spazio, assume quasi una “paternità” dell’intera esposizione. Ceal Floyer per mezzo di espedienti tecnici semplicissimi crea un’installazione ambientale alquanto accattivante che inganna la nostra esperienza sensoriale e Zilla Leutenegger trasforma un’ala del museo in un ufficio, ovvero attraverso il disegno di un ufficio completato da una videoproiezione ci irretisce in un familiare gioco di ambivalenze. Massimo Bartolini popola o meglio scopre gli inquilini segreti che popolano l’intercapedine tra Museion ed edificio universitario e Tobias Rehberger infonde una affascinante vitalità ad essenziali cabinets, che senza il suo intervento potrebbero anche fungere da armadi in una comune camera da letto. Jeppe Hein sorprende i visitatori con un cubo di neon mobile, mentre Cerith Wyn Evans trasferisce dei testi letterari in alfabeto morse e conferisce il ritmo del testo tradotto ad un candelabro appeso al soffitto in una delle sale museali.
In fondo in molte opere la relazione tra forma e funzione è essenziale, ma ancora più importante è l’anelito generale a generare connessioni inaspettate e ad intervenire nei difficili interstizi tra comunicazione e “misreading”.
(Letizia Ragaglia, curatrice della mostra)
La lista degli artisti partecipanti:
- Mario Airò
- John Armleder
- Massimo Bartolini
- Ceal Floyer
- Jeppe Hein
- Zilla Leutenegger
- Marcello Maloberti
- Riccardo Previdi
- Tobias Rehberger
- Michael Sailstorfer
- Cerith Wyn Evans
27
maggio 2005
Light Lab. Cortocircuiti quotidiani
Dal 27 maggio al 28 agosto 2005
arte contemporanea
Location
MUSEION
Bolzano, Via Dante, 6, (Bolzano)
Bolzano, Via Dante, 6, (Bolzano)
Orario di apertura
ma-do ore 10 alle 18, gio ore 10 alle 20
Autore
Curatore