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Lilli Doriguzzi – Xstanti
Comunicato stampa
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Cosa puoi dirci circa la genesi dell'opera “XSTANTE”?Il primo impulso nella direzione di “XSTANTE” risale al 2007, mentre ero impegnata con un’altraopera, “Stare”, il cui titolo, credo, si spiega da sé. Mentre lavoravo a “Stare”, sentivo che avreidovuto dedicarmi ad altro, ma non sapevo cosa. In quel momento, il bisogno di lavorare contavapiù del lavoro. E così capii cosa mi serviva: lo strumento per lavorare, un attrezzo. Ed eral’alfabeto, perché è di quello che hai bisogno per creare l’idea – o il pensiero dietro un’immagine, ola scrittura come immagine in sé, come per esempio nel lavoro “Venezia”.E così mi venne in mente l’idea di costruirmi da sola l’alfabeto, uno strumento di lavoro da tenerepronto per quando avessi saputo cosa dire. Ma a quel punto, quando l’alfabeto era ancora soloun’idea, mi sono riammalata, quattro anni dopo aver vissuto l’esperienza del carcinoma al seno: aquel punto sapevo cosa volevo dire.È interessante che tu abbia concepito l'alfabeto come lo strumento da utilizzare, e poi abbiatrovato l'opera al suo interno, la lettera X, come se il tuo inconscio avesse già elaborato nonlo strumento (come pensavi), ma l'idea stessa.Questa “X” ha in sé una molteplicità di significati, e io stessa non ho ancora finito di scoprirli. Ladoppia “X” è la donna, l’essenza della femminilità in senso scientifico, il cromosoma X. Eppure,ironicamente, proprio il cuore della femminilità, cioè il seno, può essere bersaglio della malattia, ela ricerca medica ha scoperto che in alcuni casi la cura può consistere proprio nell’inibire lafemminilità di una donna. Possiamo dire che accade di ammalarsi per colpa della X, mafortunatamente la X offre anche una possibilità di guarigione.Questa idea va ad aggiungersi al significato della X come simbolo matematico, come l’incognita, lavariabile sconosciuta. È un concetto che sento molto. E poi c’è la X come simbolo della scoperta altermine di una caccia al tesoro. Storicamente è stato il segno, la firma degli analfabeti. E oggi la Xindica il punto dove firmare i documenti importanti , come i contratti e così via.Eppure l’opera ha una sua forma molto particolare.Esatto, non si tratta di una X convenzionale, fatta dell’incrocio di due linee. È, piuttosto, un segnounico e continuo, realizzato in vetro specchiato.
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Page 2
Perché hai elaborato la X in diverse forme?Le opere plurali intitolate “Per Una”, “Per Due”, “Per Tre”, alludono a una catena di donne - dicorpi, dato che in ultima analisi è sempre del corpo che sto parlando. La grande X isolata, fapensare alla forma del corpo umano, ma l’ho capito solo dopo averla fatta. Mi ricorda anche unacicatrice, i miei punti. E poi, ancora, il punto croce del cucito (la crocetta), una delle attivitàfemminili per eccellenza. Da ragazza era l’unica forma di ricamo che sopportassi – così regolare,così semplice. Alcuni dei miei primi lavori erano ritratti fatti con ago e filo. Cominciai a cucireperché dipingo velocemente e volevo lavorare più adagio. Mostrare in maniera convenzionalequesti ritratti cuciti sarebbe stato troppo semplice, così li girai mettendo in mostra il disordine deifili, con risultati molto più interessanti.Cosa ci puoi dire a proposito di “Pellicole”?Stavo raccogliendo questi fogli già da qualche tempo, mi ricordavano la pellicola fotografica epensavo che avrei potuto farci qualcosa. Erano nel mio studio a Marghera il giorno in cui mi fucomunicata la diagnosi, il 15 settembre 2004: andai in studio per fare delle telefonate e, sedutaalla scrivania, avevo davanti uno di questi fogli. Mi misi a scarabocchiare, ma non erano veriscarabocchi: stavo anche scrivendo, mi stavo rappresentando, mi stavo creando una secondaidentità, quasi mi sdoppiassi in quel momento. Fu una fortuna trovarsi in studio, perché in quelmomento fui capace anche di lavorare.Ne emerse questo foglio ricoperto di scarabocchi e scrittura e figure, tutto in bianco sullo sfondodella tela a specchio, il ché è interessante, perché firmo sempre i miei lavori con il bianco.Poi, per il resto dell'anno, durante la cura, usai questi fogli come un diario. Di volta in volta, quandovolevo che qualcosa fosse impresso su pellicola prendevo un appunto, facevo un disegno. Così,l’uno dopo l’altro, senza numerarli, ma con la necessità di lasciare un segno.Queste opere sono dunque dei fotogrammi, compongono il diario filmico di un anno. C’è tutto: cisono io, la mia famiglia, i miei amici, i miei lavori (il primo, “Stare”, e il più recente “Apparente”). Ilciclo termina con la fine della cura e la ripresa della vita normale, con i suoi drammi e conflitti, conla sua energia, con la mia nuova identità, i capelli che mi sono ricresciuti sono messi in risalto dallapettinatura anni Cinquanta, folta e ondulata.E i tre autoritratti?Li ho fatti quest’anno, tre anni dopo la serie del diario. Oramai il materiale a specchio non mifaceva più pensare a un film; era diventato un semplice supporto, come una tela, solo dotato dicaratteristiche riflettenti e verticali. Ho voluto rappresentarmi, specchiarmi insieme al mio gatto.Finalmente, sono riuscita a prendere un gatto in casa, un gatto selvatico. A inserire il selvaggio, losconosciuto, l’inconnu.Come l’incognita, la X?Sì, esatto. Per concludere, perché hai scelto un materiale riflettente?Potremmo parlare di Venezia e dei riflessi di luce sull’acqua, ma non voglio. Mi è più facile dire ciòche non stavo cercando di fare. Per esempio, non stavo tentando di emulare Pistoletto!In queste opere l’idea dello specchio è ambigua, perché pur essendo le X in vetro specchiato, laloro superficie è insufficiente a riflettere altro che non sia la luce, e le “Pellicole” sono in acciaio. Èimportante che io mi sia riflessa nell'acciaio, che in fondo è un materiale tecnico, infrangibile,contemporaneo, resistente e forte.Rachel Spence
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Perché hai elaborato la X in diverse forme?Le opere plurali intitolate “Per Una”, “Per Due”, “Per Tre”, alludono a una catena di donne - dicorpi, dato che in ultima analisi è sempre del corpo che sto parlando. La grande X isolata, fapensare alla forma del corpo umano, ma l’ho capito solo dopo averla fatta. Mi ricorda anche unacicatrice, i miei punti. E poi, ancora, il punto croce del cucito (la crocetta), una delle attivitàfemminili per eccellenza. Da ragazza era l’unica forma di ricamo che sopportassi – così regolare,così semplice. Alcuni dei miei primi lavori erano ritratti fatti con ago e filo. Cominciai a cucireperché dipingo velocemente e volevo lavorare più adagio. Mostrare in maniera convenzionalequesti ritratti cuciti sarebbe stato troppo semplice, così li girai mettendo in mostra il disordine deifili, con risultati molto più interessanti.Cosa ci puoi dire a proposito di “Pellicole”?Stavo raccogliendo questi fogli già da qualche tempo, mi ricordavano la pellicola fotografica epensavo che avrei potuto farci qualcosa. Erano nel mio studio a Marghera il giorno in cui mi fucomunicata la diagnosi, il 15 settembre 2004: andai in studio per fare delle telefonate e, sedutaalla scrivania, avevo davanti uno di questi fogli. Mi misi a scarabocchiare, ma non erano veriscarabocchi: stavo anche scrivendo, mi stavo rappresentando, mi stavo creando una secondaidentità, quasi mi sdoppiassi in quel momento. Fu una fortuna trovarsi in studio, perché in quelmomento fui capace anche di lavorare.Ne emerse questo foglio ricoperto di scarabocchi e scrittura e figure, tutto in bianco sullo sfondodella tela a specchio, il ché è interessante, perché firmo sempre i miei lavori con il bianco.Poi, per il resto dell'anno, durante la cura, usai questi fogli come un diario. Di volta in volta, quandovolevo che qualcosa fosse impresso su pellicola prendevo un appunto, facevo un disegno. Così,l’uno dopo l’altro, senza numerarli, ma con la necessità di lasciare un segno.Queste opere sono dunque dei fotogrammi, compongono il diario filmico di un anno. C’è tutto: cisono io, la mia famiglia, i miei amici, i miei lavori (il primo, “Stare”, e il più recente “Apparente”). Ilciclo termina con la fine della cura e la ripresa della vita normale, con i suoi drammi e conflitti, conla sua energia, con la mia nuova identità, i capelli che mi sono ricresciuti sono messi in risalto dallapettinatura anni Cinquanta, folta e ondulata.E i tre autoritratti?Li ho fatti quest’anno, tre anni dopo la serie del diario. Oramai il materiale a specchio non mifaceva più pensare a un film; era diventato un semplice supporto, come una tela, solo dotato dicaratteristiche riflettenti e verticali. Ho voluto rappresentarmi, specchiarmi insieme al mio gatto.Finalmente, sono riuscita a prendere un gatto in casa, un gatto selvatico. A inserire il selvaggio, losconosciuto, l’inconnu.Come l’incognita, la X?Sì, esatto. Per concludere, perché hai scelto un materiale riflettente?Potremmo parlare di Venezia e dei riflessi di luce sull’acqua, ma non voglio. Mi è più facile dire ciòche non stavo cercando di fare. Per esempio, non stavo tentando di emulare Pistoletto!In queste opere l’idea dello specchio è ambigua, perché pur essendo le X in vetro specchiato, laloro superficie è insufficiente a riflettere altro che non sia la luce, e le “Pellicole” sono in acciaio. Èimportante che io mi sia riflessa nell'acciaio, che in fondo è un materiale tecnico, infrangibile,contemporaneo, resistente e forte.Rachel Spence
12
dicembre 2008
Lilli Doriguzzi – Xstanti
Dal 12 al 24 dicembre 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA MICHELA RIZZO PROJECT ROOM
Venezia, Calle Degli Albanesi, 4254, (Venezia)
Venezia, Calle Degli Albanesi, 4254, (Venezia)
Vernissage
12 Dicembre 2008, ore 18
Autore