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L’immagine del vuoto. Una linea di ricerca nell’arte in Italia 1958-2006
Attraverso l’idea di vuoto la mostra intende indagare i molteplici aspetti della rivoluzione linguistica attuatasi nell’arte in Italia a partire dalla fine degli anni Cinquanta
Comunicato stampa
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L’esposizione L’immagine del vuoto (1958-2005) intende indagare i molteplici aspetti della rivoluzione linguistica attuatasi nell’arte in Italia a partire dalla fine degli anni Cinquanta. A tal fine, appare irrinunciabile esplorare affinità, contaminazioni e contrasti tra il contesto sperimentale italiano - animato all’epoca da Fontana, Manzoni e Castellani - e Yves Klein, in quegli anni “attore” ben presente a Milano, sia sul piano espositivo che nell’intensità dello scambio dialettico.
L’obiettivo è quello di far emergere, attraverso la ricerca di artisti quali Lucio Fontana, Yves Klein, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Francesco Lo Savio, Gianni Colombo, Dadamaino, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Giovanni Anselmo, Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto, Gino De Dominicis e Ettore Spalletti una specificità tutta italiana, una linea sotterranea, quasi un’anomalia che percorre in modo sottile questa linea di ricerca nel panorama europeo del secondo Novecento.
La mostra intende individuare quella linea che contrappone alla componente “espressiva” più praticata e diffusa, una matrice “evocativa” di segno metafisico. Ovvero l’esigenza, comune a questi artisti, di porre tra parentesi la propria identità psicologica e soggettiva per formulare la nozione impersonale e assoluta di artefice dell’opera.
Dopo la stagione informale, caratterizzata dalla centralità dell’Io, dal primato del soggetto, la nuova generazione ambisce a oltrepassare la frontiera dell’immateriale, dove il vuoto come spazio pittorico autentico, l’infinito come dimensione, il colore assoluto, i codici della pratica artistica diventano elementi essenziali per configurare una nuova visione dello statuto dell’opera e della stessa identità dell’arte. Si analizza quindi una linea di ricerca che, pur nella sua portata innovativa, nel suo azzeramento radicale, sembra conservare la consapevolezza della necessità irrinunciabile dell’immagine. Immagine che si presenta “senza corpo”, evitando peraltro di arenarsi nelle secche di un’arte di matrice analitica, dichiaratamente concettuale di tipo anglosassone, che rifiuta l’immagine per scelta pregiudiziale. Un’ottica che mai si affida a punti di vista puramente teorico-speculativi, ma che sceglie invece di tener fede al primato dell’immagine.
L’esposizione giunge infine ad esplorare l’eredità lasciata da questi protagonisti del secondo Novecento all’ultima generazione, individuando - nel panorama attuale - quali aspetti di quella stagione permangono tutt’oggi nel vocabolario artistico italiano. Saranno presentate in tal senso opere di artisti quali Mario Airò, Francesco Barocco, Gianni Caravaggio, Martino Coppes, Daniela De Lorenzo, Chiara Dynys, Francesco Gennari, Eva Marisaldi, Amedeo Martegani, Sabrina Mezzaqui, Diego Perrone, Luca Trevisani, Francesco Vella e Italo Zuffi.
STRUTTURA DELLA MOSTRA
L’esposizione si articola in diverse aree di ricerca, in una ideale progressione che dallo spazio infinito del cosmo conduce allo spazio finito dell’immagine. Le sezioni tematiche, precedute da un antefatto e da un capitolo introduttivo, si articolano in “Spazio e cosmo”, “La concretezza dell’infinito”, “L’io incorporeo” “L’architettura del vuoto”, “I codici della visione”. Il fine è quello di visualizzare i diversi ambiti che concorrono alla configurazione di questa nuova concezione artistica, nonché alle sue complesse evoluzioni fino ad approdare all’orizzonte più recente.
Antefatto
Finita la seconda guerra mondiale, si afferma dovunque nel mondo un linguaggio artistico comune, una koinè dagli accenti tardo-romantici che si propone di dare libero sfogo alle emozioni. Si manifesta l’urgenza di dar voce all’interiorità con toni vibranti, spesso gridati, affidando alla materia bruta e al gesto, svincolato da ogni controllo formale, il messaggio angoscioso e liberatorio insieme che si vuole trasmettere. Gli anni Cinquanta del Novecento, nei quali si formano tutti i protagonisti della mostra, sono la stagione del “tutto pieno”; del “troppo pieno”, anzi, agli occhi di questa generazione, che reagisce a quell’altissima temperatura emotiva raffreddando all’estremo la propria arte e scegliendo, all’opposto, il “tutto vuoto”.
Introduzione
La sezione introduttiva indica i tre momenti “storici” dai quali discende l’intero progetto espositivo. Un “buco” di Fontana, un “monocromo” di Klein e una “linea” di Manzoni fissano i termini da cui la mostra si sviluppa.
Fontana stesso ci fornisce una traccia con queste sue parole riferite a Carla Lonzi - con l’abituale tono colloquiale - in occasione della stesura del volume di interviste Autoritratto, 1969:
“… Incomincia a essere valido Klein quando fa tutto bleu, che è una dimensione... Lui l’ha intuito lo spazio, però, te lo dico io, quelli, proprio, che l’hanno capito siamo io e Manzoni: Manzoni con la linea all’infinito e, fino adesso nessuno l’ha raggiunto, guarda, con tutte le sperimentazioni che stan facendo, è la scoperta più grande che ci sia, e io col buco….”
Spazio e cosmo
La vertigine dell’idea di universo provoca la perdita di dimensione dell’opera: una Natura di Fontana, una Sculpture éponge di Klein, il Senza titolo di De Dominicis concorrono ad aprire nuovi confini che oltrepassano i limiti convenzionali del quadro. Domina la tensione verso una concezione assoluta dell’immagine che superi ogni forma di condizionamento relativizzante per raggiungere la massima libertà spirituale e la purezza dell’essenza cosmica.
La concretezza dell’infinito
Il quadro non è più una composizione di elementi, lo spazio entro cui si mette in scena la lotta tra forme e colori nel dominio emozionale, bensì una rappresentazione visibile e concreta dell’assoluto nell’immagine. Un taglio Concetto Spaziale (Attese) di Fontana, una Superficie di Castellani, una carta quadrettata (Cimento dell’armonia e dell’invenzione) di Boetti fissano i termini di una nuova concezione dell’opera.
L’Io incorporeo
Il processo di smaterializzazione dell’immagine arriva a sottrarre sostanza alla stessa figura dell’autore o del soggetto rappresentato. Nove xerox Anne-Marie di Alighiero Boetti, o Alias di Martegani, non corrispondono alla testimonianza della loro immagine, ma abbandonano la consuetudine della tradizione e intraprendono la via dell’impersonale eliminando qualsiasi residuo di riflesso figurativo.
L’architettura del vuoto
Pone l’accento su una ricerca spaziale orientata verso la tridimensionalità, intesa non più come scultura, ma come integrazione reciproca tra spazio e oggetto. Un Filtro di Lo Savio, una Strutturazione pulsante di Colombo testimoniano di questa esperienza.
I codici della visione
È il capitolo che affronta, infine, la rivoluzione linguistica provocata dalla consapevolezza che l’autore assume nei confronti degli strumenti e dei termini di linguaggio della pratica artistica, intesa come effettivo soggetto dell’opera. Vedo (l'opera completa di Edouard Manet come decifrazioni del mio campo visivo) di Paolini o Da mille a mille di Boetti configurano visioni al contempo individuali e universali, manifeste e cifrate, dettate dall’osservanza dei codici formali della rappresentazione.
Le sezioni tematiche sopra delineate sono visualizzate in mostra attraverso circa 100 opere, di cui quelle qui nominate costituiscono il riferimento essenziale ed ideale.
Le opere, generalmente concesse in prestito da Musei, Archivi, Fondazioni e privati, sono in alcuni casi provenienti dalle collezioni degli artisti stessi. Particolare attenzione viene rivolta, infatti, alle opere a loro appartenute all’epoca, al fine di tentare di ricostruire le reciproche relazioni, attestazioni di stima, affinità intellettuali.
Artisti presenti in mostra: Mario Airó, Francesco Barocco, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Gianni Caravaggio, Enrico Castellani, Gianni Colombo, Martino Coppes, Dadamaino, Gino De Dominicis, Daniela De Lorenzo, Chiara Dynys, Luciano Fabro, Lucio Fontana, Francesco Gennari, Yves Klein, Francesco Lo Savio, Piero Manzoni, Eva Marisaldi, Amedeo Martegani, Sabrina Mezzaqui, Giulio Paolini, Diego Perrone, Michelangelo Pistoletto, Ettore Spalletti, Luca Trevisani, Francesco Vella e Italo Zuffi.
La mostra è a cura di Marco Franciolli, Direttore e Bettina Della Casa, Curatrice, Museo Cantonale d’Arte
Un catalogo a colori bilingue, italiano/inglese, accompagna l'esposizione con introduzione di Marco Franciolli e testi di Bruno Corà, Bettina Della Casa, Marcello Ghilardi, Tony Godfrey, Ada Masoero, Giulio Paolini, Annemarie Sauzeau, Dieter Schwarz e Elena Volpato. Schede di Simone Menegoi.
L’obiettivo è quello di far emergere, attraverso la ricerca di artisti quali Lucio Fontana, Yves Klein, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Francesco Lo Savio, Gianni Colombo, Dadamaino, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Giovanni Anselmo, Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto, Gino De Dominicis e Ettore Spalletti una specificità tutta italiana, una linea sotterranea, quasi un’anomalia che percorre in modo sottile questa linea di ricerca nel panorama europeo del secondo Novecento.
La mostra intende individuare quella linea che contrappone alla componente “espressiva” più praticata e diffusa, una matrice “evocativa” di segno metafisico. Ovvero l’esigenza, comune a questi artisti, di porre tra parentesi la propria identità psicologica e soggettiva per formulare la nozione impersonale e assoluta di artefice dell’opera.
Dopo la stagione informale, caratterizzata dalla centralità dell’Io, dal primato del soggetto, la nuova generazione ambisce a oltrepassare la frontiera dell’immateriale, dove il vuoto come spazio pittorico autentico, l’infinito come dimensione, il colore assoluto, i codici della pratica artistica diventano elementi essenziali per configurare una nuova visione dello statuto dell’opera e della stessa identità dell’arte. Si analizza quindi una linea di ricerca che, pur nella sua portata innovativa, nel suo azzeramento radicale, sembra conservare la consapevolezza della necessità irrinunciabile dell’immagine. Immagine che si presenta “senza corpo”, evitando peraltro di arenarsi nelle secche di un’arte di matrice analitica, dichiaratamente concettuale di tipo anglosassone, che rifiuta l’immagine per scelta pregiudiziale. Un’ottica che mai si affida a punti di vista puramente teorico-speculativi, ma che sceglie invece di tener fede al primato dell’immagine.
L’esposizione giunge infine ad esplorare l’eredità lasciata da questi protagonisti del secondo Novecento all’ultima generazione, individuando - nel panorama attuale - quali aspetti di quella stagione permangono tutt’oggi nel vocabolario artistico italiano. Saranno presentate in tal senso opere di artisti quali Mario Airò, Francesco Barocco, Gianni Caravaggio, Martino Coppes, Daniela De Lorenzo, Chiara Dynys, Francesco Gennari, Eva Marisaldi, Amedeo Martegani, Sabrina Mezzaqui, Diego Perrone, Luca Trevisani, Francesco Vella e Italo Zuffi.
STRUTTURA DELLA MOSTRA
L’esposizione si articola in diverse aree di ricerca, in una ideale progressione che dallo spazio infinito del cosmo conduce allo spazio finito dell’immagine. Le sezioni tematiche, precedute da un antefatto e da un capitolo introduttivo, si articolano in “Spazio e cosmo”, “La concretezza dell’infinito”, “L’io incorporeo” “L’architettura del vuoto”, “I codici della visione”. Il fine è quello di visualizzare i diversi ambiti che concorrono alla configurazione di questa nuova concezione artistica, nonché alle sue complesse evoluzioni fino ad approdare all’orizzonte più recente.
Antefatto
Finita la seconda guerra mondiale, si afferma dovunque nel mondo un linguaggio artistico comune, una koinè dagli accenti tardo-romantici che si propone di dare libero sfogo alle emozioni. Si manifesta l’urgenza di dar voce all’interiorità con toni vibranti, spesso gridati, affidando alla materia bruta e al gesto, svincolato da ogni controllo formale, il messaggio angoscioso e liberatorio insieme che si vuole trasmettere. Gli anni Cinquanta del Novecento, nei quali si formano tutti i protagonisti della mostra, sono la stagione del “tutto pieno”; del “troppo pieno”, anzi, agli occhi di questa generazione, che reagisce a quell’altissima temperatura emotiva raffreddando all’estremo la propria arte e scegliendo, all’opposto, il “tutto vuoto”.
Introduzione
La sezione introduttiva indica i tre momenti “storici” dai quali discende l’intero progetto espositivo. Un “buco” di Fontana, un “monocromo” di Klein e una “linea” di Manzoni fissano i termini da cui la mostra si sviluppa.
Fontana stesso ci fornisce una traccia con queste sue parole riferite a Carla Lonzi - con l’abituale tono colloquiale - in occasione della stesura del volume di interviste Autoritratto, 1969:
“… Incomincia a essere valido Klein quando fa tutto bleu, che è una dimensione... Lui l’ha intuito lo spazio, però, te lo dico io, quelli, proprio, che l’hanno capito siamo io e Manzoni: Manzoni con la linea all’infinito e, fino adesso nessuno l’ha raggiunto, guarda, con tutte le sperimentazioni che stan facendo, è la scoperta più grande che ci sia, e io col buco….”
Spazio e cosmo
La vertigine dell’idea di universo provoca la perdita di dimensione dell’opera: una Natura di Fontana, una Sculpture éponge di Klein, il Senza titolo di De Dominicis concorrono ad aprire nuovi confini che oltrepassano i limiti convenzionali del quadro. Domina la tensione verso una concezione assoluta dell’immagine che superi ogni forma di condizionamento relativizzante per raggiungere la massima libertà spirituale e la purezza dell’essenza cosmica.
La concretezza dell’infinito
Il quadro non è più una composizione di elementi, lo spazio entro cui si mette in scena la lotta tra forme e colori nel dominio emozionale, bensì una rappresentazione visibile e concreta dell’assoluto nell’immagine. Un taglio Concetto Spaziale (Attese) di Fontana, una Superficie di Castellani, una carta quadrettata (Cimento dell’armonia e dell’invenzione) di Boetti fissano i termini di una nuova concezione dell’opera.
L’Io incorporeo
Il processo di smaterializzazione dell’immagine arriva a sottrarre sostanza alla stessa figura dell’autore o del soggetto rappresentato. Nove xerox Anne-Marie di Alighiero Boetti, o Alias di Martegani, non corrispondono alla testimonianza della loro immagine, ma abbandonano la consuetudine della tradizione e intraprendono la via dell’impersonale eliminando qualsiasi residuo di riflesso figurativo.
L’architettura del vuoto
Pone l’accento su una ricerca spaziale orientata verso la tridimensionalità, intesa non più come scultura, ma come integrazione reciproca tra spazio e oggetto. Un Filtro di Lo Savio, una Strutturazione pulsante di Colombo testimoniano di questa esperienza.
I codici della visione
È il capitolo che affronta, infine, la rivoluzione linguistica provocata dalla consapevolezza che l’autore assume nei confronti degli strumenti e dei termini di linguaggio della pratica artistica, intesa come effettivo soggetto dell’opera. Vedo (l'opera completa di Edouard Manet come decifrazioni del mio campo visivo) di Paolini o Da mille a mille di Boetti configurano visioni al contempo individuali e universali, manifeste e cifrate, dettate dall’osservanza dei codici formali della rappresentazione.
Le sezioni tematiche sopra delineate sono visualizzate in mostra attraverso circa 100 opere, di cui quelle qui nominate costituiscono il riferimento essenziale ed ideale.
Le opere, generalmente concesse in prestito da Musei, Archivi, Fondazioni e privati, sono in alcuni casi provenienti dalle collezioni degli artisti stessi. Particolare attenzione viene rivolta, infatti, alle opere a loro appartenute all’epoca, al fine di tentare di ricostruire le reciproche relazioni, attestazioni di stima, affinità intellettuali.
Artisti presenti in mostra: Mario Airó, Francesco Barocco, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Gianni Caravaggio, Enrico Castellani, Gianni Colombo, Martino Coppes, Dadamaino, Gino De Dominicis, Daniela De Lorenzo, Chiara Dynys, Luciano Fabro, Lucio Fontana, Francesco Gennari, Yves Klein, Francesco Lo Savio, Piero Manzoni, Eva Marisaldi, Amedeo Martegani, Sabrina Mezzaqui, Giulio Paolini, Diego Perrone, Michelangelo Pistoletto, Ettore Spalletti, Luca Trevisani, Francesco Vella e Italo Zuffi.
La mostra è a cura di Marco Franciolli, Direttore e Bettina Della Casa, Curatrice, Museo Cantonale d’Arte
Un catalogo a colori bilingue, italiano/inglese, accompagna l'esposizione con introduzione di Marco Franciolli e testi di Bruno Corà, Bettina Della Casa, Marcello Ghilardi, Tony Godfrey, Ada Masoero, Giulio Paolini, Annemarie Sauzeau, Dieter Schwarz e Elena Volpato. Schede di Simone Menegoi.
06
ottobre 2006
L’immagine del vuoto. Una linea di ricerca nell’arte in Italia 1958-2006
Dal 06 ottobre 2006 al 07 gennaio 2007
arte contemporanea
Location
MUSEO CANTONALE D’ARTE
Lugano, Via Canova, 10, (Lugano)
Lugano, Via Canova, 10, (Lugano)
Biglietti
Fr. 10.- , € 7,00
anziani, studenti e gruppi Fr. 7.-, € 5,00
Orario di apertura
martedì 14-17
da mercoledì a
sabato 10-17
domenica 11-18
chiuso lunedì
Vernissage
6 Ottobre 2006, ore 18.30
Editore
SKIRA
Ufficio stampa
UESSEARTE
Autore
Curatore