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Linguaggi della Memoria
Esposizione permanente presso la sede ANRP in via Labicana 15a a Roma
Comunicato stampa
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"Siamo liberi quando i nostri atti scaturiscono da tutta la nostra personalità, quando la esprimono, quando hanno con essa quella indefinibile rassomiglianza che si trova talora tra l’artista e la sua opera".
(H. Bergson, “Saggio sui dati immediati della coscienza”)
Come può l’essere umano trovare spazi di libertà e quindi di sopravvivenza? Come può oggi e come ha potuto nel passato, anche in condizioni di prigionia e di violazione di ogni elementare diritto di esistenza su un pianeta che è di tutti per diritto di nascita e non solo di cittadinanza?
Ieri come oggi l’unica risposta che scaturisce direttamente dalle testimonianze di coloro che possiamo definire “vittime” di chi ha agito abdicando al principio di umanità, e quindi anche alla propria natura, riguarda il poter attingere ad una risorsa che definiamo sinteticamente Coscienza o Consapevolezza. Ma ancora, come riuscire a spiegare questa dimensione che dalla sfera interiore riesce a trasformarsi in azione? Ripercorrendo gli scritti filosofici di Henri Bergson (1859 – 1941) ecco che il nodo centrale del discorso verte sulla relazione tra i concetti, e le funzioni, di Memoria – Ricordo – Coscienza. Di conseguenza ci troviamo di fronte a due blocchi esistenziali che collidono generando Storia. L’uno è costituito dalla sfera delle profondità dell’io, l’altro dall’azione concreta che ne scaturisce e quindi dalla trasformazione della Società. Per spiegarlo in altri termini il nostro cervello agisce come una centrale di smistamento, ad esso arrivano da altra sede le informazioni fornite dalla Memoria e archiviate come Coscienza, esso le seleziona e le codifica come Ricordo a seconda dell’utilità immediata riguardante aspetti funzionali alla nostra sopravvivenza in senso lato, cioè sia pratici che mentali o, come alcuni preferiscono definirli, “spirituali”. Ecco allora che, sulla base di tali presupposti, non ha senso parlare di Memoria se essa non genera un’azione nel presente. Questo appunto è l’obiettivo che l’ANRP si è posta nel creare a Roma uno spazio espositivo interattivo e nel realizzare la mostra permanente “Vite di Internati Militari Italiani – Percorsi dal fronte di guerra ai lager tedeschi 1943-1945”. Oltre a mappe di orientamento storico, documenti ed effetti personali, sono in mostra anche scritti, elaborati e persino un violino … testimonianze di come le espressioni artistiche siano riuscite a tenere in vita un considerevole numero di internati, spiragli di creatività e quindi di libertà, appigli per riuscire a non lasciarsi andare alla disperazione, risorse interiori alle quali attingere in condizioni estreme. Ma, l’insieme del percorso espositivo articolato in sei sale, della sala conferenze e dell’annesso giardino costituiscono anche un contenitore attrezzato e finalizzato ad ospitare, contestualmente ai reperti e alle testimonianze dell’internamento e del lavoro coatto, eventi correlati che vertono sulla continuità storica e sui linguaggi delle arti contemporanee. Come possiamo infatti riuscire a concepire un Passato ed un Futuro se non attraverso una coscienza del Presente? E cosa meglio dell’arte riesce a comunicare una tale dimensione costituita da istanti dilatati e non scanditi da un ritmo temporale meccanico, proprio delle scienze esatte, ma distante dalla realtà della Memoria, della Coscienza e della Consapevolezza? Le opere di arte visiva di Anna N. Mariani e di Gianluca Murasecchi, si pongono sia come tributo alla tematica della mostra che come anello di congiungimento spazio-temporale per far sì che il messaggio della Memoria non rimanga soltanto la narrazione di fatti avvenuti nel Passato. Accanto alle loro opere, nella serata del 28 maggio 2015, saranno presenti altri linguaggi dell’arte quali l’esecuzione di Daniele Valabrega di brani per violino, dedicate alla memoria di Gigi Manoni che forse proprio grazie al suo violino riuscì a scampare dalla morte durante l’internamento nel campo di concentramento nazista di Allenstein, e la lettura di Marco Casazza di lettere, diari e racconti di Internati, tratti dalle narrazioni audio da lui curate per la mostra permanente.
Le opere di Mariani e Murasecchi suggeriscono diverse considerazioni. In primo luogo troviamo un linguaggio visivo femminile accanto ad uno maschile, una nota sicuramente interessante nell’ambito di una mostra storica che, per forza di cose, riguarda direttamente soltanto uomini. Eppure pensiamo a quante donne hanno dovuto subire indirettamente la terribile esperienza degli Internati Militari Italiani: madri, sorelle, mogli, figlie … Altra considerazione è quella della presenza di due diversi stili che, pur essendo contemporanei, hanno la peculiarità di rimandare e citare le due maggiori correnti artistiche sviluppatesi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale: l’Espressionismo Astratto proprio degli artisti statunitensi, per Murasecchi, e l’Informale degli artisti europei per Mariani. Da quel momento, infatti, il centro della vita artistica internazionale non fu più Parigi, ma si è spostò decisamente a New York. Lì gli artisti americani recuperarono i linguaggi avanguardistici per lanciarsi in una rappresentazione dirompente, capace di mettere in discussione il reale confidando nella possibilità di riuscire a cambiare il mondo. Contemporaneamente in Europa lo sconvolgimento era stato totale e gli artisti puntavano a rappresentare il proprio stato d’animo, per tentare di rimettere insieme i tasselli della propria esistenza, attraverso un nuovo rapporto con tutti i materiali di possibile impiego, come per ricostruire un nuovo rapporto con il mondo. Due risposte diverse per una stessa tragedia, per una guerra che, seppure per differenti ragioni, non vedeva veri e propri vincitori. Anche se questo si potrebbe affermare per ogni guerra, mai come nel caso della Seconda Guerra Mondiale era stato così vero. Da quel momento ad oggi, infatti, la situazione internazionale che si è venuta a verificare è stata caratterizzata dalla minaccia continua di una guerra totale, a causa della quale la corsa agli armamenti non si è mai arrestata, così come è stato sovvertito nella teoria e nella pratica l’ordine naturale tra i concetti di Pace e di Guerra: una guerra che non si riesce a combattere e una pace che non si riesce a consolidare. A tutt’oggi una miriade di guerre parziali dilaniano il nostro pianeta rendendo, purtroppo, attuale e necessario alle nostre coscienze il messaggio di uomini che, seppure spogliati dei loro ruoli, hanno saputo restare esseri umani. Gianluca Murasecchi, attraverso un’installazione di grande suggestione, rappresenta degli uomini ridotti ad uno “stato zero”, che strisciano a terra come pantere ferite e ridotte quasi a scheletro. I loro arti sono segmenti di linee rette, sono solo tensione, sono la rappresentazione di un confine estremo, anzi sono addirittura il superamento di un confine estremo. Le singole sculture sono state realizzate attraverso l’impiego di un nuovo materiale di uso industriale, il polistirene estruso ed espanso ad alta densità. Drammaticità e leggerezza si compensano collocandosi nell’ambito della tecnica contemporanea dell’assemblaggio e dell’utilizzo sperimentale di materiali avulsi dalla classica prassi artistica, ma presenti nella nostra attuale vita quotidiana. Astrazione e figurazione si confondono in negazioni e rimandi reciproci, ogni segmento impiegato serve principalmente ad indicare una traiettoria, una rotta, uno spazio, un intreccio di possibili direzioni per raggiungere la salvezza. Completamente diverso il linguaggio informale di Anna N. Mariani, interiore e lirico, costruito sui toni del bianco e dell’ocra. La base di tre teli tessuti a mano di un vecchio lenzuolo di lino riportano al concetto di assenza. Un lenzuolo matrimoniale per un letto vuoto a metà, dove la donna aspetta, a volte invano, il ritorno di un marito, di un militare tradito dagli eventi e dagli ideali in cui credeva. Un lenzuolo che assume anche il significato simbolico di un sudario, il drappo per avvolgere il corpo non più in vita. Sui teli laterali sono rappresentate delle volute di carta velina, come spire di un’anima che vola; al centro versi che terminano con la parola “Altrove”, titolo dell’opera. Parole che appaiono attraverso una retro-illuminazione, come se si trattasse del messaggio di un oracolo, un “eidolon”, un’apparizione.
(H. Bergson, “Saggio sui dati immediati della coscienza”)
Come può l’essere umano trovare spazi di libertà e quindi di sopravvivenza? Come può oggi e come ha potuto nel passato, anche in condizioni di prigionia e di violazione di ogni elementare diritto di esistenza su un pianeta che è di tutti per diritto di nascita e non solo di cittadinanza?
Ieri come oggi l’unica risposta che scaturisce direttamente dalle testimonianze di coloro che possiamo definire “vittime” di chi ha agito abdicando al principio di umanità, e quindi anche alla propria natura, riguarda il poter attingere ad una risorsa che definiamo sinteticamente Coscienza o Consapevolezza. Ma ancora, come riuscire a spiegare questa dimensione che dalla sfera interiore riesce a trasformarsi in azione? Ripercorrendo gli scritti filosofici di Henri Bergson (1859 – 1941) ecco che il nodo centrale del discorso verte sulla relazione tra i concetti, e le funzioni, di Memoria – Ricordo – Coscienza. Di conseguenza ci troviamo di fronte a due blocchi esistenziali che collidono generando Storia. L’uno è costituito dalla sfera delle profondità dell’io, l’altro dall’azione concreta che ne scaturisce e quindi dalla trasformazione della Società. Per spiegarlo in altri termini il nostro cervello agisce come una centrale di smistamento, ad esso arrivano da altra sede le informazioni fornite dalla Memoria e archiviate come Coscienza, esso le seleziona e le codifica come Ricordo a seconda dell’utilità immediata riguardante aspetti funzionali alla nostra sopravvivenza in senso lato, cioè sia pratici che mentali o, come alcuni preferiscono definirli, “spirituali”. Ecco allora che, sulla base di tali presupposti, non ha senso parlare di Memoria se essa non genera un’azione nel presente. Questo appunto è l’obiettivo che l’ANRP si è posta nel creare a Roma uno spazio espositivo interattivo e nel realizzare la mostra permanente “Vite di Internati Militari Italiani – Percorsi dal fronte di guerra ai lager tedeschi 1943-1945”. Oltre a mappe di orientamento storico, documenti ed effetti personali, sono in mostra anche scritti, elaborati e persino un violino … testimonianze di come le espressioni artistiche siano riuscite a tenere in vita un considerevole numero di internati, spiragli di creatività e quindi di libertà, appigli per riuscire a non lasciarsi andare alla disperazione, risorse interiori alle quali attingere in condizioni estreme. Ma, l’insieme del percorso espositivo articolato in sei sale, della sala conferenze e dell’annesso giardino costituiscono anche un contenitore attrezzato e finalizzato ad ospitare, contestualmente ai reperti e alle testimonianze dell’internamento e del lavoro coatto, eventi correlati che vertono sulla continuità storica e sui linguaggi delle arti contemporanee. Come possiamo infatti riuscire a concepire un Passato ed un Futuro se non attraverso una coscienza del Presente? E cosa meglio dell’arte riesce a comunicare una tale dimensione costituita da istanti dilatati e non scanditi da un ritmo temporale meccanico, proprio delle scienze esatte, ma distante dalla realtà della Memoria, della Coscienza e della Consapevolezza? Le opere di arte visiva di Anna N. Mariani e di Gianluca Murasecchi, si pongono sia come tributo alla tematica della mostra che come anello di congiungimento spazio-temporale per far sì che il messaggio della Memoria non rimanga soltanto la narrazione di fatti avvenuti nel Passato. Accanto alle loro opere, nella serata del 28 maggio 2015, saranno presenti altri linguaggi dell’arte quali l’esecuzione di Daniele Valabrega di brani per violino, dedicate alla memoria di Gigi Manoni che forse proprio grazie al suo violino riuscì a scampare dalla morte durante l’internamento nel campo di concentramento nazista di Allenstein, e la lettura di Marco Casazza di lettere, diari e racconti di Internati, tratti dalle narrazioni audio da lui curate per la mostra permanente.
Le opere di Mariani e Murasecchi suggeriscono diverse considerazioni. In primo luogo troviamo un linguaggio visivo femminile accanto ad uno maschile, una nota sicuramente interessante nell’ambito di una mostra storica che, per forza di cose, riguarda direttamente soltanto uomini. Eppure pensiamo a quante donne hanno dovuto subire indirettamente la terribile esperienza degli Internati Militari Italiani: madri, sorelle, mogli, figlie … Altra considerazione è quella della presenza di due diversi stili che, pur essendo contemporanei, hanno la peculiarità di rimandare e citare le due maggiori correnti artistiche sviluppatesi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale: l’Espressionismo Astratto proprio degli artisti statunitensi, per Murasecchi, e l’Informale degli artisti europei per Mariani. Da quel momento, infatti, il centro della vita artistica internazionale non fu più Parigi, ma si è spostò decisamente a New York. Lì gli artisti americani recuperarono i linguaggi avanguardistici per lanciarsi in una rappresentazione dirompente, capace di mettere in discussione il reale confidando nella possibilità di riuscire a cambiare il mondo. Contemporaneamente in Europa lo sconvolgimento era stato totale e gli artisti puntavano a rappresentare il proprio stato d’animo, per tentare di rimettere insieme i tasselli della propria esistenza, attraverso un nuovo rapporto con tutti i materiali di possibile impiego, come per ricostruire un nuovo rapporto con il mondo. Due risposte diverse per una stessa tragedia, per una guerra che, seppure per differenti ragioni, non vedeva veri e propri vincitori. Anche se questo si potrebbe affermare per ogni guerra, mai come nel caso della Seconda Guerra Mondiale era stato così vero. Da quel momento ad oggi, infatti, la situazione internazionale che si è venuta a verificare è stata caratterizzata dalla minaccia continua di una guerra totale, a causa della quale la corsa agli armamenti non si è mai arrestata, così come è stato sovvertito nella teoria e nella pratica l’ordine naturale tra i concetti di Pace e di Guerra: una guerra che non si riesce a combattere e una pace che non si riesce a consolidare. A tutt’oggi una miriade di guerre parziali dilaniano il nostro pianeta rendendo, purtroppo, attuale e necessario alle nostre coscienze il messaggio di uomini che, seppure spogliati dei loro ruoli, hanno saputo restare esseri umani. Gianluca Murasecchi, attraverso un’installazione di grande suggestione, rappresenta degli uomini ridotti ad uno “stato zero”, che strisciano a terra come pantere ferite e ridotte quasi a scheletro. I loro arti sono segmenti di linee rette, sono solo tensione, sono la rappresentazione di un confine estremo, anzi sono addirittura il superamento di un confine estremo. Le singole sculture sono state realizzate attraverso l’impiego di un nuovo materiale di uso industriale, il polistirene estruso ed espanso ad alta densità. Drammaticità e leggerezza si compensano collocandosi nell’ambito della tecnica contemporanea dell’assemblaggio e dell’utilizzo sperimentale di materiali avulsi dalla classica prassi artistica, ma presenti nella nostra attuale vita quotidiana. Astrazione e figurazione si confondono in negazioni e rimandi reciproci, ogni segmento impiegato serve principalmente ad indicare una traiettoria, una rotta, uno spazio, un intreccio di possibili direzioni per raggiungere la salvezza. Completamente diverso il linguaggio informale di Anna N. Mariani, interiore e lirico, costruito sui toni del bianco e dell’ocra. La base di tre teli tessuti a mano di un vecchio lenzuolo di lino riportano al concetto di assenza. Un lenzuolo matrimoniale per un letto vuoto a metà, dove la donna aspetta, a volte invano, il ritorno di un marito, di un militare tradito dagli eventi e dagli ideali in cui credeva. Un lenzuolo che assume anche il significato simbolico di un sudario, il drappo per avvolgere il corpo non più in vita. Sui teli laterali sono rappresentate delle volute di carta velina, come spire di un’anima che vola; al centro versi che terminano con la parola “Altrove”, titolo dell’opera. Parole che appaiono attraverso una retro-illuminazione, come se si trattasse del messaggio di un oracolo, un “eidolon”, un’apparizione.
28
maggio 2015
Linguaggi della Memoria
28 maggio 2015
arte contemporanea
Location
SEDI VARIE – Roma
Roma, (Roma)
Roma, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì ore 9.30-13.30
Vernissage
28 Maggio 2015, h 19.30
Autore
Curatore