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Lo sguardo dell’antropologo
Dopo la riapertura al pubblico delle proprie sale, il Museo Egizio riprende anche l’attività espositiva temporanea: da domani, sabato 13 giugno, e fino al 15 novembre, la visita della collezione egittologica viene arricchita da “Lo sguardo dell’antropologo”, una piccola mostra allestita in una sala del primo piano e realizzato dai curatori del Museo Egizio in collaborazione con il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino (MAET).
Comunicato stampa
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La mostra nasce dall'intento di mettere in dialogo le collezioni dei due musei, proponendo una riflessione sulle modalità con cui la cultura scientifica europea, tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX, percepiva e classificava i suoi “altri”. Un progetto che mira a ricostruire i rapporti tra egittologia e antropologia, individuando prospettive di ricerca e possibili aree di collaborazione futura.
"Lo sguardo dell'antropologo” espone una quarantina di oggetti, in gran parte prevenienti dalle collezioni etnografiche del MAET, rappresentativi delle culture extraeuropee e dell’antico Egitto: fra essi il ruolo di protagonista spetta a una mummia di una giovane donna, caratterizzata da una tunica finemente plissettata, proveniente dal sito archeologico di Gebelein, oggetto di recenti indagini scientifiche e il cui restauro è stato da poco concluso presso il Centro Conservazione e Restauro "La Venaria Reale".
L’esposizione intende dare particolare risalto alle tracce degli “sguardi” che si sono posati sui reperti nel momento del loro rinvenimento da parte di studiosi e antropologi: sguardi colmi di stupore, meraviglia ma anche di disprezzo o di compiacimento, improntati a una visione che classificava i gruppi umani all’interno di una griglia evolutiva. In quella prospettiva, gli abitanti dell’Africa - insieme alla maggior parte delle culture extraeuropee - erano visti come dei “primitivi” immersi nella magia e nella superstizione; l’Egitto, invece, fu idealmente disconnesso dal continente cui appartiene, per essere invece considerato la culla della civiltà occidentale. Su questo tema si concentra un video presente in mostra: “I giovani africani e l’Egitto”, che indaga il significato che l’antico Egitto ricopre per gli africani contemporanei, i quali, attraverso una serie di interviste, ribaltano provocatoriamente questa visione tipicamente orientalista dell’Egitto.
L’esposizione – realizzata in una sala resa suggestiva anche per le vetrine ottocentesche e i pavimenti in legno originali del palazzo barocco - conta altre tre sezioni, che riguardano la nascita e i contenuti dell’antropologia, la storia del Museo di Antropologia ed Etnografia dell'Università di Torino Museo a partire dalla sua fondazione nel 1926 da parte dell’antropologo Giovanni Marro, e il contesto di scavo nel quale fu rinvenuta la mummia su cui è stato effettuato il restauro.
Sulla mummia della “giovane donna con tunica plissettata” sono state recentemente condotte dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino delle analisi biomolecolari innovative, le prime realizzate in modalità non invasiva su un resto umano di epoca egizia. Utilizzando una membrana che estrae le proteine presenti sulla superficie del reperto, è stato possibile rilevare i componenti originari della pelle della donna e i potenziali microrganismi causa del degrado, dati fondamentali per progettare il futuro monitoraggio dello stato di conservazione.
“Questa mostra - spiega Christian Greco, direttore del Museo Egizio - esprime appieno la centralità dell’attività di ricerca nel nostro lavoro quotidiano: antropologia ed archeologia sono due discipline che camminano fianco a fianco per studiare e comprendere l’uomo, la sua cultura materiale. Un ambito in cui la collaborazione fra il Museo e l’Università assume una funzione primaria, consentendoci di approfondire la comprensione di quei frammenti di memoria che ci permettono di ricostruire i comportamenti, i rituali, le risposte alle domande esistenziali e, quindi, di comprendere noi stessi ed il ruolo che occupiamo nella società”.
“Inoltre - aggiunge il Direttore - con questa operazione vogliamo offrire una finestra al Museo di Antropologia, purtroppo chiuso al pubblico, creando una connessione che racconta una pagina importante della storia della nostra collezione. Riportare la mummia al museo significa anche ricomporre corredi unitari: si tratta di scoperte fatte in Egitto durante le campagne della MAI dirette da Schiaparelli, di cui il Marro era l’antropologo fisico, e i reperti vennero poi suddivisi fra Museo e Università, dove andarono sostanzialmente i resti antropologici. L’esposizione consente quindi di riproporre e mostrare la collaborazione scientifica, di spiegare l’evoluzione dell’interesse accademico torinese che, oltre all'antropologia fisica ha visto poi lo sviluppo dell’antropologia culturale. E proprio questo oggi ci avvicina ancora una volta, con un’iniziativa della cui realizzazione sono grato alla direttrice del Museo di Antropologia, Cecilia Pennacini, e al presidente del Sistema Museale d'Ateneo dell’Università degli Studi di Torino, Enrico Pasini, nonché alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Città Metropolitana di Torino, nella persona di Elisa Fiore Marochetti”.
“Il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino è chiuso al pubblico dal 1984: questa mostra, organizzata in collaborazione con il Museo Egizio, offre finalmente l’opportunità di esporre al pubblico alcuni preziosi reperti e di raccontare la storia di questo straordinario museo, che conserva oggetti e reperti provenienti da ogni parte del mondo – dichiara Cecilia Pennacini, direttrice del MAET - L’eterogeneità delle collezioni riflette lo sguardo del fondatore che, come molti studiosi dell’epoca, cercava di documentare la diversità dei gruppi umani inquadrandola erroneamente in una gerarchia di “razze” inferiori e superiori. L’antica civiltà egizia, a lungo studiata da Marro nell’ambito della Missione Archeologica diretta da Ernesto Schiaparelli, era posta al vertice di questa scala mentre le culture dell’Africa e di altre società extra-europee erano viste come arretrate. L’antropologia ha abbandonato da tempo questa visione, sia in ambito biologico che culturale, e il percorso espositivo suggerisce come oggi il lavoro di terreno e lo studio analitico dei reperti consentano di produrre conoscenze preziose in grado di illuminare la storia di civiltà tuttora poco conosciute, restituendo a tutte la medesima dignità”.
"Lo sguardo dell'antropologo” espone una quarantina di oggetti, in gran parte prevenienti dalle collezioni etnografiche del MAET, rappresentativi delle culture extraeuropee e dell’antico Egitto: fra essi il ruolo di protagonista spetta a una mummia di una giovane donna, caratterizzata da una tunica finemente plissettata, proveniente dal sito archeologico di Gebelein, oggetto di recenti indagini scientifiche e il cui restauro è stato da poco concluso presso il Centro Conservazione e Restauro "La Venaria Reale".
L’esposizione intende dare particolare risalto alle tracce degli “sguardi” che si sono posati sui reperti nel momento del loro rinvenimento da parte di studiosi e antropologi: sguardi colmi di stupore, meraviglia ma anche di disprezzo o di compiacimento, improntati a una visione che classificava i gruppi umani all’interno di una griglia evolutiva. In quella prospettiva, gli abitanti dell’Africa - insieme alla maggior parte delle culture extraeuropee - erano visti come dei “primitivi” immersi nella magia e nella superstizione; l’Egitto, invece, fu idealmente disconnesso dal continente cui appartiene, per essere invece considerato la culla della civiltà occidentale. Su questo tema si concentra un video presente in mostra: “I giovani africani e l’Egitto”, che indaga il significato che l’antico Egitto ricopre per gli africani contemporanei, i quali, attraverso una serie di interviste, ribaltano provocatoriamente questa visione tipicamente orientalista dell’Egitto.
L’esposizione – realizzata in una sala resa suggestiva anche per le vetrine ottocentesche e i pavimenti in legno originali del palazzo barocco - conta altre tre sezioni, che riguardano la nascita e i contenuti dell’antropologia, la storia del Museo di Antropologia ed Etnografia dell'Università di Torino Museo a partire dalla sua fondazione nel 1926 da parte dell’antropologo Giovanni Marro, e il contesto di scavo nel quale fu rinvenuta la mummia su cui è stato effettuato il restauro.
Sulla mummia della “giovane donna con tunica plissettata” sono state recentemente condotte dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino delle analisi biomolecolari innovative, le prime realizzate in modalità non invasiva su un resto umano di epoca egizia. Utilizzando una membrana che estrae le proteine presenti sulla superficie del reperto, è stato possibile rilevare i componenti originari della pelle della donna e i potenziali microrganismi causa del degrado, dati fondamentali per progettare il futuro monitoraggio dello stato di conservazione.
“Questa mostra - spiega Christian Greco, direttore del Museo Egizio - esprime appieno la centralità dell’attività di ricerca nel nostro lavoro quotidiano: antropologia ed archeologia sono due discipline che camminano fianco a fianco per studiare e comprendere l’uomo, la sua cultura materiale. Un ambito in cui la collaborazione fra il Museo e l’Università assume una funzione primaria, consentendoci di approfondire la comprensione di quei frammenti di memoria che ci permettono di ricostruire i comportamenti, i rituali, le risposte alle domande esistenziali e, quindi, di comprendere noi stessi ed il ruolo che occupiamo nella società”.
“Inoltre - aggiunge il Direttore - con questa operazione vogliamo offrire una finestra al Museo di Antropologia, purtroppo chiuso al pubblico, creando una connessione che racconta una pagina importante della storia della nostra collezione. Riportare la mummia al museo significa anche ricomporre corredi unitari: si tratta di scoperte fatte in Egitto durante le campagne della MAI dirette da Schiaparelli, di cui il Marro era l’antropologo fisico, e i reperti vennero poi suddivisi fra Museo e Università, dove andarono sostanzialmente i resti antropologici. L’esposizione consente quindi di riproporre e mostrare la collaborazione scientifica, di spiegare l’evoluzione dell’interesse accademico torinese che, oltre all'antropologia fisica ha visto poi lo sviluppo dell’antropologia culturale. E proprio questo oggi ci avvicina ancora una volta, con un’iniziativa della cui realizzazione sono grato alla direttrice del Museo di Antropologia, Cecilia Pennacini, e al presidente del Sistema Museale d'Ateneo dell’Università degli Studi di Torino, Enrico Pasini, nonché alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Città Metropolitana di Torino, nella persona di Elisa Fiore Marochetti”.
“Il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino è chiuso al pubblico dal 1984: questa mostra, organizzata in collaborazione con il Museo Egizio, offre finalmente l’opportunità di esporre al pubblico alcuni preziosi reperti e di raccontare la storia di questo straordinario museo, che conserva oggetti e reperti provenienti da ogni parte del mondo – dichiara Cecilia Pennacini, direttrice del MAET - L’eterogeneità delle collezioni riflette lo sguardo del fondatore che, come molti studiosi dell’epoca, cercava di documentare la diversità dei gruppi umani inquadrandola erroneamente in una gerarchia di “razze” inferiori e superiori. L’antica civiltà egizia, a lungo studiata da Marro nell’ambito della Missione Archeologica diretta da Ernesto Schiaparelli, era posta al vertice di questa scala mentre le culture dell’Africa e di altre società extra-europee erano viste come arretrate. L’antropologia ha abbandonato da tempo questa visione, sia in ambito biologico che culturale, e il percorso espositivo suggerisce come oggi il lavoro di terreno e lo studio analitico dei reperti consentano di produrre conoscenze preziose in grado di illuminare la storia di civiltà tuttora poco conosciute, restituendo a tutte la medesima dignità”.
01
febbraio 2021
Lo sguardo dell’antropologo
Dal primo al 05 febbraio 2021
archeologia
Location
MUSEO EGIZIO
Torino, Via Dell'accademia Delle Scienze, 6, (Torino)
Torino, Via Dell'accademia Delle Scienze, 6, (Torino)
Orario di apertura
il sabato e la domenica dalle 10 alle 20, venerdì dalle 10 alle 18.
Sito web
www.museoegizio.it