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Lo spazio dell’uomo
Un’indagine sulla scena artistica contemporanea cilena, attraverso l’incontro tra la storia del passato e la realtà del presente.
Comunicato stampa
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Dal 24 gennaio all’11 maggio 2008, la Fondazione Merz presenta la mostra Lo spazio dell’uomo, un’indagine sulla scena artistica contemporanea cilena, attraverso l’incontro tra la storia del passato e la realtà del presente.
L’esposizione è realizzata in accordo e con il sostegno della Regione Piemonte, con il contributo della DIRAC (Ministero de Relaciones Exteriores), il patrocinio dell’IILA (Istituto Italiano Latino Americano) e in collaborazione con la Fundación Allende.
Come punto di partenza, la Fondazione ha scelto di presentare, per la prima volta in Europa, il Museo de la Solidaridad Salvador Allende con una selezione di 29 opere della loro collezione d’arte internazionale, per poi offrire uno sguardo sulla produzione artistica attuale, qui rappresentata dai lavori di sei giovani artisti cileni.
Nel 1971, Italia e Cile furono protagonisti di un’importante operazione culturale che portò, un anno più tardi, all’istituzione di un museo internazionale unico nel suo genere.
Per volontà del suo ideatore, l’allora presidente Salvador Allende – destituito dal golpe del 1973 - , il Museo de la Solidaridad infatti fu il risultato del lavoro di un gruppo di esponenti della cultura internazionale. Tra il 1971 e il 1973 il Museo raccolse le opere donate dagli artisti di tutto i mondo che resero possibile la creazione di una collezione d’arte destinata al pubblico cileno, che continuò ad arricchirsi anche negli anni del Regime, con un intento di solidarietà politica e che finalmente oggi trova una sua collocazione in un nuovo spazio espositivo a essa dedicato.
“… In una nuova concezione dei diritti dell’uomo dove si lavora innanzitutto per l’uomo, […] vogliamo che la cultura non sia patrimonio di un’elite, ma che sia accessibile alla grande massa che finora ne è rimasta esclusa, fondamentalmente, ai lavoratori, quelli della terra, delle fabbriche, delle imprese e del mare” (Salvador Allende).
Parallelamente, la scena artistica cilena è animata da una forte potenzialità creativa, numerosi artisti si muovono nella ricerca visiva e in molti di loro ritroviamo radicata l’indagine sulla memoria, sullo “spazio umano” inteso come identità, non solo politico-sociale. Tra questi sono stati identificati gli autori delle opere presenti nella mostra alla Fondazione Merz.
Pitture di Joan Miro, Roberto Matta e Frank Stella, sculture di Alexander Calder e Jorge Oteiza, disegni, collage, serigrafie di altri artisti di rilievo, dialogano cosi con le installazioni polifoniche di Claudia Aravena, Mónica Bengoa, Guillermo Cifuentes, Andrea Goic, Bernardo Oyarzun e Sebastian Preece, producendo un contrasto visivo che, se da un lato evidenzia l’inarrestabile e universale evoluzione del linguaggio dell’arte, dall’altro apre un dibattito sul ruolo dell’opera all’interno del contesto storico e sociale nel quale viene prodotta e rappresentata.
Storia di una collezione: Museo de la Solidaridad Salvador Allende
Un museo, in generale, afferma il proprio carattere con l’uso che fa delle collezioni. Un museo non mostra tutte le opere che custodisce nei propri fondi. Ciò si spiega non soltanto con la scarsità degli spazi disponibili per esporre, ma anche con lo schema di mostre che può allestire. Esiste così una dialettica tra quanto si mostra e quanto si conserva. Ecco allora che la forza di un museo si misuri non per quello che mostra, ma per ciò che lo sostiene. Ancor più quando il Museo è una istituzione speciale, come il Museo de la Solidaridad Salvador Allende (Museo della solidarietà Salvador Allende), perché eccezionale è la storia della sua nascita. A sostenerlo è un concetto di solidarietà politica e culturale che affonda le sue radici agli inizi degli anni Settanta, il che ci induce a porci delle domande sulla permanenza di tale concetto nel campo politico. Primo, solidarietà con un processo politico rappresentato dalla figura del presidente Allende; quindi, solidarietà con la lotta per riottenere la libertà; infine, solidarietà con la produzione della memoria.
Un museo come questo non può disconoscere il proprio ruolo nell’opera di ricostruzione del concetto di cittadinanza, Tutto questo fa sì che il Museo Allende sia un posto eccezionale: primo, perché è sorto in un momento eccezionale della storia politica del paese e, secondo, perché il modo in cui si è formato è stato eccezionale nella storia della formazione di un museo.
Parlo di collezioni al plurale perché ci sono stati due momenti chiave nella raccolta di opere: il primo, nel 1971-1973, a Santiago; il segundo, a partire dal 1974, all’estero. Questa seconda campagna di raccolta è durata fino agli anni Ottanta. La prima è corrisposta al Museo della Solidarietà, nel quadro dell’Operación Verdad (Operazione Verità); la seconda, com’è ovvio, è corrisposta alla fase in cui il Museo venne denominato Museo de la Resistencia (Museo della Resistenza). In seguito entrambe le collezioni confluirono in quello che oggi e il Fondo di opere del Museo de la Solidaridad Salvador Allende.
La memoria del Museo de la Solidaridad Salvador Allende funziona grazie alla mobilità della sua gestione, alla necessità che sente di essere in contatto con il circuito dell’arte latinoamericana, cosa che facciamo quando presentiamo la mostra nella sala del SESI, di San Paolo del Brasile e nel Museo Oscar Niemeyer di Curitiba. Il fatto che il “decollo” del museo avvenga in due città del Brasile si spiega con la storia delle origini del museo e con la presenza in esso di Mario Pedrosa, il grande critico brasiliano che in quel momento era in esilio in Cile e che con il suo prestigio internazionale e la lucidità della sua posizione culturale contribuì a dar corpo alla prima collezione.
Per parlare del ruolo e della prospettiva del lavoro di Mario Pedrosa, mi permetto di raccontare un aneddoto che mi pare particolarmente significativo. Mario Pedrosa pensò di scrivere una lettera indirizzata a Picasso, nel momento in cui imperversavano i bombardamenti strategici sul Vietnam del Nord, affermando una cosa semplicissima: la necessità di trasferire “Guernica” a Santiago del Cile, dove si stava portando avanti un’esperienza singolare di sviluppo sociale e politico, perché gli Stati Uniti non si meritavano più di ospitare la suddetta opera, visto che quotidianamente sottoponevano qualche popolazione del pianeta a un bombardamento simile a quello di Guernica. La lettera fu scritta davvero ed era destinata a essere distribuita tra gli artisti affinché la firmassero. L’originale del documento è custodito nell’archivio del museo come testimonianza dei tentativi di autonomia culturale di quei giorni, per comprendere i quali è ineludibile riferirsi alla variabile politica dell’anti imperialismo. Il Cile era diventato una piattaforma dei speranza per una nuova politica, che neppure la classe politica cilena comprese nella sua reale portata.
Al fine di far comprendere lo spessore storico del momento che ha portato alla formazione del Museo de la Solidaridad Aalvador Allende, bisogna collocare nella stessa prospettiva l’aneddoto su Mario Pedrosa e la visita in Cile di Gordon Matta-Clark.
Gordon Matta-Clark visita il Cile nel maggio del 1971, nel quadro di un viaggio in Sudamerica con il suo amico Jeffrey Lew. Ha già al suo attivo Foods, realizzato prima di partire e scritto una lettera/manifesto con la quale chiede agli artisti statunitensi di non partecipare alla Biennale di San Paolo, per protesta contro la dittatura brasiliana. La sua idea è di allestire a Santiago una specie di “controbiennale”, idea che però non va in porto. Realizza però un intervento nei sotterranei del Museo Nacional de Bellas Artes, mentre Jeffrey Lew scava nell’atrio principale dell’edificio, nello stesso punto in cui nel novembre del 1970 Roberto Matta preparava le sue tele.
Roberto Matta era andato a Santiago nel novembre del 1970 per assistere alla cerimonia della nomina di Salvador Allende alla presidenza della Repubblica e rimane del Paese fino alla fine di marzo del 1971. All’inizio del suo soggiorno, nel mese di novembre, eseguì dei dipinti utilizzando terra, gesso e paglia, aiutato dai muratori che stavano restaurando il museo. Quadri che, secondo le sue parole, riproducono la testura di un muro di adobe di una casa contadina cilena, imbiancato a calce, sui quali traccia poi dei segni antropomorfi che saranno caratteristici di questo periodo
A fronte dell’eccesso di denotazione della pittura di Roberto Matta, Jeffrey Lew e Gordon Matta-Clark criticano le fondamenta stesse dell’istituzione artistica. E’ questa la grande divergenza che si stabilisce in quel momento. Mentre Matta illustra il discorso di coloro che a suo giudizio non hanno una voce propria, Matta-Clark adotta una posizione situazionista, di critica istituzionale, mettendo in crisi i fondamenti dei trasferimenti culturali stessi, giacché interviene nel sotterraneo di un edificio che è già una copia di un museo di riferimento: il Petit Palais di Parigi.
†
La visita di Matta-Clark a Santiago non sarà visibile né alla scena artistica locale né alla critica storica successiva. Solo di recente la pubblicazione del volume di Phaidon dedicato a Matta-Clark, a cura di Corinne Diserens, include le fotografie di quell’intervento. A ciò si aggiunga la mostra Transmisión: the art of Roberto Matta and Gordon Matta-Clark, realizzata da Betti-Sue Hertz ad agosto 2006 nel Museo d’Arte di San Diego, California. Questo incidente filiale tra Matta e Matta-Clark è esemplare. Entrambi, padre e figlio, intervengono su uno stesso luogo, a mesi di distanza, nello stesso anno, e non si incontrano.
Il non incontro non è soltanto filiale, ma anche istituzionale. Entrambi lavorano in un museo che era stato edificato per celebrare il centenario della Repubblica. È il museo che l’oligarchia, alla quale Matta appartiene, costruisce per se stessa, per celebrare la propria politica. Matta va contro la memoria della sua tribù dipingendo nel tempio della vanità aristocratica un’opera che fa riferimento all’universo rurale sul dominio del quale si fonda il potere della sua classe di origine. Matta-Clark, invece, lavora sulle fondamenta che mettono in crisi l’atto critico del padre, realizzando un’opera nel sottosuolo.
In quello stesso anno, il 1971, non avendo potuto impedire che Allende diventasse presidente della Repubblica, il Dipartimento di Stato e le multinazionali si misero d’accordo per organizzare un grande boicottaggio informativo sulla situazione cilena. È quello che nel gergo dell’Intelligence si definisce “intossicazione informativa”. In quel momento il governo di Allende invita gli intellettuali e gli artisti in Cile, affinché possano informarsi direttamente su quanto accade nel Paese e riferirlo a loro volta ai propri Paesi e governi.
In questo contesto, critici e artisti decidono di far qualcosa di più che informare. Per collaborare con il governo di Allende nella sua lotta contro la manipolazione delle informazioni da parte degli Stati Uniti e delle transnazionali decidono di compiere uun gesto di solidarietà donando opere destinate a costituire la base per la formazione di un museo.
Quel che è importante evidenziare è la situazione in cui alcuni artisti realizzano un atto di protesta contro l’uso delle informazioni, donando opere per la fondazione di un museo. In termini più stretti, voglio pensare che si tratti di un caso “curioso” che contrappone, in modo non diretto, gli artisti con i mezzi di comunicazione. LA donazione di alcune opere è la prova di una “verità” che i media stanno occultando e manipolando. Il paradosso sta nel fatto che la formazione di un museo, come gesto istituzionale, ha origine da un atto a favore della libertà d’informazione. Mentre in altri luoghi del pianeta alcune opere dell’avanguardia mettono in dubbio la legittimità dei musei, in luoghi dalla storia museale incompleta il desiderio di museo diventa un imperativo di completezza. Questo è, quanto meno, una stranezza, nella storia dei musei di arte contemporanea. È così che inizia la rapida raccolta di opere ed è così che si arriva ad esporre la prima collezione, nella quale figurano opere di Miró, Calder, Stella, Monory, Rancillac, Adami, Velickovic, Vostell, Vasarely, Tapies, Canogar, Genovés, solo per citarne qualcuno.
Esiste, in tal modo, una collezione storica formata dalla prima fase della donazione. In questo modo, a Santiago del Cile si riunisce uno spaccato trasversale di un momento significativo della produzione contemporanea. Ma il golpe militare del 1973 mette il museo, e la società cilena, in “stato di eccezione”. La collezione rimarrà custodita per tutto il periodo della dittatura nei sotterranei del Museo di Arte contemporanea dell’Università del Cile, controllata dai militari. Tuttavia, nel 1974, in esilio, si ribattezza il museo col nome di Museo de la Resistencia e si avvia una seconda fase di raccolta delle opere che dura fino agli inizi degli anni Ottanta. A Transizione democratica avviata, nel 1991, le due collezioni vengono riunite sotto lo stesso tetto, che prenderà il nome di Museo de la Solidaridad Salvador Allende.
Attualmente il museo annovera oltre duemila opere ed è ubicato in calle República, in un quartiere che agli inizi del Novecento era abitato dall’oligarchia, ma che negli anni ha cambiato totalmente fisionomia, al punto da essere oggi un quartiere universitario. Le dimore signorili sono sede di istituzioni universitarie, e quelle che non sono state demolite hanno ceduto il passo all’ampliamento dell’università. La residenza in cui ha sede oggi il museo risale agli anni Venti. Negli anni Quaranta aveva ospitato l’ambasciata di Spagna, e dal 1969 era una dépendance dell’Università. Lì era stato trasferito il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università del Cile, rimasto attivo sino al 1976, quando la casa fu requisita dai militari che vi installarono un comando della Central Nacional de Inteligencia. Nei suoi sotterranei era in funzione un enorme sistema di controllo telefonico.
Agli inizi della Transizione democratica la casa fu abbandonata. Gli agenti dei servizi fecero terra bruciata, ma non riuscirono a cancellare tutte le impronte. I resti e le rovine parlano. Il restauro della casa ha consentito di ricostruire la storia del luogo. Si è deciso quindi di lasciare intatta una sala emblematica, quella dov’erano stati installati i dispositivi di controllo.
Per comprendere lo statuto attuale del Museo è imperativo pensare all’articolazione istituzionale che fa di questo luogo uno spazio eccezionale: in uno stesso edificio si verifica l’articolazione tra un Memoriale, un Museo del Luogo e un Museo di Arte contemporanea. È questa la sfida concettuale, politica e istituzionale di questo museo. Per questo non è un museo d’arte qualunque. La vicinanza degli altri due spazi, il memoriale e il museo del luogo, ne fanno un luogo d’eccezione. È qui che si mette in scena un’idea sulla rappresentazione delle memorie dell’arte e dell’azione collettiva di alcuni soggetti storici che dovettero pagare un costo materiale e simbolico molto alto.
Justo Pastor Mellado, curatore Museo de la Solidaridad Salvador Allende
L’esposizione è realizzata in accordo e con il sostegno della Regione Piemonte, con il contributo della DIRAC (Ministero de Relaciones Exteriores), il patrocinio dell’IILA (Istituto Italiano Latino Americano) e in collaborazione con la Fundación Allende.
Come punto di partenza, la Fondazione ha scelto di presentare, per la prima volta in Europa, il Museo de la Solidaridad Salvador Allende con una selezione di 29 opere della loro collezione d’arte internazionale, per poi offrire uno sguardo sulla produzione artistica attuale, qui rappresentata dai lavori di sei giovani artisti cileni.
Nel 1971, Italia e Cile furono protagonisti di un’importante operazione culturale che portò, un anno più tardi, all’istituzione di un museo internazionale unico nel suo genere.
Per volontà del suo ideatore, l’allora presidente Salvador Allende – destituito dal golpe del 1973 - , il Museo de la Solidaridad infatti fu il risultato del lavoro di un gruppo di esponenti della cultura internazionale. Tra il 1971 e il 1973 il Museo raccolse le opere donate dagli artisti di tutto i mondo che resero possibile la creazione di una collezione d’arte destinata al pubblico cileno, che continuò ad arricchirsi anche negli anni del Regime, con un intento di solidarietà politica e che finalmente oggi trova una sua collocazione in un nuovo spazio espositivo a essa dedicato.
“… In una nuova concezione dei diritti dell’uomo dove si lavora innanzitutto per l’uomo, […] vogliamo che la cultura non sia patrimonio di un’elite, ma che sia accessibile alla grande massa che finora ne è rimasta esclusa, fondamentalmente, ai lavoratori, quelli della terra, delle fabbriche, delle imprese e del mare” (Salvador Allende).
Parallelamente, la scena artistica cilena è animata da una forte potenzialità creativa, numerosi artisti si muovono nella ricerca visiva e in molti di loro ritroviamo radicata l’indagine sulla memoria, sullo “spazio umano” inteso come identità, non solo politico-sociale. Tra questi sono stati identificati gli autori delle opere presenti nella mostra alla Fondazione Merz.
Pitture di Joan Miro, Roberto Matta e Frank Stella, sculture di Alexander Calder e Jorge Oteiza, disegni, collage, serigrafie di altri artisti di rilievo, dialogano cosi con le installazioni polifoniche di Claudia Aravena, Mónica Bengoa, Guillermo Cifuentes, Andrea Goic, Bernardo Oyarzun e Sebastian Preece, producendo un contrasto visivo che, se da un lato evidenzia l’inarrestabile e universale evoluzione del linguaggio dell’arte, dall’altro apre un dibattito sul ruolo dell’opera all’interno del contesto storico e sociale nel quale viene prodotta e rappresentata.
Storia di una collezione: Museo de la Solidaridad Salvador Allende
Un museo, in generale, afferma il proprio carattere con l’uso che fa delle collezioni. Un museo non mostra tutte le opere che custodisce nei propri fondi. Ciò si spiega non soltanto con la scarsità degli spazi disponibili per esporre, ma anche con lo schema di mostre che può allestire. Esiste così una dialettica tra quanto si mostra e quanto si conserva. Ecco allora che la forza di un museo si misuri non per quello che mostra, ma per ciò che lo sostiene. Ancor più quando il Museo è una istituzione speciale, come il Museo de la Solidaridad Salvador Allende (Museo della solidarietà Salvador Allende), perché eccezionale è la storia della sua nascita. A sostenerlo è un concetto di solidarietà politica e culturale che affonda le sue radici agli inizi degli anni Settanta, il che ci induce a porci delle domande sulla permanenza di tale concetto nel campo politico. Primo, solidarietà con un processo politico rappresentato dalla figura del presidente Allende; quindi, solidarietà con la lotta per riottenere la libertà; infine, solidarietà con la produzione della memoria.
Un museo come questo non può disconoscere il proprio ruolo nell’opera di ricostruzione del concetto di cittadinanza, Tutto questo fa sì che il Museo Allende sia un posto eccezionale: primo, perché è sorto in un momento eccezionale della storia politica del paese e, secondo, perché il modo in cui si è formato è stato eccezionale nella storia della formazione di un museo.
Parlo di collezioni al plurale perché ci sono stati due momenti chiave nella raccolta di opere: il primo, nel 1971-1973, a Santiago; il segundo, a partire dal 1974, all’estero. Questa seconda campagna di raccolta è durata fino agli anni Ottanta. La prima è corrisposta al Museo della Solidarietà, nel quadro dell’Operación Verdad (Operazione Verità); la seconda, com’è ovvio, è corrisposta alla fase in cui il Museo venne denominato Museo de la Resistencia (Museo della Resistenza). In seguito entrambe le collezioni confluirono in quello che oggi e il Fondo di opere del Museo de la Solidaridad Salvador Allende.
La memoria del Museo de la Solidaridad Salvador Allende funziona grazie alla mobilità della sua gestione, alla necessità che sente di essere in contatto con il circuito dell’arte latinoamericana, cosa che facciamo quando presentiamo la mostra nella sala del SESI, di San Paolo del Brasile e nel Museo Oscar Niemeyer di Curitiba. Il fatto che il “decollo” del museo avvenga in due città del Brasile si spiega con la storia delle origini del museo e con la presenza in esso di Mario Pedrosa, il grande critico brasiliano che in quel momento era in esilio in Cile e che con il suo prestigio internazionale e la lucidità della sua posizione culturale contribuì a dar corpo alla prima collezione.
Per parlare del ruolo e della prospettiva del lavoro di Mario Pedrosa, mi permetto di raccontare un aneddoto che mi pare particolarmente significativo. Mario Pedrosa pensò di scrivere una lettera indirizzata a Picasso, nel momento in cui imperversavano i bombardamenti strategici sul Vietnam del Nord, affermando una cosa semplicissima: la necessità di trasferire “Guernica” a Santiago del Cile, dove si stava portando avanti un’esperienza singolare di sviluppo sociale e politico, perché gli Stati Uniti non si meritavano più di ospitare la suddetta opera, visto che quotidianamente sottoponevano qualche popolazione del pianeta a un bombardamento simile a quello di Guernica. La lettera fu scritta davvero ed era destinata a essere distribuita tra gli artisti affinché la firmassero. L’originale del documento è custodito nell’archivio del museo come testimonianza dei tentativi di autonomia culturale di quei giorni, per comprendere i quali è ineludibile riferirsi alla variabile politica dell’anti imperialismo. Il Cile era diventato una piattaforma dei speranza per una nuova politica, che neppure la classe politica cilena comprese nella sua reale portata.
Al fine di far comprendere lo spessore storico del momento che ha portato alla formazione del Museo de la Solidaridad Aalvador Allende, bisogna collocare nella stessa prospettiva l’aneddoto su Mario Pedrosa e la visita in Cile di Gordon Matta-Clark.
Gordon Matta-Clark visita il Cile nel maggio del 1971, nel quadro di un viaggio in Sudamerica con il suo amico Jeffrey Lew. Ha già al suo attivo Foods, realizzato prima di partire e scritto una lettera/manifesto con la quale chiede agli artisti statunitensi di non partecipare alla Biennale di San Paolo, per protesta contro la dittatura brasiliana. La sua idea è di allestire a Santiago una specie di “controbiennale”, idea che però non va in porto. Realizza però un intervento nei sotterranei del Museo Nacional de Bellas Artes, mentre Jeffrey Lew scava nell’atrio principale dell’edificio, nello stesso punto in cui nel novembre del 1970 Roberto Matta preparava le sue tele.
Roberto Matta era andato a Santiago nel novembre del 1970 per assistere alla cerimonia della nomina di Salvador Allende alla presidenza della Repubblica e rimane del Paese fino alla fine di marzo del 1971. All’inizio del suo soggiorno, nel mese di novembre, eseguì dei dipinti utilizzando terra, gesso e paglia, aiutato dai muratori che stavano restaurando il museo. Quadri che, secondo le sue parole, riproducono la testura di un muro di adobe di una casa contadina cilena, imbiancato a calce, sui quali traccia poi dei segni antropomorfi che saranno caratteristici di questo periodo
A fronte dell’eccesso di denotazione della pittura di Roberto Matta, Jeffrey Lew e Gordon Matta-Clark criticano le fondamenta stesse dell’istituzione artistica. E’ questa la grande divergenza che si stabilisce in quel momento. Mentre Matta illustra il discorso di coloro che a suo giudizio non hanno una voce propria, Matta-Clark adotta una posizione situazionista, di critica istituzionale, mettendo in crisi i fondamenti dei trasferimenti culturali stessi, giacché interviene nel sotterraneo di un edificio che è già una copia di un museo di riferimento: il Petit Palais di Parigi.
†
La visita di Matta-Clark a Santiago non sarà visibile né alla scena artistica locale né alla critica storica successiva. Solo di recente la pubblicazione del volume di Phaidon dedicato a Matta-Clark, a cura di Corinne Diserens, include le fotografie di quell’intervento. A ciò si aggiunga la mostra Transmisión: the art of Roberto Matta and Gordon Matta-Clark, realizzata da Betti-Sue Hertz ad agosto 2006 nel Museo d’Arte di San Diego, California. Questo incidente filiale tra Matta e Matta-Clark è esemplare. Entrambi, padre e figlio, intervengono su uno stesso luogo, a mesi di distanza, nello stesso anno, e non si incontrano.
Il non incontro non è soltanto filiale, ma anche istituzionale. Entrambi lavorano in un museo che era stato edificato per celebrare il centenario della Repubblica. È il museo che l’oligarchia, alla quale Matta appartiene, costruisce per se stessa, per celebrare la propria politica. Matta va contro la memoria della sua tribù dipingendo nel tempio della vanità aristocratica un’opera che fa riferimento all’universo rurale sul dominio del quale si fonda il potere della sua classe di origine. Matta-Clark, invece, lavora sulle fondamenta che mettono in crisi l’atto critico del padre, realizzando un’opera nel sottosuolo.
In quello stesso anno, il 1971, non avendo potuto impedire che Allende diventasse presidente della Repubblica, il Dipartimento di Stato e le multinazionali si misero d’accordo per organizzare un grande boicottaggio informativo sulla situazione cilena. È quello che nel gergo dell’Intelligence si definisce “intossicazione informativa”. In quel momento il governo di Allende invita gli intellettuali e gli artisti in Cile, affinché possano informarsi direttamente su quanto accade nel Paese e riferirlo a loro volta ai propri Paesi e governi.
In questo contesto, critici e artisti decidono di far qualcosa di più che informare. Per collaborare con il governo di Allende nella sua lotta contro la manipolazione delle informazioni da parte degli Stati Uniti e delle transnazionali decidono di compiere uun gesto di solidarietà donando opere destinate a costituire la base per la formazione di un museo.
Quel che è importante evidenziare è la situazione in cui alcuni artisti realizzano un atto di protesta contro l’uso delle informazioni, donando opere per la fondazione di un museo. In termini più stretti, voglio pensare che si tratti di un caso “curioso” che contrappone, in modo non diretto, gli artisti con i mezzi di comunicazione. LA donazione di alcune opere è la prova di una “verità” che i media stanno occultando e manipolando. Il paradosso sta nel fatto che la formazione di un museo, come gesto istituzionale, ha origine da un atto a favore della libertà d’informazione. Mentre in altri luoghi del pianeta alcune opere dell’avanguardia mettono in dubbio la legittimità dei musei, in luoghi dalla storia museale incompleta il desiderio di museo diventa un imperativo di completezza. Questo è, quanto meno, una stranezza, nella storia dei musei di arte contemporanea. È così che inizia la rapida raccolta di opere ed è così che si arriva ad esporre la prima collezione, nella quale figurano opere di Miró, Calder, Stella, Monory, Rancillac, Adami, Velickovic, Vostell, Vasarely, Tapies, Canogar, Genovés, solo per citarne qualcuno.
Esiste, in tal modo, una collezione storica formata dalla prima fase della donazione. In questo modo, a Santiago del Cile si riunisce uno spaccato trasversale di un momento significativo della produzione contemporanea. Ma il golpe militare del 1973 mette il museo, e la società cilena, in “stato di eccezione”. La collezione rimarrà custodita per tutto il periodo della dittatura nei sotterranei del Museo di Arte contemporanea dell’Università del Cile, controllata dai militari. Tuttavia, nel 1974, in esilio, si ribattezza il museo col nome di Museo de la Resistencia e si avvia una seconda fase di raccolta delle opere che dura fino agli inizi degli anni Ottanta. A Transizione democratica avviata, nel 1991, le due collezioni vengono riunite sotto lo stesso tetto, che prenderà il nome di Museo de la Solidaridad Salvador Allende.
Attualmente il museo annovera oltre duemila opere ed è ubicato in calle República, in un quartiere che agli inizi del Novecento era abitato dall’oligarchia, ma che negli anni ha cambiato totalmente fisionomia, al punto da essere oggi un quartiere universitario. Le dimore signorili sono sede di istituzioni universitarie, e quelle che non sono state demolite hanno ceduto il passo all’ampliamento dell’università. La residenza in cui ha sede oggi il museo risale agli anni Venti. Negli anni Quaranta aveva ospitato l’ambasciata di Spagna, e dal 1969 era una dépendance dell’Università. Lì era stato trasferito il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università del Cile, rimasto attivo sino al 1976, quando la casa fu requisita dai militari che vi installarono un comando della Central Nacional de Inteligencia. Nei suoi sotterranei era in funzione un enorme sistema di controllo telefonico.
Agli inizi della Transizione democratica la casa fu abbandonata. Gli agenti dei servizi fecero terra bruciata, ma non riuscirono a cancellare tutte le impronte. I resti e le rovine parlano. Il restauro della casa ha consentito di ricostruire la storia del luogo. Si è deciso quindi di lasciare intatta una sala emblematica, quella dov’erano stati installati i dispositivi di controllo.
Per comprendere lo statuto attuale del Museo è imperativo pensare all’articolazione istituzionale che fa di questo luogo uno spazio eccezionale: in uno stesso edificio si verifica l’articolazione tra un Memoriale, un Museo del Luogo e un Museo di Arte contemporanea. È questa la sfida concettuale, politica e istituzionale di questo museo. Per questo non è un museo d’arte qualunque. La vicinanza degli altri due spazi, il memoriale e il museo del luogo, ne fanno un luogo d’eccezione. È qui che si mette in scena un’idea sulla rappresentazione delle memorie dell’arte e dell’azione collettiva di alcuni soggetti storici che dovettero pagare un costo materiale e simbolico molto alto.
Justo Pastor Mellado, curatore Museo de la Solidaridad Salvador Allende
22
gennaio 2008
Lo spazio dell’uomo
Dal 22 gennaio all'undici maggio 2008
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE MERZ
Torino, Via Limone, 24, (Torino)
Torino, Via Limone, 24, (Torino)
Biglietti
€ 5,00 intero, € 3,50 ridotto (studenti, disabili, gruppi organizzati min. 10 persone)
Orario di apertura
martedì-domenica 11-19
Vernissage
22 Gennaio 2008, ore 19
Autore
Curatore