Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’ora blu
La mostra mette in relazione le opere dei tre artisti, le atmosfere che li accomunano e le modalità operative che li distinguono, paragonando le sensazioni evocate dalla loro pittura, all’ora blu: quell’ora che separa il buio dalla luce, il tempo della luna da quello del sole.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
L’ora blu è un limbo, è l’ora che separa il buio dalla luce, il tempo della luna da quello del sole. In questi brevi frangenti di passaggio crepuscolare prende vita un’estensione statica e vaga nella quale principia o termina un nuovo giorno. Nell’ora blu si rivelano mondi intangibili che germogliano fuori dallo spazio-tempo terrestre, un luogo che si fa protezione e svelamento.
In questo confine irrisolto si possono collocare le opere esposte, nate da tre universi molto distanti eppure ancorate ad un presagio enigmatico: le ricerche dei tre artisti, infatti, restituiscono un senso di mistero condiviso, il quale si traduce in una mancata riconoscibilità delle figure dipinte, personaggi dalla forte matrice bidimensionale costruiti da decise pennellate dense di colore non mimetico e viscerale, degli ambienti privi di punti di riferimento nei quali si perde la profondità dello spazio misurabile, tanto da osservare un’osmosi tra figura e contesto, reso in un paesaggio onnipresente e orgoglioso. Questi tre percorsi paralleli presentano un rilevante annichilimento della forma, lasciando che i confini dei soggetti e degli oggetti, che partecipano alla superfice del quadro, assumano sembianze astratte e lascino la solidità liquefarsi negli ambienti. Questa ora blu è una realtà alterata che chiama a sé e respinge allo stesso tempo, nelle scene intrise di atmosfere visionarie si consuma la sublime caducità del tempo e l’infinito scontro tra mondo umano e natura che si compie in una forma di magia in attesa. Sullo sfondo si leggono i generi del ritratto e del paesaggio, permeati da una cultura Cinque-Seicentesca europea che trova un rinnovato profilo nella contemporaneità.
I ritratti di De Angelis si presentano come documenti di riconoscimento sbiaditi, i soggetti a mezzo busto o a figura intera sono intermediari immobili, figure ieratiche, tra il mondo dell’osservatore e una realtà altra illeggibile, a volte si tratta di uno sfondo decontestualizzato, altre di una natura avvolgente, arrogante e in potenza. Sostengono con chi guarda una dialogo silenzioso e si stagliano al centro del quadro come ritratti d’epoca sfuocati, sono volti-maschera che perdono le caratteristiche fisiognomiche ed il corpo manca di volume e si scioglie quasi nell’atmosfera in un uso piatto ed antinaturalistico delle cromie. I soggetti appaiono confusi, sagome inermi nel nulla di uno spazio monocromo o silhouette che si confondono in un paesaggio indeterminato. Imbrigliati in un attesa silenziosa, questi uomini sembrano sapere che qualcosa sta per accadere, che qualcosa deve succedere, e che sarà all’improvviso, sarà senza avvisare. E invece no. Tutto all’interno della scena rimane immobile, l’atmosfera è spessa. Così come i paesaggi, spesso foreste dai toni cupi, colme di vegetazione non accessibile a chi guarda, folte boscaglie fitte e impenetrabili, realizzate con pennellate materiche e tangibili.
Pippa Gatty stravolge la realtà e la sostituisce con luoghi di una fiaba mistica, una poetica del mondo naturale che germoglia creando movimenti caotici e vortici ambientali. Le creature fitomorfe e zoomorfe protagoniste prendono il sopravvento in uno spazio dominato da una luce accecante, nella quale si consuma l’estasi di un universo sopravvissuto a quello antropico. Questi universi paralleli si presentano teatralmente volgendo lo sguardo verso una natura immensa e prorompente, una mater-matrigna dai toni intimi e romantici. I raggi crepuscolari che irradiano le scene lasciano un’aura di segretezza nella quale si scorgono creature controverse in atto di procreare e muoversi concatenando corpo e spazio e i copri stessi tra loro in spirali energiche prive di identificabilità. I bagliori di luce che invadono la tela sembrano giungere dalle eccentricità barocche intrise di un gusto per l’artificio e per la meraviglia, nelle quali lo stupore dell’osservatore conferisce maggiore libertà nelle soluzioni prospettiche ed illusionistiche risolte dalla dilatazione dello spazio.
I lavori di Scarabello partecipano alla costruzione di un altrove ideale nel quale i personaggi sembrano essere arrivati dalla storia passata. Il profilo equestre, il ritratto, la figura inserita nel paesaggio, rimandano alla figurazione celebrativa senza però aver mantenuto l’identificazione individuale dei soggetti. Nelle opere presentate si scorge la volontà di una narrazione, nella quale i soggetti occupano un posto nel palcoscenico del quadro, presenziano in una forma quasi plastica, che però dialoga con qualcosa di incorporeo e astratto. Le vedute paesaggistiche esibiscono scenari inesplorati che interagiscono con i protagonisti, umanoidi o pupazzi inseriti in contesti che sembrano quasi essergli estranei, nei quali pare siano capitati per caso e non c’è possibilità per loro di sottrarsi a ciò che gli accade. Scarabello recupera, in parte, una dimensione reale dello spazio, risolto in una profondità nella quale le figure si compiono in corpi semi-statuari dalla forma anticlassicista. È nelle sagome dei protagonisti che si respira la rievocazione dei ritratti di corte del tardo manierismo, Van Dick o Tiziano, spogliati però della regalità delle pose e della solidità sociale.
L’ora blu è un tempo di trincea che si rinnova in una dialettica circolare, che si apre alla realtà per un tempo piccolo, spalancando all’osservatore un altrove imperscrutabile che però si chiude lasciando negli occhi una visione irrisolta.
testo di Francesca D’Aria
In questo confine irrisolto si possono collocare le opere esposte, nate da tre universi molto distanti eppure ancorate ad un presagio enigmatico: le ricerche dei tre artisti, infatti, restituiscono un senso di mistero condiviso, il quale si traduce in una mancata riconoscibilità delle figure dipinte, personaggi dalla forte matrice bidimensionale costruiti da decise pennellate dense di colore non mimetico e viscerale, degli ambienti privi di punti di riferimento nei quali si perde la profondità dello spazio misurabile, tanto da osservare un’osmosi tra figura e contesto, reso in un paesaggio onnipresente e orgoglioso. Questi tre percorsi paralleli presentano un rilevante annichilimento della forma, lasciando che i confini dei soggetti e degli oggetti, che partecipano alla superfice del quadro, assumano sembianze astratte e lascino la solidità liquefarsi negli ambienti. Questa ora blu è una realtà alterata che chiama a sé e respinge allo stesso tempo, nelle scene intrise di atmosfere visionarie si consuma la sublime caducità del tempo e l’infinito scontro tra mondo umano e natura che si compie in una forma di magia in attesa. Sullo sfondo si leggono i generi del ritratto e del paesaggio, permeati da una cultura Cinque-Seicentesca europea che trova un rinnovato profilo nella contemporaneità.
I ritratti di De Angelis si presentano come documenti di riconoscimento sbiaditi, i soggetti a mezzo busto o a figura intera sono intermediari immobili, figure ieratiche, tra il mondo dell’osservatore e una realtà altra illeggibile, a volte si tratta di uno sfondo decontestualizzato, altre di una natura avvolgente, arrogante e in potenza. Sostengono con chi guarda una dialogo silenzioso e si stagliano al centro del quadro come ritratti d’epoca sfuocati, sono volti-maschera che perdono le caratteristiche fisiognomiche ed il corpo manca di volume e si scioglie quasi nell’atmosfera in un uso piatto ed antinaturalistico delle cromie. I soggetti appaiono confusi, sagome inermi nel nulla di uno spazio monocromo o silhouette che si confondono in un paesaggio indeterminato. Imbrigliati in un attesa silenziosa, questi uomini sembrano sapere che qualcosa sta per accadere, che qualcosa deve succedere, e che sarà all’improvviso, sarà senza avvisare. E invece no. Tutto all’interno della scena rimane immobile, l’atmosfera è spessa. Così come i paesaggi, spesso foreste dai toni cupi, colme di vegetazione non accessibile a chi guarda, folte boscaglie fitte e impenetrabili, realizzate con pennellate materiche e tangibili.
Pippa Gatty stravolge la realtà e la sostituisce con luoghi di una fiaba mistica, una poetica del mondo naturale che germoglia creando movimenti caotici e vortici ambientali. Le creature fitomorfe e zoomorfe protagoniste prendono il sopravvento in uno spazio dominato da una luce accecante, nella quale si consuma l’estasi di un universo sopravvissuto a quello antropico. Questi universi paralleli si presentano teatralmente volgendo lo sguardo verso una natura immensa e prorompente, una mater-matrigna dai toni intimi e romantici. I raggi crepuscolari che irradiano le scene lasciano un’aura di segretezza nella quale si scorgono creature controverse in atto di procreare e muoversi concatenando corpo e spazio e i copri stessi tra loro in spirali energiche prive di identificabilità. I bagliori di luce che invadono la tela sembrano giungere dalle eccentricità barocche intrise di un gusto per l’artificio e per la meraviglia, nelle quali lo stupore dell’osservatore conferisce maggiore libertà nelle soluzioni prospettiche ed illusionistiche risolte dalla dilatazione dello spazio.
I lavori di Scarabello partecipano alla costruzione di un altrove ideale nel quale i personaggi sembrano essere arrivati dalla storia passata. Il profilo equestre, il ritratto, la figura inserita nel paesaggio, rimandano alla figurazione celebrativa senza però aver mantenuto l’identificazione individuale dei soggetti. Nelle opere presentate si scorge la volontà di una narrazione, nella quale i soggetti occupano un posto nel palcoscenico del quadro, presenziano in una forma quasi plastica, che però dialoga con qualcosa di incorporeo e astratto. Le vedute paesaggistiche esibiscono scenari inesplorati che interagiscono con i protagonisti, umanoidi o pupazzi inseriti in contesti che sembrano quasi essergli estranei, nei quali pare siano capitati per caso e non c’è possibilità per loro di sottrarsi a ciò che gli accade. Scarabello recupera, in parte, una dimensione reale dello spazio, risolto in una profondità nella quale le figure si compiono in corpi semi-statuari dalla forma anticlassicista. È nelle sagome dei protagonisti che si respira la rievocazione dei ritratti di corte del tardo manierismo, Van Dick o Tiziano, spogliati però della regalità delle pose e della solidità sociale.
L’ora blu è un tempo di trincea che si rinnova in una dialettica circolare, che si apre alla realtà per un tempo piccolo, spalancando all’osservatore un altrove imperscrutabile che però si chiude lasciando negli occhi una visione irrisolta.
testo di Francesca D’Aria
11
marzo 2018
L’ora blu
Dall'undici marzo al 29 aprile 2018
arte contemporanea
Location
YELLOW
Varese, Via San Pedrino, 4, (Varese)
Varese, Via San Pedrino, 4, (Varese)
Orario di apertura
11 marzo - 29 aprile 2018
tutti i giorni su appuntamento
Vernissage
11 Marzo 2018, h 18:00
Autore