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Loris Savino – Un mare in rivolta
personale
Comunicato stampa
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Quando il popolo sceglierà la vita
il destino dovrà rispondere
la notte si rischiarerà
e si romperanno le catene
Abu El Qasim Chebbi (Tozeur, Tunisia, 1933)
Enfin Libre si vede scritto su un muro di Tunisi. Forse il processo verso una vera democrazia sarà lungo e irto di difficoltà, ma di certo “la primavera araba” può essere considerata fin d’ora un grande movimento di protesta etica e politica in nome della libertà. La rivolta si è propagata rapida e inarrestabile nei Paesi arabi per dire basta ad autocrati che imponevano il proprio potere con la forza: basta alla repressione, alle menzogne, all’autoritarismo, alla corruzione, alle ingiustizie. Spontanea e senza capi, la protesta araba ha fatto sentire la gente nuovamente unita, non più sottomessa a un potere sprezzante e arbitrario. Tutti hanno finalmente potuto sognare la libertà, gridare i loro bisogni, i loro sogni, rompere quel muro di silenzio che durava da decenni in Tunisia, in Egitto, in Siria, in Libia…
Per rendere conto di questo risveglio così potente, la ricerca di Loris Savino (che ha viaggiato a lungo tra Tunisia, Libia e Egitto, fino a Lampedusa) parte giustamente dalle manifestazioni che hanno segnato l’inizio della rivolta. Scattate nel mezzo della folla, poi accostate le une alle altre senza distinzione tra un paese e l’altro, le sue immagini in bianco e nero raccontano innanzitutto il catartico bisogno collettivo di scendere in strada, per dar voce ai propri diritti, anzi per urlarli a squarciagola. Certo, l’iniziale euforia delle grandi adunate di piazza (nate dal passaparola tra bazar, moschee e social network come Facebook o Twitter) ha poi lasciato spesso il posto a gravi conflitti armati, a repressioni in molti casi durissime e sanguinose, anch’esse testimoniate da Savino nella seconda parte della sua ricerca.
Ma per apprezzare il senso di questo particolare lavoro fotografico, occorre tenere presente che oggi molte immagini, fra le più autentiche, dirette e significative di simili eventi, arrivano già nelle redazioni dei giornali e alle televisioni tramite gli stessi manifestanti o combattenti. Al tempo stesso, per proporre al proprio pubblico anche immagini emblematiche e “forti”, i media si servono di fotografi e cameraman professionisti che sul posto magari riprendono finte scene drammatiche, costruite ad hoc per loro, con sparatorie fasulle e scenografici caroselli di camionette che mitragliano il nulla… Di fronte a queste tendenze, oggi diffuse nei servizi di reportage da luoghi dove sono in atto dei conflitti, Loris Salvino trova una propria originale collocazione scegliendo, per le sue immagini a colori, la via consapevole e ragionata di una sorta di anti-reportage: lui infatti non insegue a tutti i costi gli eventi, non drammatizza volutamente le sue immagini usando luci e toni cupi di colore, creati con il photoshop (altra tendenza oggi particolarmente in voga). Si avvicina alla fotografia documentaria. Una fotografia liberata dall’espressionismo personale e dall’ansia dell’attimo saliente, che indaga con voluta semplicità e chiarezza la realtà, per raccontarla e tentare di capirla. Ecco perché le sue immagini non ci mostrano tanto i ribelli in azione, ma soprattutto i segni lasciati dal loro intervento: il bunker di Gheddafi a Bengasi, finalmente conquistato e già in stato di rovina, un “glorioso” monumento libico trivellato dai colpi, i resti delle barricate in una strada del Cairo…
In effetti, la guerra è fatta non solo di momenti altamente drammatici nella loro immediatezza, con sparatorie, urla e caduti, ma anche di un dopo: un tempo susseguente dove ciò che rimane è uno stato sospeso di incertezza, dolore e paura; oppure un senso di morte e inquietudine che aleggia stagnante nei luoghi, nelle strade, nei volti della gente. La guerra, poi, è anche fuga dalla guerra stessa: come le migliaia e migliaia di libici fuggiti in Tunisia, le cui tendopoli immense ma ordinate, ci sono ugualmente mostrate nelle immagini di Savino. E guerra sono anche i profughi arrivati fra gli stenti a Lampedusa, con il loro carico di speranze e di ricordi. E dietro a loro ecco il peso invisibile di tutti quelli che non ce l’hanno fatta, che sono scomparsi tragicamente per via, e che nessuna fotografia ci farà mai vedere. Ne possiamo però a volte avvertire la muta, dolorosa presenza, quando la fotografia – come nel lavoro di Savino – sa farsi attenzione, premura e interrogazione.
il destino dovrà rispondere
la notte si rischiarerà
e si romperanno le catene
Abu El Qasim Chebbi (Tozeur, Tunisia, 1933)
Enfin Libre si vede scritto su un muro di Tunisi. Forse il processo verso una vera democrazia sarà lungo e irto di difficoltà, ma di certo “la primavera araba” può essere considerata fin d’ora un grande movimento di protesta etica e politica in nome della libertà. La rivolta si è propagata rapida e inarrestabile nei Paesi arabi per dire basta ad autocrati che imponevano il proprio potere con la forza: basta alla repressione, alle menzogne, all’autoritarismo, alla corruzione, alle ingiustizie. Spontanea e senza capi, la protesta araba ha fatto sentire la gente nuovamente unita, non più sottomessa a un potere sprezzante e arbitrario. Tutti hanno finalmente potuto sognare la libertà, gridare i loro bisogni, i loro sogni, rompere quel muro di silenzio che durava da decenni in Tunisia, in Egitto, in Siria, in Libia…
Per rendere conto di questo risveglio così potente, la ricerca di Loris Savino (che ha viaggiato a lungo tra Tunisia, Libia e Egitto, fino a Lampedusa) parte giustamente dalle manifestazioni che hanno segnato l’inizio della rivolta. Scattate nel mezzo della folla, poi accostate le une alle altre senza distinzione tra un paese e l’altro, le sue immagini in bianco e nero raccontano innanzitutto il catartico bisogno collettivo di scendere in strada, per dar voce ai propri diritti, anzi per urlarli a squarciagola. Certo, l’iniziale euforia delle grandi adunate di piazza (nate dal passaparola tra bazar, moschee e social network come Facebook o Twitter) ha poi lasciato spesso il posto a gravi conflitti armati, a repressioni in molti casi durissime e sanguinose, anch’esse testimoniate da Savino nella seconda parte della sua ricerca.
Ma per apprezzare il senso di questo particolare lavoro fotografico, occorre tenere presente che oggi molte immagini, fra le più autentiche, dirette e significative di simili eventi, arrivano già nelle redazioni dei giornali e alle televisioni tramite gli stessi manifestanti o combattenti. Al tempo stesso, per proporre al proprio pubblico anche immagini emblematiche e “forti”, i media si servono di fotografi e cameraman professionisti che sul posto magari riprendono finte scene drammatiche, costruite ad hoc per loro, con sparatorie fasulle e scenografici caroselli di camionette che mitragliano il nulla… Di fronte a queste tendenze, oggi diffuse nei servizi di reportage da luoghi dove sono in atto dei conflitti, Loris Salvino trova una propria originale collocazione scegliendo, per le sue immagini a colori, la via consapevole e ragionata di una sorta di anti-reportage: lui infatti non insegue a tutti i costi gli eventi, non drammatizza volutamente le sue immagini usando luci e toni cupi di colore, creati con il photoshop (altra tendenza oggi particolarmente in voga). Si avvicina alla fotografia documentaria. Una fotografia liberata dall’espressionismo personale e dall’ansia dell’attimo saliente, che indaga con voluta semplicità e chiarezza la realtà, per raccontarla e tentare di capirla. Ecco perché le sue immagini non ci mostrano tanto i ribelli in azione, ma soprattutto i segni lasciati dal loro intervento: il bunker di Gheddafi a Bengasi, finalmente conquistato e già in stato di rovina, un “glorioso” monumento libico trivellato dai colpi, i resti delle barricate in una strada del Cairo…
In effetti, la guerra è fatta non solo di momenti altamente drammatici nella loro immediatezza, con sparatorie, urla e caduti, ma anche di un dopo: un tempo susseguente dove ciò che rimane è uno stato sospeso di incertezza, dolore e paura; oppure un senso di morte e inquietudine che aleggia stagnante nei luoghi, nelle strade, nei volti della gente. La guerra, poi, è anche fuga dalla guerra stessa: come le migliaia e migliaia di libici fuggiti in Tunisia, le cui tendopoli immense ma ordinate, ci sono ugualmente mostrate nelle immagini di Savino. E guerra sono anche i profughi arrivati fra gli stenti a Lampedusa, con il loro carico di speranze e di ricordi. E dietro a loro ecco il peso invisibile di tutti quelli che non ce l’hanno fatta, che sono scomparsi tragicamente per via, e che nessuna fotografia ci farà mai vedere. Ne possiamo però a volte avvertire la muta, dolorosa presenza, quando la fotografia – come nel lavoro di Savino – sa farsi attenzione, premura e interrogazione.
06
ottobre 2011
Loris Savino – Un mare in rivolta
Dal 06 ottobre al 02 novembre 2011
fotografia
Location
GALLERIA SAN FEDELE
Milano, Via Ulrico Hoepli, 3A-B, (Milano)
Milano, Via Ulrico Hoepli, 3A-B, (Milano)
Orario di apertura
16.00 – 19.00 (al mattino su richiesta)
apertura dal martedì al sabato
chiuso festivi
Vernissage
6 Ottobre 2011, h 18,30
Autore
Curatore