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Luca Christian Mander
L’intervento foto-video-grafico dell’artista rievoca l’avvenimento che nel maggio scorso ha chiuso il primo ciclo della galleria (personale di Marco Maria Giuseppe Scifo)
Comunicato stampa
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Unorossodue, spazio per l’arte contemporanea, apre la sua seconda stagione con la mostra personale di Luca Christian Mander. L’intervento foto-video-grafico dell’artista rievoca l’avvenimento che nel maggio scorso ha chiuso il primo ciclo della galleria (personale di Marco Maria Giuseppe Scifo); questo perché in origine il progetto era unico, ma nel suo sviluppo entrambi hanno trovato una loro autonomia; gli echi prodotti dall’uso predominante del nero non sono una “moda” bensì un filo comune radicato nel loro operato. La volontà di creare questa continuità divisa solo dalla “pausa estiva” è nata dalla necessità di mantenere l’unione di intenti del progetto iniziale.
Nota del curatore:
è disarmante come il modo “freddo e distaccato” con il quale Luca descriva le proprie opere sia migliore di qualsiasi tentativo di infarcire e riportare a parole la sua poetica. È talmente calzante ed equilibrato che ho deciso di lasciare alle sue parole la descrizione della mostra in quanto “migliore comunicato stampa possibile”.
Alessandro Mancassola
Testo dell’artista:
Video e fotografia non sono solo i mezzi utilizzati per realizzare le opere esposte in questa mostra, ma rappresentano anche due distinte tipologie di approccio all’immagine. Ciò che nella fotografia si manifesta in una frazione di secondo, nel video si moltiplica nella successione di singoli fotogrammi, il cui scopo narrativo, la fotografia, ha il compito di riassumere in un singolo scatto. Esiste, però, la possibilità che due linguaggi trovino comunanze tali da scambiarsi di ruolo, consentendo un diverso approccio ad essi.
È quello che ho cercato di fare con i lavori presenti nella mostra, lavori in cui ho utilizzato la videocamera come fosse una macchina fotografica, ed allo stesso tempo ho cercato di dare alla fotografia una valenza temporale superiore al concetto d’istantanea che gli è proprio, trovandone possibilità attraverso una sensazione di attesa simile a quello generata da un fermo immagine.
È il caso della serie “En Plein Noir” dove le immagini accostate in dittici o trittici trovano momenti di sospensione in stampe che amplificano lo spazio circostante al soggetto figurativo, sottolineando un senso di aspettativa destinato a rimanere insoddisfatto, ed allargando il confine di una semplice inquadratura tramite una prospettiva “muta” o “buia”.
Prospettiva assente anche nei lavori della serie “Scansioni”, in cui gli oggetti, ripresi attraverso uno scanner che annulla il senso prospettico limitandosi a mettere a fuoco solo la superficie a contatto con il sensore luminoso, appaiono immersi in un buio denso come la pittura ad olio di alcune nature morte barocche.
Quanto detto sulla matrice fotografica dei video presenti in mostra è simboleggiata - già nel titolo - nel video “Polaroid”, in cui i pochi attimi di un fiammifero che brucia trovano un’inedita dimensione temporale in un lento ripetersi senza soluzione di continuità, senza uno sbocco od un apice che dia conclusione ad un attimo, una “istantanea”, prolungata in un eterno stand by, in un’immagine statica e ferma (fotografica) che contraddice la peculiarità del mezzo.
Analogo discorso per l’opera “Diaframma” in cui la staticità dell’inquadratura, l’assenza di movimenti di camera - caratteristica di derivazione fotografica comune a tutti i miei video - ridefinisce la valenza temporale degli istanti che separano un battito di ciglia da un altro. I pochi attimi che dividono l’apertura dell’occhio, ripreso in primissimo piano, dalla sua chiusura, subiscono un congelamento, i secondi diventano minuti, e sulla pupilla appaiono delle figure indistinte, irriconoscibili, di cui non ci è dato sapere l’origine e la provenienza.
Stessa staticità e stessa intenzione fotografica anche per il video “Thru the Lens” che nell’allestimento della mostra trova un dialogo nella contrapposizione con “Diaframma”. Questo video, a cui sono particolarmente legato, rappresenta l’origine della mostra ed il suo suono, costituito dall’ostinata ripetizione di due accordi di pianoforte, si diffonde nelle due sale della galleria divenendo commento sonoro dell’intera esposizione, fino a fondersi con l’audio di “Polaroid”, nella seconda sala, che con più discrezione accompagna le immagini già descritte (mentre il sonoro di “Diaframma” è ascoltabile attraverso delle cuffie).
La continua ripetizione dei suoni, comune a tutti i video, ha il duplice scopo di accompagnare lo spettatore all’interno delle immagini che scorrono, e di sottolineare il prolungamento dell’istante filmato. In “Thru the Lens” la reiterazione di due accordi assume un carattere ipnotico, ma dal tono sommesso e malinconico, accompagnando la proiezione in cui si osserva il particolare dell’obbiettivo di una vecchia camera 8 mm, sulla cui lente affiora una memoria visiva, un ricordo filmato, immagini che scorrono decontestualizzate nel tempo e nello spazio attraverso un “controcampo”.
Luca Christian Mander
Nota del curatore:
è disarmante come il modo “freddo e distaccato” con il quale Luca descriva le proprie opere sia migliore di qualsiasi tentativo di infarcire e riportare a parole la sua poetica. È talmente calzante ed equilibrato che ho deciso di lasciare alle sue parole la descrizione della mostra in quanto “migliore comunicato stampa possibile”.
Alessandro Mancassola
Testo dell’artista:
Video e fotografia non sono solo i mezzi utilizzati per realizzare le opere esposte in questa mostra, ma rappresentano anche due distinte tipologie di approccio all’immagine. Ciò che nella fotografia si manifesta in una frazione di secondo, nel video si moltiplica nella successione di singoli fotogrammi, il cui scopo narrativo, la fotografia, ha il compito di riassumere in un singolo scatto. Esiste, però, la possibilità che due linguaggi trovino comunanze tali da scambiarsi di ruolo, consentendo un diverso approccio ad essi.
È quello che ho cercato di fare con i lavori presenti nella mostra, lavori in cui ho utilizzato la videocamera come fosse una macchina fotografica, ed allo stesso tempo ho cercato di dare alla fotografia una valenza temporale superiore al concetto d’istantanea che gli è proprio, trovandone possibilità attraverso una sensazione di attesa simile a quello generata da un fermo immagine.
È il caso della serie “En Plein Noir” dove le immagini accostate in dittici o trittici trovano momenti di sospensione in stampe che amplificano lo spazio circostante al soggetto figurativo, sottolineando un senso di aspettativa destinato a rimanere insoddisfatto, ed allargando il confine di una semplice inquadratura tramite una prospettiva “muta” o “buia”.
Prospettiva assente anche nei lavori della serie “Scansioni”, in cui gli oggetti, ripresi attraverso uno scanner che annulla il senso prospettico limitandosi a mettere a fuoco solo la superficie a contatto con il sensore luminoso, appaiono immersi in un buio denso come la pittura ad olio di alcune nature morte barocche.
Quanto detto sulla matrice fotografica dei video presenti in mostra è simboleggiata - già nel titolo - nel video “Polaroid”, in cui i pochi attimi di un fiammifero che brucia trovano un’inedita dimensione temporale in un lento ripetersi senza soluzione di continuità, senza uno sbocco od un apice che dia conclusione ad un attimo, una “istantanea”, prolungata in un eterno stand by, in un’immagine statica e ferma (fotografica) che contraddice la peculiarità del mezzo.
Analogo discorso per l’opera “Diaframma” in cui la staticità dell’inquadratura, l’assenza di movimenti di camera - caratteristica di derivazione fotografica comune a tutti i miei video - ridefinisce la valenza temporale degli istanti che separano un battito di ciglia da un altro. I pochi attimi che dividono l’apertura dell’occhio, ripreso in primissimo piano, dalla sua chiusura, subiscono un congelamento, i secondi diventano minuti, e sulla pupilla appaiono delle figure indistinte, irriconoscibili, di cui non ci è dato sapere l’origine e la provenienza.
Stessa staticità e stessa intenzione fotografica anche per il video “Thru the Lens” che nell’allestimento della mostra trova un dialogo nella contrapposizione con “Diaframma”. Questo video, a cui sono particolarmente legato, rappresenta l’origine della mostra ed il suo suono, costituito dall’ostinata ripetizione di due accordi di pianoforte, si diffonde nelle due sale della galleria divenendo commento sonoro dell’intera esposizione, fino a fondersi con l’audio di “Polaroid”, nella seconda sala, che con più discrezione accompagna le immagini già descritte (mentre il sonoro di “Diaframma” è ascoltabile attraverso delle cuffie).
La continua ripetizione dei suoni, comune a tutti i video, ha il duplice scopo di accompagnare lo spettatore all’interno delle immagini che scorrono, e di sottolineare il prolungamento dell’istante filmato. In “Thru the Lens” la reiterazione di due accordi assume un carattere ipnotico, ma dal tono sommesso e malinconico, accompagnando la proiezione in cui si osserva il particolare dell’obbiettivo di una vecchia camera 8 mm, sulla cui lente affiora una memoria visiva, un ricordo filmato, immagini che scorrono decontestualizzate nel tempo e nello spazio attraverso un “controcampo”.
Luca Christian Mander
08
novembre 2005
Luca Christian Mander
Dall'otto novembre al 23 dicembre 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA UNOROSSODUE
Milano, Via Gian Antonio Boltraffio, 12, (Milano)
Milano, Via Gian Antonio Boltraffio, 12, (Milano)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 16-20
Vernissage
8 Novembre 2005, ore 19
Autore
Curatore