Se la percezione è l’atto con cui si acquisisce la coscienza di una realtà esterna mediante i sensi, l’opera artistica di Luca Tardito si può ascrivere tra gli strumenti percettivi per eccellenza. Il confluire, nelle sue opere, di immagini, segni, parole e delicati accenti cromatici conferisce quella profondità emozionale fuggevole a nette definizioni, perché fuggevole è la materia di cui si nutre e che plasma le figure, ma di cui si deve fare esperienza per comprendere se stessi e l’altro. Come affermato dalla Gestalt, la percezione si presenta all’esperienza come una struttura definitiva avente una sua forma individuale, e non come una giustapposizione di unità elementari; allo stesso modo, l’espressività delle opere di Tardito deriva dalla liricità e dal potere evocativo dell’insieme, coincidenza di immagini ed intervento pittorico.
La memoria ed il flusso creativo si fondono nella costruzione dell’opera che diventa un complesso di stratificazioni, passaggi successivi che dissolvono i contorni o i dati fisionomici delle figure fino a farle risultare vaghe impronte di ciò che erano. Il gesto che stende o toglie il colore, la grafia e l’incisione diventano elementi rivelatori dell’intimo processo dialettico tra l’urgenza comunicativa e il susseguirsi dei pensieri.
L’artista non è un osservatore neutrale che immortala la realtà, ma un interprete che disvela la propria anima attraverso la sovrapposizione di immagini frammentate: sono i gesti spontanei ed istintivi che assecondano la primitiva forma racchiusa nel dato oggettivo a generare quel senso indefinito tra la nostalgia e l’inquietudine che affascina e smarrisce l’osservatore. Permane in queste opere tutta la forza dell’apparizione, fuori da un tempo o uno spazio riconoscibili, che nega la fisicità, ma riafferma la spazialità, ed in questo dualismo trova la persistenza sempre attuale del suo significato più vibrante.

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