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Lucia Baldini – Buenos Aires cafe
La mostra propone una raccolta di immagini tratte dai libri “Giorni di Tango”, “Tangomalìa”e “Buenos Aires cafe”
Comunicato stampa
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Dire Buenos Aires è comedire tango. Ma dire Buenos Aires è anche come dire: Evita; o: Borges; o: cielo immensosopra una metropoli immensa, immigrazione italiana e concrezione di dialetti inuna lingua immaginaria – il lunfardo.E, ancora, dire Buenos Aires è come dire: golpe,esilio, desaparecidos, quartieridella miseria, scandali politici ed inflazione galoppante.
Ad ognuna di questeparole la città presta la propria faccia: interpreta la parte che le è stataassegnata e poi, ancora, cambia di nuovo.
Non è possibile esserelineari, quando si parla di questa città: due dimensioni non bastano, tre sonotroppo poche. E allora serve chiedere aiuto a più linguaggi, mescolarli e darevita a qualcosa di diverso:
Non si può semplificareuna città che è, sin dalla sua nascita, il risultato della stratificazione edell’imitazione. Per questo è necessario ricorrere a più formedell’espressione, occorre ibridarsi.
E Lucia Baldini faesattamente questo: mescola i linguaggi, raccontano attraverso lefotografie.
La macchina fotograficadi Lucia Baldini è più che mai precisa. Ascolta i particolari, fa parlare leombre, rapisce il pensiero di un albero, di una piazza, di un salone da tango,di un selciato. É inquieta fino all’angoscia, e lucida finoall’impudicizia.
Sulla mescolanza perennee inestricabile di queste due dimensioni (la mitica e la quotidiana) che sonola sostanza di cui Buenos Aires, da sempre, si nutre.
E, in questo, sono icaffé il luogo d’elezione: quello dove la metropoli si fa piccola; dovel’enormità, l’assurdo, lo spaesamento cercano di sopravviversiattraverso il calore e l’intimità rassicurante del contatto umano.
Basta chiedere ai grandi,del passato ma non solo, e ognuno del proprio passaggio formativo a BuenosAires citerà il proprio locale preferito: Pirandello aveva il nobile Tortoni;García Lorca la confiteriadell’Hotel Castelár; Roberto Arlt il Café Margot; Borges ilgiardino esterno de La Biéla.
Per ciascuno un locale,uno stile, una storia.
Lucia Baldini si muovesull’inflessibile reticolato stradale della città come in una scacchieradella memoria. E più la costruzione geometrica delle avenidas appare rigida, più inaspettati sono gli incontriche ne scaturiscono.
Perchè Buenos Aires è, insieme, la città più a suddell’occidente; e la città più occidentale del sud.
Ed è, fondamentalmente, una sola cosa: una lunga insonnia.
In cinquecento anni divita, Buenos Aires non si è fatta mancare nulla: non una ma due fondazioni, laprima metropolitana del Sud America, uno dei teatri più grandi del mondo,svariate crisi e immancabili rinascite, fragorosi crack e spregiudicate vascheda bagno in oro. Più di duemila chilometri la dividono da qualsiasi altra formaurbana, un Oceano intero la separa dal Vecchio Continente, eppure la città nonsembra aver mai patito la solitudine. Anzi: Buenos Aires attira, placidamente espezzando ogni resistenza, come un vecchio magnete. Pirandello, Lorca,Delibes, Rubinstein: l’elenco di quelli che hanno voluto visitarla èinfinito e autorevole. Borges, Sábato, Soriano, Fernández: altrettanto cospicuaè la lista di chi ne ha parlato, o ha provato a farlo.
Perchè, appena si arrivaa Buenos Aires, non ci si può non rendere conto che quei centoquarantaquattroisolati in cui è divisa non sono altro che un’illusione.
E’ ortogonale lacittà, certo: divisa in un reticolo meticoloso, con le vie perpendicolari. Per questosi può anche credere di poterla contenere tutta, come un oggetto logico. Ma aBuenos Aires le cose non sono mai quello che sembrano: la città stessa hacannibalizzato le immagini di tutte le altre città. Assomiglia a Parigi,potrebbe essere Sidney, ha un cielo italiano, monumenti che fanno pensare alMessico o a qualche paese della Spagna. Perfino il Giappone ha la suaillusione: un parco con lago, carpe e bancarelle di fritto che sembraproprio Tokyo.
Andare lungo le strade diBuenos Aires è come entrare nelle vene di una creatura viva, che continua amutare, a crescere, a invecchiare e a inventarsi di nuovo.
Il tango c’è,naturalmente. E non potrebbe non esserci. Ma partecipa anche lui, daprotagonista, al gioco delle illusioni: più se ne parla, più si ritrae dietrole rughe di un vecchio cantante. Mostra qualche sbrecciatura, non più lafreschezza di un tempo. E’ tango quello di cui la città parla, in ogniistante, a qualsiasi ora, in infinite varianti di tacchi a spillo. Oforse è altro: diverso, sfuggente, raro. Più presente anche soltanto in uncielo, incorniciato da una balaustra.
In un viaggio che è ancheun viaggio interiore, personale, vissuto, un diario a quattro mani: nellacapitale fisica e metafisica dell’illusione.
Ad ognuna di questeparole la città presta la propria faccia: interpreta la parte che le è stataassegnata e poi, ancora, cambia di nuovo.
Non è possibile esserelineari, quando si parla di questa città: due dimensioni non bastano, tre sonotroppo poche. E allora serve chiedere aiuto a più linguaggi, mescolarli e darevita a qualcosa di diverso:
Non si può semplificareuna città che è, sin dalla sua nascita, il risultato della stratificazione edell’imitazione. Per questo è necessario ricorrere a più formedell’espressione, occorre ibridarsi.
E Lucia Baldini faesattamente questo: mescola i linguaggi, raccontano attraverso lefotografie.
La macchina fotograficadi Lucia Baldini è più che mai precisa. Ascolta i particolari, fa parlare leombre, rapisce il pensiero di un albero, di una piazza, di un salone da tango,di un selciato. É inquieta fino all’angoscia, e lucida finoall’impudicizia.
Sulla mescolanza perennee inestricabile di queste due dimensioni (la mitica e la quotidiana) che sonola sostanza di cui Buenos Aires, da sempre, si nutre.
E, in questo, sono icaffé il luogo d’elezione: quello dove la metropoli si fa piccola; dovel’enormità, l’assurdo, lo spaesamento cercano di sopravviversiattraverso il calore e l’intimità rassicurante del contatto umano.
Basta chiedere ai grandi,del passato ma non solo, e ognuno del proprio passaggio formativo a BuenosAires citerà il proprio locale preferito: Pirandello aveva il nobile Tortoni;García Lorca la confiteriadell’Hotel Castelár; Roberto Arlt il Café Margot; Borges ilgiardino esterno de La Biéla.
Per ciascuno un locale,uno stile, una storia.
Lucia Baldini si muovesull’inflessibile reticolato stradale della città come in una scacchieradella memoria. E più la costruzione geometrica delle avenidas appare rigida, più inaspettati sono gli incontriche ne scaturiscono.
Perchè Buenos Aires è, insieme, la città più a suddell’occidente; e la città più occidentale del sud.
Ed è, fondamentalmente, una sola cosa: una lunga insonnia.
In cinquecento anni divita, Buenos Aires non si è fatta mancare nulla: non una ma due fondazioni, laprima metropolitana del Sud America, uno dei teatri più grandi del mondo,svariate crisi e immancabili rinascite, fragorosi crack e spregiudicate vascheda bagno in oro. Più di duemila chilometri la dividono da qualsiasi altra formaurbana, un Oceano intero la separa dal Vecchio Continente, eppure la città nonsembra aver mai patito la solitudine. Anzi: Buenos Aires attira, placidamente espezzando ogni resistenza, come un vecchio magnete. Pirandello, Lorca,Delibes, Rubinstein: l’elenco di quelli che hanno voluto visitarla èinfinito e autorevole. Borges, Sábato, Soriano, Fernández: altrettanto cospicuaè la lista di chi ne ha parlato, o ha provato a farlo.
Perchè, appena si arrivaa Buenos Aires, non ci si può non rendere conto che quei centoquarantaquattroisolati in cui è divisa non sono altro che un’illusione.
E’ ortogonale lacittà, certo: divisa in un reticolo meticoloso, con le vie perpendicolari. Per questosi può anche credere di poterla contenere tutta, come un oggetto logico. Ma aBuenos Aires le cose non sono mai quello che sembrano: la città stessa hacannibalizzato le immagini di tutte le altre città. Assomiglia a Parigi,potrebbe essere Sidney, ha un cielo italiano, monumenti che fanno pensare alMessico o a qualche paese della Spagna. Perfino il Giappone ha la suaillusione: un parco con lago, carpe e bancarelle di fritto che sembraproprio Tokyo.
Andare lungo le strade diBuenos Aires è come entrare nelle vene di una creatura viva, che continua amutare, a crescere, a invecchiare e a inventarsi di nuovo.
Il tango c’è,naturalmente. E non potrebbe non esserci. Ma partecipa anche lui, daprotagonista, al gioco delle illusioni: più se ne parla, più si ritrae dietrole rughe di un vecchio cantante. Mostra qualche sbrecciatura, non più lafreschezza di un tempo. E’ tango quello di cui la città parla, in ogniistante, a qualsiasi ora, in infinite varianti di tacchi a spillo. Oforse è altro: diverso, sfuggente, raro. Più presente anche soltanto in uncielo, incorniciato da una balaustra.
In un viaggio che è ancheun viaggio interiore, personale, vissuto, un diario a quattro mani: nellacapitale fisica e metafisica dell’illusione.
09
giugno 2011
Lucia Baldini – Buenos Aires cafe
Dal 09 al 19 giugno 2011
fotografia
Location
PALAZZO RAGAZZONI FLANGINI BIGLIA
Sacile, Viale Pietro Zancanaro, (Pordenone)
Sacile, Viale Pietro Zancanaro, (Pordenone)
Orario di apertura
tutti i giorni 10:30-12:30 e 15:30-19
Vernissage
9 Giugno 2011, ore 19
Autore