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Lucia Giuffrida
Mostra personale
Comunicato stampa
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Elisa Mandarà
Nell’idillio della luce
In una restituzione diretta del paesaggio si risolve l’incontro primo, immediato con
l’opera di Lucia Giuffrida. Motivi di ordine naturalistico, che concedono spazio a piccoli
scorci di vita quotidiana, quando l’idillio diventa breve racconto d’un mondo antico eppure
tuttora pulsante, come quello della raccolta dei frutti della terra, sostanziato della cadenza
millenaria dei gesti, o come quello del porto, con le sue barche, che parlano di uomini
dentro la battaglia dolce e ardua col mare.
Distese bionde di grano ci riportano alle malie nostalgiche d’un eden primigenio, ove,
nel luogo, l’artista concentra il canto della memoria, una ininterrotta seppure distillata
ricerca delle proprie origini, un tendere all’Isola, celata e arroccata nel cuore in forma
universale, a una mediterraneità, che è linfa sempre viva nel fogliame fresco del presente.
Intense proiezioni paesaggistiche si accendono nei colori rilucenti della Terra
impareggiabile, chiamati a effigiare la forza prorompente della vita.
E il suo nucleo tematico Lucia Giuffrida sventaglia proprio da tali ‘semplici’ soggetti,
immanenti nella vista e quasi senza storia, a parte un intenzionale gusto ottocentesco, che
connota talune visioni. Soggetti che sono spazi, i luoghi cari alla pittrice, che accarezza con
l’arte l’Etna e la baia suggestiva di Santa Maria La Scala, poi Cefalù, tra gli altri,
Roccalumera, Aidone, Pozzallo.
Una pittura, si diceva, della quale impatta anzitutto l’immediatezza ottica della
visione, mai squisitamente veristica, piuttosto etimologicamente naturalistica.
Anche se – e tale elemento è fondamentale per la penetrazione della cifra di Lucia
Giuffrida – non alla asettica riproduzione della realtà punta la pittrice, ma a una riscrittura
del paesaggio nella grammatica d’una solarità piena e diffusa, vera costante dell’intero
corpus. Una luce che nutre ogni quadro del sole del Sud, che imbeve ogni situazione
naturalistica di commozione. Poiché una relazione umanissima indoviniamo tra Lucia
Giuffrida e i suoi luoghi, in uno sguardo sul mondo traboccante del respiro della vita, come
dice la roccia tante volte attraversata da un sottile antropomorfismo, come attestano i fichi
d’india, che l’artista elegge a Guardiani del vigneto, alitando, sulla plasticità virideggiante
dei loro corpi, il soffio vitale del movimento, dell’anima.
Una brezza lieve d’amore pare percorrere le poche case assolate, la chiesa di Stazzo,
il mare confezionato con tocchi di cifra impressionistica, il vulcano che lontana aereo e
candido, armonicamente rifuso nella gamma ampia dei blu. Elementi ritratti con finezza di
particolari e tuttavia senza eccessiva insistenza, cosicché la resa della realtà, completa e
diretta, sia realizzata sempre all’insegna d’una elegante morbidezza.
Evita il bozzetto, come gli effetti pittoreschi, attraverso l’adozione di un codice
duttile, ove lo studio dal vero l’artista accompagna con un linguaggio basato sui rapporti
tonali dei colori, prima che sul ruolo fondamentale del disegno.
Di matrice variegata le ascendenze alle quali possiamo collegare lo specifico della
pittrice, che, se non pare alimentarsi delle acquisizioni ultime del’arte novecentesca, risulta
pure ‘indenne’ dai tic deteriori del contemporaneo, quella certa tendenza al modeggiare,
quel pericoloso quanto triste dilagare del brutto.
Non è cristallizzato ma primariamente poetico, l’universo estetico di Lucia Giuffrida,
che raccoglie ispirazione anzitutto dalla sua sicilianità (e forse pure dalla sicilitudine), che
si appalesa, a livello tematico, nella insolubile relazione con il sostrato spirituale ed
ambientale siciliano, e, a livello stilistico, anzitutto nel possesso e nella padronanza
espressiva di una particolare tavolozza cromatica, dove sono iscritti i colori solari della
natura isolana, popolata a sua volta di simboli silenti, che la controra pare rendere visibili.
Sollecitazioni Lucia Giuffrida ricava poi dal realismo, dal Novecento siciliano, da
Migneco, che la pittrice filtra, sfuma, allevia dei tratti espressionistici, della carica dura
esistenziale, raccogliendone invece l’emporio tematico; da Guttuso, ‘rievocato’ nella
invenzione di Cefalù realizzata da Lucia Giuffrida, che cita Cezanne nella costruzione della
montagna dell’Etna, che permea Roccalumera d’un non so che di hopperiano, che tratta
l’acqua – come sopra si accennava – con un moderato impressionismo e i campi di grano in
un esito proprio, che serba memoria del divisionismo, di Segantini, separando punti e linee
di colore, facendoli interagire otticamente. Tornano in mente pure certe atmosfere di
Fattori, il quale, mentre si concentrava sul paesaggio agrario, si riteneva pittore di persone.
Modelli e riferimenti preziosi, che la pittrice assorbe con selettivo eclettismo,
riplasmando poi, con sensibilità propria – di temperatura, cromatica, di stile, di materia, ora
corposa, ora magra –, gli stimoli culturali ricevuti dallo spettacolo naturale isolano. Con
evidenza. Con un approccio lirico. Padroneggiando il colore sotto l’influenza della luce.
Tra spiga e spiga corre un afflato affettivo, che salda le componenti colte nella musica
dell’ispirazione poetica, che valorizza lo spirito qualche volta naïf, portandolo a stendardo
d’un’arte che nasce da un desiderio autentico di celebrare le epifanie più fulgide della
natura, concentrandosi sulla nudità dell’oggetto, conducendo l’immagine a nitida
consistenza formale. Perseguendo così una silloge che solo in apparenza punta a essere
mera pittura d’atelier, piacevolezza per l’occhio, destinata alla larga fruizione. E che invece
tocca, con delicata sapienza di sfioramenti, la profondità del segreto d’una bellezza senza
tempo, eternata dall’idillio felice della luce.
Nell’idillio della luce
In una restituzione diretta del paesaggio si risolve l’incontro primo, immediato con
l’opera di Lucia Giuffrida. Motivi di ordine naturalistico, che concedono spazio a piccoli
scorci di vita quotidiana, quando l’idillio diventa breve racconto d’un mondo antico eppure
tuttora pulsante, come quello della raccolta dei frutti della terra, sostanziato della cadenza
millenaria dei gesti, o come quello del porto, con le sue barche, che parlano di uomini
dentro la battaglia dolce e ardua col mare.
Distese bionde di grano ci riportano alle malie nostalgiche d’un eden primigenio, ove,
nel luogo, l’artista concentra il canto della memoria, una ininterrotta seppure distillata
ricerca delle proprie origini, un tendere all’Isola, celata e arroccata nel cuore in forma
universale, a una mediterraneità, che è linfa sempre viva nel fogliame fresco del presente.
Intense proiezioni paesaggistiche si accendono nei colori rilucenti della Terra
impareggiabile, chiamati a effigiare la forza prorompente della vita.
E il suo nucleo tematico Lucia Giuffrida sventaglia proprio da tali ‘semplici’ soggetti,
immanenti nella vista e quasi senza storia, a parte un intenzionale gusto ottocentesco, che
connota talune visioni. Soggetti che sono spazi, i luoghi cari alla pittrice, che accarezza con
l’arte l’Etna e la baia suggestiva di Santa Maria La Scala, poi Cefalù, tra gli altri,
Roccalumera, Aidone, Pozzallo.
Una pittura, si diceva, della quale impatta anzitutto l’immediatezza ottica della
visione, mai squisitamente veristica, piuttosto etimologicamente naturalistica.
Anche se – e tale elemento è fondamentale per la penetrazione della cifra di Lucia
Giuffrida – non alla asettica riproduzione della realtà punta la pittrice, ma a una riscrittura
del paesaggio nella grammatica d’una solarità piena e diffusa, vera costante dell’intero
corpus. Una luce che nutre ogni quadro del sole del Sud, che imbeve ogni situazione
naturalistica di commozione. Poiché una relazione umanissima indoviniamo tra Lucia
Giuffrida e i suoi luoghi, in uno sguardo sul mondo traboccante del respiro della vita, come
dice la roccia tante volte attraversata da un sottile antropomorfismo, come attestano i fichi
d’india, che l’artista elegge a Guardiani del vigneto, alitando, sulla plasticità virideggiante
dei loro corpi, il soffio vitale del movimento, dell’anima.
Una brezza lieve d’amore pare percorrere le poche case assolate, la chiesa di Stazzo,
il mare confezionato con tocchi di cifra impressionistica, il vulcano che lontana aereo e
candido, armonicamente rifuso nella gamma ampia dei blu. Elementi ritratti con finezza di
particolari e tuttavia senza eccessiva insistenza, cosicché la resa della realtà, completa e
diretta, sia realizzata sempre all’insegna d’una elegante morbidezza.
Evita il bozzetto, come gli effetti pittoreschi, attraverso l’adozione di un codice
duttile, ove lo studio dal vero l’artista accompagna con un linguaggio basato sui rapporti
tonali dei colori, prima che sul ruolo fondamentale del disegno.
Di matrice variegata le ascendenze alle quali possiamo collegare lo specifico della
pittrice, che, se non pare alimentarsi delle acquisizioni ultime del’arte novecentesca, risulta
pure ‘indenne’ dai tic deteriori del contemporaneo, quella certa tendenza al modeggiare,
quel pericoloso quanto triste dilagare del brutto.
Non è cristallizzato ma primariamente poetico, l’universo estetico di Lucia Giuffrida,
che raccoglie ispirazione anzitutto dalla sua sicilianità (e forse pure dalla sicilitudine), che
si appalesa, a livello tematico, nella insolubile relazione con il sostrato spirituale ed
ambientale siciliano, e, a livello stilistico, anzitutto nel possesso e nella padronanza
espressiva di una particolare tavolozza cromatica, dove sono iscritti i colori solari della
natura isolana, popolata a sua volta di simboli silenti, che la controra pare rendere visibili.
Sollecitazioni Lucia Giuffrida ricava poi dal realismo, dal Novecento siciliano, da
Migneco, che la pittrice filtra, sfuma, allevia dei tratti espressionistici, della carica dura
esistenziale, raccogliendone invece l’emporio tematico; da Guttuso, ‘rievocato’ nella
invenzione di Cefalù realizzata da Lucia Giuffrida, che cita Cezanne nella costruzione della
montagna dell’Etna, che permea Roccalumera d’un non so che di hopperiano, che tratta
l’acqua – come sopra si accennava – con un moderato impressionismo e i campi di grano in
un esito proprio, che serba memoria del divisionismo, di Segantini, separando punti e linee
di colore, facendoli interagire otticamente. Tornano in mente pure certe atmosfere di
Fattori, il quale, mentre si concentrava sul paesaggio agrario, si riteneva pittore di persone.
Modelli e riferimenti preziosi, che la pittrice assorbe con selettivo eclettismo,
riplasmando poi, con sensibilità propria – di temperatura, cromatica, di stile, di materia, ora
corposa, ora magra –, gli stimoli culturali ricevuti dallo spettacolo naturale isolano. Con
evidenza. Con un approccio lirico. Padroneggiando il colore sotto l’influenza della luce.
Tra spiga e spiga corre un afflato affettivo, che salda le componenti colte nella musica
dell’ispirazione poetica, che valorizza lo spirito qualche volta naïf, portandolo a stendardo
d’un’arte che nasce da un desiderio autentico di celebrare le epifanie più fulgide della
natura, concentrandosi sulla nudità dell’oggetto, conducendo l’immagine a nitida
consistenza formale. Perseguendo così una silloge che solo in apparenza punta a essere
mera pittura d’atelier, piacevolezza per l’occhio, destinata alla larga fruizione. E che invece
tocca, con delicata sapienza di sfioramenti, la profondità del segreto d’una bellezza senza
tempo, eternata dall’idillio felice della luce.
13
aprile 2014
Lucia Giuffrida
Dal 13 aprile al 04 maggio 2014
arte contemporanea
Location
EDONE’ ARTE VIVA CLUB
Vittoria, Via Cavour, 39, (Ragusa)
Vittoria, Via Cavour, 39, (Ragusa)
Vernissage
13 Aprile 2014, Ore 19
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