Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Luciano Menegazzi – Percorsi veneziani
Le opere di Luciano Menegazzi, dipinti su tela e su specchio, offrono l’immagine di una Venezia ancora vitale, conscia del suo grande passato, ma non rassegnata alla decadenza. Una città futura e coloratissima
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Il passato è passato perché
non ha ancora conosciuto
il proprio futuro…
Giuseppe Mazzariol
È una Venezia immensa e formidabile, quella che Luciano Menegazzi squaderna con tecnica sapiente su tele e specchi. Una città immensa ed amata, intima. La tinta imperiosa, assoluta ricorda da subito i bagliori di lampo nelle pale di Giulia Lama, o il sogno lucido di Tancredi. Ebbrezza
vertiginosa e razionale: si comprende infatti, ad un’osservazione più accurata – dopo il primo stordimento dei sensi – che nell’artista
il colore è assieme pratica linguistica e sentimento di quello stesso idioma.
La spessa materia, che nella superficie specchiante acquista guizzi di miraggio lagunare, conserva segreti splendori. Vi distinguiamo
impetuose energie centripete, a produrre ellissi, ma l’immediatezza apparente non sfocia mai nella pura improvvisazione; piuttosto l’artista preferisce esercitarsi in svolgimenti armonici e scintillanti, a liberare l’astro della tinta, come si svela il fulcro di un’intuizione
diretta e profonda del reale. Così agendo – il cuore alle visioni del Carpaccio e alle trasparenze del Tiepolo – Menegazzi ri-crea la città molteplice dei suoi lavori come luogo vivo e privilegiato, superando il puro fenomeno in favore di una più complessa considerazione. Il tratto, di quadro in quadro, si dipana incidendo, raggruppando, quasi attratto da enigmatiche tensioni, da fuochi diversi, in vortici
e volute turbinose, o in aeree galassie di colore. La possibilità immaginativa di Menegazzi è sottolineata, specie nei dipinti su specchio, da una particolare limpidezza cromatica: non
ricomposizione tonale, ma forza pura che si sprigiona dal contatto drammatico con il mondo.
La definirei una nuova fenomenologia veneziana, quella che si evince dal prolifico genio dell’artista, una formulazione di immagine
consistente che può far tesoro di ogni spunto, senza correre il rischio di cadere nello stereotipo o nella mescolanza eclettica. Tutti
gli stimoli offerti dalla visualizzazione segnica – anche quando appaiono condotti con naturale impeto – risultano sempre coinvolti
in una precisa struttura. Venezia è elevata a potenza; al di là dei giochi acquei, nel guizzo della luce che profuma di panni stesi e di
caligine, Menegazzi ripristina una stabile essenza alla città. Tanto la forma quanto l’oggetto rappresentato acquisiscono via via
un significato critico: l’immagine si connota di schegge di senso e all’artista spetta la ricomposizione, utopia in atto. A partire da
quelle schegge, da quelle cesure di prospettiva, da quel dire rotto da ripetute sincopi, Menegazzi trasfigura il dato visibile (un profilo
rosato di Palazzo Ducale, ad esempio, o la scia di un vaporetto che si allontana nella notte), lasciando apparire un magnifico azzardo:
la sostanza, il Dna della città sull’acqua. Gli infiniti riferimenti di quel bello solido che Luciano compone sono – a loro volta – ri-significati in una metamorfosi importante. Perché il colore di Menegazzi diviene, così, espressione di una virtù nascosta ed intangibile, di
una bellezza mistica ed autosufficiente, in cui azione ed intenzione coincidono. È forma originaria, ancestrale. È il sentimento della
città. Come l’artista vi giunga, merita qualche nota, se non altro per il profondo esercizio (fabbrile e filosofico insieme) dell’orchestrazione, che rivela molti punti di contatto con la tecnica compositiva del
musicista. Dagli elementi di base, in Menegazzi – il blu profondo che un po’ alla volta si schiara, la gamma dorata dei gialli, il sanguigno rosso – lo spettro cromatico si estende a costituire un
tessuto sinfonico: quasi infinita ci appare la rifrazione, variando i tempi di oscillazione delle altezze e gli intervalli. Si alternano i timbri, i segni in attacco, i registri condizionati dall’aspetto delle cose, che mutano come mutano le ombre sui masegni. È il virtuale che si fa presenza, magari per il tempo di contemplazione
dell’opera, prima di lasciar uscire la visione incontro al silenzio, all’infinito possibile. Appare lecito, anzi ricercato volontariamente,
in questi quadri, un patto rinnovato tra l’essere umano e la città gloriosa.
In tal modo la virtualità contemporanea, nelle opere di Luciano Menegazzi, appare come modello. Un modello-Venezia che è, a suo modo, futuro e si struttura di elementi celati nei particolari,
o meglio nell’emotività concettuale dei particolari. La persuasività di questi lavori, ciò che li rende unici, contraddistinti da una cifra
sicura, è tutta lirica. L’idea stessa del modello(chissà quanto prevista o involontaria) assume pregnanza lirica, tra gli estremi
di una Serenissima sopravvissuta (proprio perché di continuo mutante) e le sue continue epifanie.
Il modello di Menegazzi, nelle sue svariate, rutilanti coniugazioni, induce una realtà diversa, anche se necessariamente incompiuta. Ciò che conta è quella sperimentazione temporale dello spazio, quell’immagine-laboratorio che affonda le proprie radici nella memoria, ma ci dà fiducia e gioia per il domani. Perché a Venezia ogni cosa è specchio ed il tempo…un concetto relativo.
Francesca Brandes
non ha ancora conosciuto
il proprio futuro…
Giuseppe Mazzariol
È una Venezia immensa e formidabile, quella che Luciano Menegazzi squaderna con tecnica sapiente su tele e specchi. Una città immensa ed amata, intima. La tinta imperiosa, assoluta ricorda da subito i bagliori di lampo nelle pale di Giulia Lama, o il sogno lucido di Tancredi. Ebbrezza
vertiginosa e razionale: si comprende infatti, ad un’osservazione più accurata – dopo il primo stordimento dei sensi – che nell’artista
il colore è assieme pratica linguistica e sentimento di quello stesso idioma.
La spessa materia, che nella superficie specchiante acquista guizzi di miraggio lagunare, conserva segreti splendori. Vi distinguiamo
impetuose energie centripete, a produrre ellissi, ma l’immediatezza apparente non sfocia mai nella pura improvvisazione; piuttosto l’artista preferisce esercitarsi in svolgimenti armonici e scintillanti, a liberare l’astro della tinta, come si svela il fulcro di un’intuizione
diretta e profonda del reale. Così agendo – il cuore alle visioni del Carpaccio e alle trasparenze del Tiepolo – Menegazzi ri-crea la città molteplice dei suoi lavori come luogo vivo e privilegiato, superando il puro fenomeno in favore di una più complessa considerazione. Il tratto, di quadro in quadro, si dipana incidendo, raggruppando, quasi attratto da enigmatiche tensioni, da fuochi diversi, in vortici
e volute turbinose, o in aeree galassie di colore. La possibilità immaginativa di Menegazzi è sottolineata, specie nei dipinti su specchio, da una particolare limpidezza cromatica: non
ricomposizione tonale, ma forza pura che si sprigiona dal contatto drammatico con il mondo.
La definirei una nuova fenomenologia veneziana, quella che si evince dal prolifico genio dell’artista, una formulazione di immagine
consistente che può far tesoro di ogni spunto, senza correre il rischio di cadere nello stereotipo o nella mescolanza eclettica. Tutti
gli stimoli offerti dalla visualizzazione segnica – anche quando appaiono condotti con naturale impeto – risultano sempre coinvolti
in una precisa struttura. Venezia è elevata a potenza; al di là dei giochi acquei, nel guizzo della luce che profuma di panni stesi e di
caligine, Menegazzi ripristina una stabile essenza alla città. Tanto la forma quanto l’oggetto rappresentato acquisiscono via via
un significato critico: l’immagine si connota di schegge di senso e all’artista spetta la ricomposizione, utopia in atto. A partire da
quelle schegge, da quelle cesure di prospettiva, da quel dire rotto da ripetute sincopi, Menegazzi trasfigura il dato visibile (un profilo
rosato di Palazzo Ducale, ad esempio, o la scia di un vaporetto che si allontana nella notte), lasciando apparire un magnifico azzardo:
la sostanza, il Dna della città sull’acqua. Gli infiniti riferimenti di quel bello solido che Luciano compone sono – a loro volta – ri-significati in una metamorfosi importante. Perché il colore di Menegazzi diviene, così, espressione di una virtù nascosta ed intangibile, di
una bellezza mistica ed autosufficiente, in cui azione ed intenzione coincidono. È forma originaria, ancestrale. È il sentimento della
città. Come l’artista vi giunga, merita qualche nota, se non altro per il profondo esercizio (fabbrile e filosofico insieme) dell’orchestrazione, che rivela molti punti di contatto con la tecnica compositiva del
musicista. Dagli elementi di base, in Menegazzi – il blu profondo che un po’ alla volta si schiara, la gamma dorata dei gialli, il sanguigno rosso – lo spettro cromatico si estende a costituire un
tessuto sinfonico: quasi infinita ci appare la rifrazione, variando i tempi di oscillazione delle altezze e gli intervalli. Si alternano i timbri, i segni in attacco, i registri condizionati dall’aspetto delle cose, che mutano come mutano le ombre sui masegni. È il virtuale che si fa presenza, magari per il tempo di contemplazione
dell’opera, prima di lasciar uscire la visione incontro al silenzio, all’infinito possibile. Appare lecito, anzi ricercato volontariamente,
in questi quadri, un patto rinnovato tra l’essere umano e la città gloriosa.
In tal modo la virtualità contemporanea, nelle opere di Luciano Menegazzi, appare come modello. Un modello-Venezia che è, a suo modo, futuro e si struttura di elementi celati nei particolari,
o meglio nell’emotività concettuale dei particolari. La persuasività di questi lavori, ciò che li rende unici, contraddistinti da una cifra
sicura, è tutta lirica. L’idea stessa del modello(chissà quanto prevista o involontaria) assume pregnanza lirica, tra gli estremi
di una Serenissima sopravvissuta (proprio perché di continuo mutante) e le sue continue epifanie.
Il modello di Menegazzi, nelle sue svariate, rutilanti coniugazioni, induce una realtà diversa, anche se necessariamente incompiuta. Ciò che conta è quella sperimentazione temporale dello spazio, quell’immagine-laboratorio che affonda le proprie radici nella memoria, ma ci dà fiducia e gioia per il domani. Perché a Venezia ogni cosa è specchio ed il tempo…un concetto relativo.
Francesca Brandes
08
luglio 2012
Luciano Menegazzi – Percorsi veneziani
Dall'otto al 29 luglio 2012
arte contemporanea
Location
SCUOLA GRANDE DI SAN TEODORO
Venezia, Campo San Salvador, 4811, (Venezia)
Venezia, Campo San Salvador, 4811, (Venezia)
Orario di apertura
10.00 – 13.00 / 16.00 – 19.00
Vernissage
8 Luglio 2012, ore 17.30
Autore
Curatore