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Luciano Ponzio – Configurazioni di scritture senza dimora
personale
Comunicato stampa
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Di cosa parla la scrittura? Grazie a Dio, essa non parla! La pittura si rende nel delirio di un disertore.
La raffigurazione differita è un fenomeno peraltro molto raro poiché, in gran parte dei testi artistici, c’è sempre qualche allusione a un contenuto semantico – non traducibile, beninteso, nella lingua pratica. Benché la pittura abbia tutti i diritti di rendersi come rarità, tuttavia il lettore-ascoltatore si pone nei suoi confronti senza mai rinunciare completamente alla rappresentazione e alle rappresentazioni semantiche dalle movenze declamatorie (mandati sociali, strofette e filastrocche di propaganda per la classe egemone). Dal momento che i visitatori incagliati hanno pian piano incominciato a sussurrare di fronte ai dipinti, il loro occhio disabituato viene colpito da una incessante sollecitudine.
Capace di contagiare il lettore con sentimenti inutili alla classe dominante e alla causa ideologica, la più artistica di tutte le arti, l’arte che sa scrivere meglio, è la pittura.
Proprio per questo, i capolavori si scrivono sempre in una specie di lingua straniera, sicché le teorie antifunzionalistiche della scrittura non devono preoccuparsi di essere smentite dalla cosiddetta “arte impegnata”, dall’arte ridotta a descrizione plastica, dall’arte omologata ad una attività destinata socialmente a facilitare rapporti fra genti della medesima razza, dall’arte ingaggiata a rappresentare e informare – in cui le forme possiedono la loro dimora –, dall’arte assegnata alle missioni di rinnovamento del mondo. La scrittura vuol rendersi, così, totale rigenerazione infunzionale e si contrappone ad ogni ragione utilitaristica, che appare finalmente come sovrastruttura falsificante e vile processo di occultamento.
L’ideologia fenomenica del “visibile”, praticata convenientemente in funzione dell’“utile”, si rivela solo come mera sezione del mondo, un misero possesso di mondo – il mondo caratterizzato dall’infinita varietà dei suoi segni, irriducibili alla loro composizione in formule, in termini, in discorsi, in cui tutto figura sotto un nome. E se l’uomo s’accontenta di soddisfare il bisogno pratico d’occasione, un bisogno pratico di cui, spesso, è abitualmente prigioniero, per l’artista invece è difficile poter accettare così com’è l’ostilità che continuamente gli propone il mondo degli oggetti, uno stato di ostilità insopportabile che lo muove verso la liberazione.
Lo stato delle cose si mostra particolarmente ostile alla ricerca autentica, spregiudicata, pre-scrivendo, al contrario, la sussunzione dell’individuo sotto l’imposizione di una (e sola) idea di lavoro, un lavoro dal quale non può scaturire alcun godimento intellettuale, di cui sono invece capaci gli artisti portati dal talento a una visione eccedente. In questo senso, solamente l’arte trascende l’ideologica della realtà, rinunciando alle false certezze di un mondo rivestito di ragione pratica che alletta con le sue forme di sicurezza e comodità.
Abbandonare il lavoro reificato, i committenti-datori! Basta lavorare in sarcofagi di cemento armato e intendere l’attività artistica come svago intellettuale per brevi periodi di riposo, rinfracante e che permette di tornare al lovoro freschi e riposati.
Il lavoro creativo, inventivo, innovativo, di cui solo l’essere umano è capace, è ridotto oggi ad un’attività, spiacevole e gravosa, attraente soltanto per il suo effetto-salario. L’artista ha il privilegio di non lavorare contro un salario. Scambiare il valore incommensurabile del lavoro contro un salario è un’arte mercenaria. L’attività artistica sa anche come poter utilizzare l’arte mercantile – l’arte a buon mercato, per intenderci –, senza peraltro praticarla e senza implicarvisi. Contro la vergognosa routine di mestieranti che fabbricano opere confezionate, l’arte gioca e non si riduce a mestiere. In un mondo sempre più saturo di senso e finalità, l’attività artistica è gioco del fantasticare, sembra non avere altro fine se non il gioco, di essere quindi un’attività che piace per se stessa. Che deve farsene dell’arte un uomo veramente razionale? I mestieranti non hanno arte: in arte non è sufficiente sapere per saper fare. Messo lì da mani rese lisce dalle monete, “l’uomo di mestiere non gioca”! (J. Derrida).
Al circolo economico del commercio (offerta-domanda), dalla linea affaristica, aziendale e artigianale, l’arte della scrittura viene espropriata tramite compiti e metodi, che impongono un’arte limitata all’affermazione che l’opera debba avere una forma e un contenuto – spesso suggerito da fuori!
Al limite dell’opera, nello spessore parergonale della cornice, l’unico artista che resisterà creando sarà colui che, alla morte annunciata del mondo, sapendo bene come rinventarlo, disegnerà nuove con-figurazioni spostando senza misura la riflessione artistica un tratto più in là rispetto a questo mondo qui.
(da Luciano Ponzio, Hors-d’œvre et L’artist-clochard, 2006)
Luciano Ponzio. Artist-chercheur. S’interésse à la Sémiotique du Texte Artistique. Autore di scritti programmatici sulla teoria dell'arte, svolge la sua attività di ricerca artistica nell'ambito dell'orientamento sperimentale da lui stesso denominato "differimentismo". Si è diplomato in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Bologna e ha esposto in collettive e personali. Collabora alle seguenti riviste: Athanor (Meltemi, Roma), Corposcritto (Edizioni dal Sud, Bari), Semiotica (Mouton de Gruyter, Berlin - New York), Cybernetics (Copenhagen), Odradek (Roma). In veste di ricercatore dell'Università degli Studi di Lecce, si occupa di semiotica del testo artistico e la sua ricerca verte attualmente sulle avanguardie russe con particolare riferimento a Malevich. Tra le sue pubblicazioni: Icona e Raffigurazione. Bachtin, Malevich, Chagall (Adriatica, Bari, 2000), Visioni del testo (Graphis, Bari, 2002; nuova ed. 2003), Lo squarcio di Kazimir Malevich (Spirali, Milano, 2004) e Differimenti (Mimesis, Milano, 2006).
La raffigurazione differita è un fenomeno peraltro molto raro poiché, in gran parte dei testi artistici, c’è sempre qualche allusione a un contenuto semantico – non traducibile, beninteso, nella lingua pratica. Benché la pittura abbia tutti i diritti di rendersi come rarità, tuttavia il lettore-ascoltatore si pone nei suoi confronti senza mai rinunciare completamente alla rappresentazione e alle rappresentazioni semantiche dalle movenze declamatorie (mandati sociali, strofette e filastrocche di propaganda per la classe egemone). Dal momento che i visitatori incagliati hanno pian piano incominciato a sussurrare di fronte ai dipinti, il loro occhio disabituato viene colpito da una incessante sollecitudine.
Capace di contagiare il lettore con sentimenti inutili alla classe dominante e alla causa ideologica, la più artistica di tutte le arti, l’arte che sa scrivere meglio, è la pittura.
Proprio per questo, i capolavori si scrivono sempre in una specie di lingua straniera, sicché le teorie antifunzionalistiche della scrittura non devono preoccuparsi di essere smentite dalla cosiddetta “arte impegnata”, dall’arte ridotta a descrizione plastica, dall’arte omologata ad una attività destinata socialmente a facilitare rapporti fra genti della medesima razza, dall’arte ingaggiata a rappresentare e informare – in cui le forme possiedono la loro dimora –, dall’arte assegnata alle missioni di rinnovamento del mondo. La scrittura vuol rendersi, così, totale rigenerazione infunzionale e si contrappone ad ogni ragione utilitaristica, che appare finalmente come sovrastruttura falsificante e vile processo di occultamento.
L’ideologia fenomenica del “visibile”, praticata convenientemente in funzione dell’“utile”, si rivela solo come mera sezione del mondo, un misero possesso di mondo – il mondo caratterizzato dall’infinita varietà dei suoi segni, irriducibili alla loro composizione in formule, in termini, in discorsi, in cui tutto figura sotto un nome. E se l’uomo s’accontenta di soddisfare il bisogno pratico d’occasione, un bisogno pratico di cui, spesso, è abitualmente prigioniero, per l’artista invece è difficile poter accettare così com’è l’ostilità che continuamente gli propone il mondo degli oggetti, uno stato di ostilità insopportabile che lo muove verso la liberazione.
Lo stato delle cose si mostra particolarmente ostile alla ricerca autentica, spregiudicata, pre-scrivendo, al contrario, la sussunzione dell’individuo sotto l’imposizione di una (e sola) idea di lavoro, un lavoro dal quale non può scaturire alcun godimento intellettuale, di cui sono invece capaci gli artisti portati dal talento a una visione eccedente. In questo senso, solamente l’arte trascende l’ideologica della realtà, rinunciando alle false certezze di un mondo rivestito di ragione pratica che alletta con le sue forme di sicurezza e comodità.
Abbandonare il lavoro reificato, i committenti-datori! Basta lavorare in sarcofagi di cemento armato e intendere l’attività artistica come svago intellettuale per brevi periodi di riposo, rinfracante e che permette di tornare al lovoro freschi e riposati.
Il lavoro creativo, inventivo, innovativo, di cui solo l’essere umano è capace, è ridotto oggi ad un’attività, spiacevole e gravosa, attraente soltanto per il suo effetto-salario. L’artista ha il privilegio di non lavorare contro un salario. Scambiare il valore incommensurabile del lavoro contro un salario è un’arte mercenaria. L’attività artistica sa anche come poter utilizzare l’arte mercantile – l’arte a buon mercato, per intenderci –, senza peraltro praticarla e senza implicarvisi. Contro la vergognosa routine di mestieranti che fabbricano opere confezionate, l’arte gioca e non si riduce a mestiere. In un mondo sempre più saturo di senso e finalità, l’attività artistica è gioco del fantasticare, sembra non avere altro fine se non il gioco, di essere quindi un’attività che piace per se stessa. Che deve farsene dell’arte un uomo veramente razionale? I mestieranti non hanno arte: in arte non è sufficiente sapere per saper fare. Messo lì da mani rese lisce dalle monete, “l’uomo di mestiere non gioca”! (J. Derrida).
Al circolo economico del commercio (offerta-domanda), dalla linea affaristica, aziendale e artigianale, l’arte della scrittura viene espropriata tramite compiti e metodi, che impongono un’arte limitata all’affermazione che l’opera debba avere una forma e un contenuto – spesso suggerito da fuori!
Al limite dell’opera, nello spessore parergonale della cornice, l’unico artista che resisterà creando sarà colui che, alla morte annunciata del mondo, sapendo bene come rinventarlo, disegnerà nuove con-figurazioni spostando senza misura la riflessione artistica un tratto più in là rispetto a questo mondo qui.
(da Luciano Ponzio, Hors-d’œvre et L’artist-clochard, 2006)
Luciano Ponzio. Artist-chercheur. S’interésse à la Sémiotique du Texte Artistique. Autore di scritti programmatici sulla teoria dell'arte, svolge la sua attività di ricerca artistica nell'ambito dell'orientamento sperimentale da lui stesso denominato "differimentismo". Si è diplomato in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Bologna e ha esposto in collettive e personali. Collabora alle seguenti riviste: Athanor (Meltemi, Roma), Corposcritto (Edizioni dal Sud, Bari), Semiotica (Mouton de Gruyter, Berlin - New York), Cybernetics (Copenhagen), Odradek (Roma). In veste di ricercatore dell'Università degli Studi di Lecce, si occupa di semiotica del testo artistico e la sua ricerca verte attualmente sulle avanguardie russe con particolare riferimento a Malevich. Tra le sue pubblicazioni: Icona e Raffigurazione. Bachtin, Malevich, Chagall (Adriatica, Bari, 2000), Visioni del testo (Graphis, Bari, 2002; nuova ed. 2003), Lo squarcio di Kazimir Malevich (Spirali, Milano, 2004) e Differimenti (Mimesis, Milano, 2006).
17
giugno 2006
Luciano Ponzio – Configurazioni di scritture senza dimora
Dal 17 al 27 giugno 2006
arte contemporanea
Location
ASSOCIAZIONE IL RAGGIO VERDE
Lecce, Via Federico D'aragona, 14, (Lecce)
Lecce, Via Federico D'aragona, 14, (Lecce)
Vernissage
17 Giugno 2006, ore 19
Sito web
differimento.altervista.org/
Autore