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Lucio Fontana – 16 sculture 1937- 1967
La mostra vuole meglio specificare all’occhio del collezionista il percorso che Fontana ha seguito per ben trent’anni di lavoro.
Comunicato stampa
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Ancora Fontana, ancora Corso Monforte.
A tre anni di distanza dalla mostra Carriera “barocca” di Fontana, tenutasi proprio in questa Galleria nel Novembre del 2004, e sulla scia del grande successo ottenuto dalla mostra attualmente in programmazione a Mantova dal titolo “Fontana scultore”, Amedeo Porro arte moderna e contemporanea inaugura, il prossimo 12 Dicembre, la mostra: “Sedici sculture Lucio Fontana 1937 1967”.
Accompagnata da un catalogo edito da Amedeo Porro Arte Moderna e Contemporanea e Ben Brown Fine Arts per i tipi di Silvana Editoriale, l’esposizione, curata da Paolo Campiglio, vuole meglio specificare all’occhio del collezionista il percorso che Fontana ha seguito per ben trent’anni di lavoro.
Paolo Campiglio, meticoloso ricercatore, pubblica in catalogo una fondamentale intervista che Carla Lonzi riuscì a fare a Fontana nel 1967 e che poi pubblicò nel 1969 per la casa editrice De Donato di Bari nel volume Autoritratto.
Molte furono le interviste a diversi artisti italiani che la Lonzi fece tra il 1965 e il 1969 (Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato Twombly…), brani montati liberamente in modo da riprodurre una specie di convivio, secondo la convinzione che “l’atto critico completo e verificabile è quello che fa parte della creazione artistica”.
Infatti nella trascrizione che la Lonzi fece di queste sue interviste, la propria voce viene molte volte censurata per dare più libero spazio a quello che era il pensiero dell’artista.
In pieno contrasto con quello che era abitualmente in uso (e che tutt’ora lo è) nel ruolo del critico che tende a formulare un giudizio sull’opera nella domanda stessa.
Si è pensato poi di dare voce a due dei più celebri conoscitori della Storia dell’Arte contemporanea italiana ed internazionale, con particolare riferimento agli anni ‘50 e ’60:
Enrico Crispolti intervista Gillo Dorfles.
Una interessante discussione/intervista tra i due storici dell’arte che, partendo dal presupposto “se Fontana fosse stato solo scultore e non pittore” cosa ne sarebbe stato della sua arte.
Un percorso tra ricordi e citazioni molto istruttivo e a tratti anche divertente.
Chiude la parte documentaria un video della durata di circa 50 minuti e che verrà proiettato per tutta la durata della mostra, prodotto da Amedeo Porro arte moderna e contemporanea in collaborazione con Ben Brown Fine Arts di Londra, per la regia di Michele Rho.
Il video ci fa percorrere le sale della mostra Fontana Scultore, attualmente in programmazione a Mantova, in compagnia di Nini Laurini Ardemagni (Presidente della Fondazione Lucio Fontana), Enrico Crispolti (Critico di riferimento e curatore delle due edizioni del Catalogo ragionato di Lucio Fontana), Filippo Trevisani (Soprintendente di Mantova e curatore della mostra) e Paolo Campiglio (curatore di diverse importanti mostre di Lucio Fontana)
Ecco che ci accompagnano quindi attraverso le stanze dove sono esposte alcune tra le più note e straordinarie sculture eseguite dall’artista.
Una lunga chiacchierata fatta di interventi critici, ricordi curiosi, citazioni alla volte frivole sulla vita di Fontana, ma con un occhio sempre teso a ricercare nelle sue opere una origine, una traccia o un riferimento nella storia dell’arte che alla volte nessuno riesce di trovare.
Il video ha un finale suggestivo ripreso nella buia sala dell’Ambiente nero, illuminata solamente dalla luce dalla lampada di wood che Fontana allestì (1949) alla Galleria del Naviglio di Milano e che è stata felicemente ricostruita in una “grotta” sotto le fondamenta del Castello di Mantova.
La mostra si apre con una scultura del 1937, Vasetto con fiore, eseguita durante la sua permanenza a Sévrés, in Francia.
Durante il suo primo soggiorno a Milano, vista svanire la possibilità di una mostra organizzata alla Galleria del Milione e avvicinandosi proprio in quell’anno la prospettiva di partecipazione alla grande Esposizione Universale di Parigi del 1937, l’artista si trasferì a Parigi dalla seconda metà di luglio alla fine di novembre di quell’anno dove riuscì ad approdare nel settembre alle Manufactures de Sèvres, esponendo poi la propria produzione nella capitale francese.
Prima presso la galleria Jeanne Bucher Myrbor e poi alla Galleria Zack.
Si hanno pochissime notizie sulla produzione di Fontana di questo periodo: rari pezzi superstiti e vaghe testimonianze fotografiche. L’opera, tra le rare identificate come effettivamente realizzate a Sèvres, è parte di una serie di “vasi con fiore” o “nature morte” dal medesimo impianto frontale, di medie o piccole dimensioni.
Troviamo poi le splendide figure di Arlecchino e Colombina, due ceramiche policrome del 1948 che misurano 55 x 29,5x29 cm. ciascuna.
Il 24 luglio 1947 aveva debuttato al Piccolo Teatro di Milano l’Arlecchino servitore dei due padroni di Carlo Goldoni con la regia di Giorgio Strehler. La scattante silouhette del protagonista colpì evidentemente l’immaginazione fontaniana, che venne chiamato nel 1948 a intervenire nella decorazione di un nuovo cinema dedicato proprio a quella maschera della Commedia dell’Arte, lI Cinema Arlecchino appunto (1948, architetti Roberto Menghi e Mario Righini), diede vita a una grande scultura a mosaico, sospesa al soffitto dell’atrio: una grande plastica a mosaico che se pareva riferirsi alle fotografie più divulgate della maschera veneziana, assumeva però in questa circostanza le fattezze di un corpo luminoso emergente dallo spazio.
La coppia Arlecchino e Colombina (1948) è parte della medesima genealogia di maschere della Commedia dell’arte in ceramica che lui produsse in quel periodo: le braccia e le gambe divaricate, una gestualità teatrale, le mani ad artiglio che annaspano, pochi elementi plastici a descrivere un costume largo, sfrangiato.
In questi esempi di un barocchismo esagerato, prevale un tono innaturale violaceo dominante, di straordinaria suggestione, i viola riflessati a cui si sovrappongono le profonde gocce di verde o blu elettrico paiono l’allusione a un effetto sidereo.
Bellissima la scultura dal titolo Ritratto di fanciulla (busto di fanciulla) del 1952 – 1953, una ceramica smaltata e colorata: bianco, azzurro e nero di cm. 38 x 41 x 31.
Sconosciuto è ancora il nome della fanciulla immortalata in questo vivace ritratto proveniente da una collezione privata di Savona, opera realizzata ad Albissola, come testimoniano i marchi del ceramista Bartolomeo Tortarolo.
Nel primo dopoguerra, la ritrattistica, anche su commissione, è praticata con maggiore consapevolezza dall’artista, nella tecnica astratta della scultura a mosaico - celebre è il Ritratto di Teresita (1940)- o, soprattutto, nella ceramica, materia più congeniale a questo fine e tale da arricchire l’immagine in senso barocco, poiché nell’effige del volto egli era in grado di trasferire l’immediatezza del segno, pur in una colorazione spesso monocroma. Questo Ritratto di fanciulla, è segno di un temporaneo cambiamento di rotta, non più caratterizzato dall’uso dell’oro o di volute barocche: qui Fontana è più essenziale, nel bianco accecante della ceramica, il segno inciso è profondo come un “taglio” .
In mostra troviamo inoltre una delle rarissime tavolette in terracotta “Concetto spaziale”, 1954 buchi e graffito su terracotta colorata a freddo, bianco e nero, cm 25 x 31.
La produzione di “sculture spaziali”, tavolette in terracotta, appena sporcate di gocce di colore a freddo e sempre forate, di forma per lo più rettangolare, risale ai primi anni Cinquanta, ma si intensifica proprio nel 1954. E’ probabile che la serie di Concetti spaziali su tavolette in ceramica realizzate in quell’anno, solo una trentina di pezzi, sia proprio da porre in relazione all’incontro internazionale, prima e dopo quell’esperienza, e all’urgenza di una partecipazione al clima d’avanguardia con una ipotesi che si allinea alla contemporanea produzione dei “concetti spaziali” forati su tela, approfondendola.
Vengono poi esposti una serie di Vasi, con buchi, tagli, colorati di dimensioni differenti, tutti eseguiti tra il 1957 e il 1959.
In questi anni l’artista inaugura la mostra personale alla Galleria del Naviglio in cui presenta i “Barocchi”, ovvero “concetti spaziali” su tela caratterizzati dai contrasti di gialli e neri, da segni di spessa materia pittorica, stesi su un fondo scuro insieme ad alcune ceramiche che suggerirono a Guido Ballo la riflessione : “nelle sculture a gran fuoco Fontana è sempre uno scultore ceramista”. Ma è anche il periodo dell’invenzione dei “gessi”, “concetti spaziali” su tela caratterizzati dall’impiego dei pastelli gessosi, detti anche scherzosamente i “muri”, per il carattere quasi monocromo e cupo degli sfondi e delle macchie.
Appare chiaro come nell’immaginazione fontaniana non ci sia soluzione di continuità tra le ricerche su tela e le forme nuove in ceramica, qui caratterizzate da un nero “opaco” e da file di perforazioni orizzontali sempre più regolari, proprio come nelle cupe opere su tela dello stesso periodo, espressione di un ritorno all’essenzialità dopo il lungo periodo di enfasi barocca.
Della svolta dei Tagli alla fine degli anni Cinquanta, formula decisiva nella produzione dell’artista, vi è una calzante definizione in una lettera a Mario Bardini del 21 febbraio 1959: “ o sono un "santo" o sono un "pazzo" !!! Ma forse sono un santo, ho sopportato troppe angherie che a quest'ora dovrei essere in un manicomio, invece queste "Attese" mi danno la pace !!! Ecco il senso di questa nuova sperimentazione che Fontana attua dal 1958, prima su tele colorate con aniline chiamati ‘inchiostri’; in seguito, invece, già nel corso del 1959 la tela colorata, prima a bande, in alcuni casi con fasce di colore acido, stridente, diviene sempre più dominata dal monocromo, in uno spazio azzerato: contemporaneamente nasce il taglio unico su fondo bianco, che rappresenta una ulteriore, radicale maturazione.
In mostra troviamo quindi tre testimonianze di questo passaggio, tre terracotte che per datazione (1959) fanno ben capire quanto fosse più sentita e immediata la realizzazione di questi “tagli” sul supporto a lui più vicino e caro: la plasmabile terracotta.
Una con fondo monocromo chiaro con un taglio centrale, un vaso di colore bruno con quattro tagli e due Nature, piccole terrecotte monofacciali di forme bivalve.
Curiosità vuole che proprio nel 1959, epoca in cui sono ripetuti i tentativi di Fontana di trasportare su tela il taglio (prima su tele spesse, senza garze nere di sfondo, poi su tele più fini, ma con tagli sempre e comunque un po’ sgraziati, che evidenziano il forte sperimentalismo) queste gestualità eseguite su terracotta gli riescono d’istinto già in modo compiuto.
Paragonabili quindi, per eleganza, ai tagli che eseguirà su tela negli anni successivi al 1960.
Chiude la mostra un gruppo di tre sculture in metallo: due nature-multipli, celebri anche ai profani di Fontana (le due bocce dorate una con taglio, l’altra con fori) e due Pillole, due sperimentazioni spaziali della fine degli anni sessanta.
A tre anni di distanza dalla mostra Carriera “barocca” di Fontana, tenutasi proprio in questa Galleria nel Novembre del 2004, e sulla scia del grande successo ottenuto dalla mostra attualmente in programmazione a Mantova dal titolo “Fontana scultore”, Amedeo Porro arte moderna e contemporanea inaugura, il prossimo 12 Dicembre, la mostra: “Sedici sculture Lucio Fontana 1937 1967”.
Accompagnata da un catalogo edito da Amedeo Porro Arte Moderna e Contemporanea e Ben Brown Fine Arts per i tipi di Silvana Editoriale, l’esposizione, curata da Paolo Campiglio, vuole meglio specificare all’occhio del collezionista il percorso che Fontana ha seguito per ben trent’anni di lavoro.
Paolo Campiglio, meticoloso ricercatore, pubblica in catalogo una fondamentale intervista che Carla Lonzi riuscì a fare a Fontana nel 1967 e che poi pubblicò nel 1969 per la casa editrice De Donato di Bari nel volume Autoritratto.
Molte furono le interviste a diversi artisti italiani che la Lonzi fece tra il 1965 e il 1969 (Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato Twombly…), brani montati liberamente in modo da riprodurre una specie di convivio, secondo la convinzione che “l’atto critico completo e verificabile è quello che fa parte della creazione artistica”.
Infatti nella trascrizione che la Lonzi fece di queste sue interviste, la propria voce viene molte volte censurata per dare più libero spazio a quello che era il pensiero dell’artista.
In pieno contrasto con quello che era abitualmente in uso (e che tutt’ora lo è) nel ruolo del critico che tende a formulare un giudizio sull’opera nella domanda stessa.
Si è pensato poi di dare voce a due dei più celebri conoscitori della Storia dell’Arte contemporanea italiana ed internazionale, con particolare riferimento agli anni ‘50 e ’60:
Enrico Crispolti intervista Gillo Dorfles.
Una interessante discussione/intervista tra i due storici dell’arte che, partendo dal presupposto “se Fontana fosse stato solo scultore e non pittore” cosa ne sarebbe stato della sua arte.
Un percorso tra ricordi e citazioni molto istruttivo e a tratti anche divertente.
Chiude la parte documentaria un video della durata di circa 50 minuti e che verrà proiettato per tutta la durata della mostra, prodotto da Amedeo Porro arte moderna e contemporanea in collaborazione con Ben Brown Fine Arts di Londra, per la regia di Michele Rho.
Il video ci fa percorrere le sale della mostra Fontana Scultore, attualmente in programmazione a Mantova, in compagnia di Nini Laurini Ardemagni (Presidente della Fondazione Lucio Fontana), Enrico Crispolti (Critico di riferimento e curatore delle due edizioni del Catalogo ragionato di Lucio Fontana), Filippo Trevisani (Soprintendente di Mantova e curatore della mostra) e Paolo Campiglio (curatore di diverse importanti mostre di Lucio Fontana)
Ecco che ci accompagnano quindi attraverso le stanze dove sono esposte alcune tra le più note e straordinarie sculture eseguite dall’artista.
Una lunga chiacchierata fatta di interventi critici, ricordi curiosi, citazioni alla volte frivole sulla vita di Fontana, ma con un occhio sempre teso a ricercare nelle sue opere una origine, una traccia o un riferimento nella storia dell’arte che alla volte nessuno riesce di trovare.
Il video ha un finale suggestivo ripreso nella buia sala dell’Ambiente nero, illuminata solamente dalla luce dalla lampada di wood che Fontana allestì (1949) alla Galleria del Naviglio di Milano e che è stata felicemente ricostruita in una “grotta” sotto le fondamenta del Castello di Mantova.
La mostra si apre con una scultura del 1937, Vasetto con fiore, eseguita durante la sua permanenza a Sévrés, in Francia.
Durante il suo primo soggiorno a Milano, vista svanire la possibilità di una mostra organizzata alla Galleria del Milione e avvicinandosi proprio in quell’anno la prospettiva di partecipazione alla grande Esposizione Universale di Parigi del 1937, l’artista si trasferì a Parigi dalla seconda metà di luglio alla fine di novembre di quell’anno dove riuscì ad approdare nel settembre alle Manufactures de Sèvres, esponendo poi la propria produzione nella capitale francese.
Prima presso la galleria Jeanne Bucher Myrbor e poi alla Galleria Zack.
Si hanno pochissime notizie sulla produzione di Fontana di questo periodo: rari pezzi superstiti e vaghe testimonianze fotografiche. L’opera, tra le rare identificate come effettivamente realizzate a Sèvres, è parte di una serie di “vasi con fiore” o “nature morte” dal medesimo impianto frontale, di medie o piccole dimensioni.
Troviamo poi le splendide figure di Arlecchino e Colombina, due ceramiche policrome del 1948 che misurano 55 x 29,5x29 cm. ciascuna.
Il 24 luglio 1947 aveva debuttato al Piccolo Teatro di Milano l’Arlecchino servitore dei due padroni di Carlo Goldoni con la regia di Giorgio Strehler. La scattante silouhette del protagonista colpì evidentemente l’immaginazione fontaniana, che venne chiamato nel 1948 a intervenire nella decorazione di un nuovo cinema dedicato proprio a quella maschera della Commedia dell’Arte, lI Cinema Arlecchino appunto (1948, architetti Roberto Menghi e Mario Righini), diede vita a una grande scultura a mosaico, sospesa al soffitto dell’atrio: una grande plastica a mosaico che se pareva riferirsi alle fotografie più divulgate della maschera veneziana, assumeva però in questa circostanza le fattezze di un corpo luminoso emergente dallo spazio.
La coppia Arlecchino e Colombina (1948) è parte della medesima genealogia di maschere della Commedia dell’arte in ceramica che lui produsse in quel periodo: le braccia e le gambe divaricate, una gestualità teatrale, le mani ad artiglio che annaspano, pochi elementi plastici a descrivere un costume largo, sfrangiato.
In questi esempi di un barocchismo esagerato, prevale un tono innaturale violaceo dominante, di straordinaria suggestione, i viola riflessati a cui si sovrappongono le profonde gocce di verde o blu elettrico paiono l’allusione a un effetto sidereo.
Bellissima la scultura dal titolo Ritratto di fanciulla (busto di fanciulla) del 1952 – 1953, una ceramica smaltata e colorata: bianco, azzurro e nero di cm. 38 x 41 x 31.
Sconosciuto è ancora il nome della fanciulla immortalata in questo vivace ritratto proveniente da una collezione privata di Savona, opera realizzata ad Albissola, come testimoniano i marchi del ceramista Bartolomeo Tortarolo.
Nel primo dopoguerra, la ritrattistica, anche su commissione, è praticata con maggiore consapevolezza dall’artista, nella tecnica astratta della scultura a mosaico - celebre è il Ritratto di Teresita (1940)- o, soprattutto, nella ceramica, materia più congeniale a questo fine e tale da arricchire l’immagine in senso barocco, poiché nell’effige del volto egli era in grado di trasferire l’immediatezza del segno, pur in una colorazione spesso monocroma. Questo Ritratto di fanciulla, è segno di un temporaneo cambiamento di rotta, non più caratterizzato dall’uso dell’oro o di volute barocche: qui Fontana è più essenziale, nel bianco accecante della ceramica, il segno inciso è profondo come un “taglio” .
In mostra troviamo inoltre una delle rarissime tavolette in terracotta “Concetto spaziale”, 1954 buchi e graffito su terracotta colorata a freddo, bianco e nero, cm 25 x 31.
La produzione di “sculture spaziali”, tavolette in terracotta, appena sporcate di gocce di colore a freddo e sempre forate, di forma per lo più rettangolare, risale ai primi anni Cinquanta, ma si intensifica proprio nel 1954. E’ probabile che la serie di Concetti spaziali su tavolette in ceramica realizzate in quell’anno, solo una trentina di pezzi, sia proprio da porre in relazione all’incontro internazionale, prima e dopo quell’esperienza, e all’urgenza di una partecipazione al clima d’avanguardia con una ipotesi che si allinea alla contemporanea produzione dei “concetti spaziali” forati su tela, approfondendola.
Vengono poi esposti una serie di Vasi, con buchi, tagli, colorati di dimensioni differenti, tutti eseguiti tra il 1957 e il 1959.
In questi anni l’artista inaugura la mostra personale alla Galleria del Naviglio in cui presenta i “Barocchi”, ovvero “concetti spaziali” su tela caratterizzati dai contrasti di gialli e neri, da segni di spessa materia pittorica, stesi su un fondo scuro insieme ad alcune ceramiche che suggerirono a Guido Ballo la riflessione : “nelle sculture a gran fuoco Fontana è sempre uno scultore ceramista”. Ma è anche il periodo dell’invenzione dei “gessi”, “concetti spaziali” su tela caratterizzati dall’impiego dei pastelli gessosi, detti anche scherzosamente i “muri”, per il carattere quasi monocromo e cupo degli sfondi e delle macchie.
Appare chiaro come nell’immaginazione fontaniana non ci sia soluzione di continuità tra le ricerche su tela e le forme nuove in ceramica, qui caratterizzate da un nero “opaco” e da file di perforazioni orizzontali sempre più regolari, proprio come nelle cupe opere su tela dello stesso periodo, espressione di un ritorno all’essenzialità dopo il lungo periodo di enfasi barocca.
Della svolta dei Tagli alla fine degli anni Cinquanta, formula decisiva nella produzione dell’artista, vi è una calzante definizione in una lettera a Mario Bardini del 21 febbraio 1959: “ o sono un "santo" o sono un "pazzo" !!! Ma forse sono un santo, ho sopportato troppe angherie che a quest'ora dovrei essere in un manicomio, invece queste "Attese" mi danno la pace !!! Ecco il senso di questa nuova sperimentazione che Fontana attua dal 1958, prima su tele colorate con aniline chiamati ‘inchiostri’; in seguito, invece, già nel corso del 1959 la tela colorata, prima a bande, in alcuni casi con fasce di colore acido, stridente, diviene sempre più dominata dal monocromo, in uno spazio azzerato: contemporaneamente nasce il taglio unico su fondo bianco, che rappresenta una ulteriore, radicale maturazione.
In mostra troviamo quindi tre testimonianze di questo passaggio, tre terracotte che per datazione (1959) fanno ben capire quanto fosse più sentita e immediata la realizzazione di questi “tagli” sul supporto a lui più vicino e caro: la plasmabile terracotta.
Una con fondo monocromo chiaro con un taglio centrale, un vaso di colore bruno con quattro tagli e due Nature, piccole terrecotte monofacciali di forme bivalve.
Curiosità vuole che proprio nel 1959, epoca in cui sono ripetuti i tentativi di Fontana di trasportare su tela il taglio (prima su tele spesse, senza garze nere di sfondo, poi su tele più fini, ma con tagli sempre e comunque un po’ sgraziati, che evidenziano il forte sperimentalismo) queste gestualità eseguite su terracotta gli riescono d’istinto già in modo compiuto.
Paragonabili quindi, per eleganza, ai tagli che eseguirà su tela negli anni successivi al 1960.
Chiude la mostra un gruppo di tre sculture in metallo: due nature-multipli, celebri anche ai profani di Fontana (le due bocce dorate una con taglio, l’altra con fori) e due Pillole, due sperimentazioni spaziali della fine degli anni sessanta.
16
dicembre 2007
Lucio Fontana – 16 sculture 1937- 1967
Dal 16 dicembre 2007 al 28 febbraio 2008
arte contemporanea
Location
AMEDEO PORRO
Milano, Corso Monforte, 23, (Milano)
Milano, Corso Monforte, 23, (Milano)
Orario di apertura
mar-sab 10.30-14.30 e 15.30 -19.30
Editore
SILVANA EDITORIALE
Autore
Curatore