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Lucio Spinozzi – Permanenza delle metamorfosi
La metamorfosi dell’arte di Lucio è compresa nella sua stessa estetica pittorica : una particolare fotosensibilità che si trasfigura continuamente nel passaggio dalla luce all’ombra e dall’ombra alla luce
Comunicato stampa
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La metamorfosi dell’arte di Lucio è compresa nella sua stessa estetica pittorica : una particolare fotosensibilità che si trasfigura continuamente nel passaggio dalla luce all’ombra e dall’ombra alla luce. Sia che i colori del cielo o della laguna, le tinte della sfera terracquea lascino intuire figure volti espressioni a tratti inquietanti; sia che le fluorescenze accendano antropomorfe presenze improvvise sotto l’onda della Wood light ; sia quando dal cosmo oscuro, nero assoluto o blu profondo traspaiono sciabolate luminose sotto forma di venti carichi di polvere argentea, dalle quali emergono riflessi dorati, incantevoli tracce di esterni/interni, paesaggi stellari o soli cruciali.
Nelle sue fotometamorfosi la sensibilità estetica di Lucio ha consapevolmente assimilato e trasceso la stessa lezione di Vedova, come tensione verso la percezione della profondità, « necessità di far crescere le antenne, di coltivare il radar interiore ».
Le parole e le performance del maestro apprese nelle aule dell’accademia non rivelano solo la nota contaminazione tra arte e vita. La via verso le inaudite finestre stellari che passa per l’aprirsi allo sguardo, proviene dallo stesso corpo d’artista. Perché lo sguardo/corpo possa liberarsi dei pesi che lo affliggono e investigare mutevoli forme naturali o umani artefatti, è necessaria quella cura, quella responsabilità quotidiana di interiore pulizia, che è prepara-azione.
Ed in questa permanenza si muove il corpo dell’artista, cammina, un passo dopo l’altro, adattandosi ai mutevoli contesti, trascende verso geometamorfici raduni: si riunisce ai ritmi dei Magiciens de la Terre.
Da Venezia si trova così a percorrere per oltre un decennio molta parte della stessa geografia di James Lee Byars, il quale riconosce in Lucio non solo una propria consonanza con la concezione di ubiquità estetica, una stessa sensibilità per il segno icastico, per i materiali, e le tecniche alchemiche – che inviterebbero Bruno Latour a un viaggio solo per incontrarlo -, ma anche le diverse scale dell’opera-azione, che sanno scendere fino alla estrema portabilità, genesi di miniature morfotiche, metallurgiche microsculture in oro.
È qui che il corpo si ferma – permanenza - e l’occhio profondo guida la mano sapiente. Intanto Lucio ascolta la radio o suoni lontani. Ora produce e riproduce fonometamorfosi: apparenti malapropismi, che trascendono i jeux de mots per farsi ne(ur)ologismi. Una pratica che in Lucio risale almeno ai tempi dell’utile futilismo, dilettevole movimento propedeutico a molteplici e ubiqui simposi, trasformazione linguistica degli assemblaggi di quegli « oggetti non funzionali » che riempiono lo studio dell’artista e che Francesco Orlando ha rinvenuto nell’intera storia letteraria dell’Occidente, e specialmente nell’era borghese, come linea di difesa/critica sociale dell’artista.
L’occasione fa l’uomo archeologo del caos e Alan Jones, a lungo ospite dello studio-laboratorio di Lucio, osservandone la cura per la patina, la muffa e la ruggine aveva giustamente compreso la dimensione metamorfica della simbiosi di organico e minerale come indagine sulla temporalità, esperimento sulla temporaneità: « L'artista invecchia le sue opere … opere (che) funzionano come orologi organici, per autenticare: per misurare il passaggio del tempo ».
Pittura performance scultura miniatura microscultura portatile in oro, la ricerca di una verità ineludibile nel caleidoscopico gioco della finzione dell’opera - attraverso il « ritrovamento » su un oggetto o materiale toccato dall’uomo, della traccia di un processo naturale osservato con disincanto - genera il nuovo incantesimo.
E quella linea di un’orizzonte ideale dei dipinti di Lucio che segna e si confonde con quello di una laguna trasfigurata è come il rassicurante ritorno di un aereo in assetto, che il pilota acrobatico compie dopo un volo capovolto, dove la terra e il cielo si sono più volte rovesciati a vicenda (ma per lo sguardo/corpo del pilota volare a testa in giù fa lo stesso).
Sorvolando ora questa linea ritrovata, appaiono all’improvviso - lontano dai picchi di lacerazioni violente - armonie naturali che a volte incorporano messaggi inquietanti. Risalgono attimi di silenzio fissati, ricerca di memoria, poesia che emerge dalle pieghe di un legno, dalla corrosione del tempo, dai segni sull’acqua, come un ricercare quella microarmonia della forma che comprende il senso del tempo, della natura, nella pluralità dei supporti e dei materiali, la memoria dell’incidente occorso, l’esposizione agli elementi, la lenta trasformazione, il decadere, la permanenza delle metamorfosi della materia.
LUCA MUSCARÁ
NOTA BIOGRAFICA
Lucio Spinozzi è nato a Venezia nel 1957 e si è laureato all'Accademia di Belle Arti nel 1988 con una tesi su James Lee Byars, con il quale ha partecipato nel 1989 alla mostra "Les Magiciens de la Terre" al Centre Georges Pompidou di Parigi. Riconosciuto per la sua attività orafa, la sua pittura, scultura e i suoi interventi avanguardisti, ha esposto a Venezia, Mestre, Milano, Roma, New York, San Francisco e altrove.
Nelle sue fotometamorfosi la sensibilità estetica di Lucio ha consapevolmente assimilato e trasceso la stessa lezione di Vedova, come tensione verso la percezione della profondità, « necessità di far crescere le antenne, di coltivare il radar interiore ».
Le parole e le performance del maestro apprese nelle aule dell’accademia non rivelano solo la nota contaminazione tra arte e vita. La via verso le inaudite finestre stellari che passa per l’aprirsi allo sguardo, proviene dallo stesso corpo d’artista. Perché lo sguardo/corpo possa liberarsi dei pesi che lo affliggono e investigare mutevoli forme naturali o umani artefatti, è necessaria quella cura, quella responsabilità quotidiana di interiore pulizia, che è prepara-azione.
Ed in questa permanenza si muove il corpo dell’artista, cammina, un passo dopo l’altro, adattandosi ai mutevoli contesti, trascende verso geometamorfici raduni: si riunisce ai ritmi dei Magiciens de la Terre.
Da Venezia si trova così a percorrere per oltre un decennio molta parte della stessa geografia di James Lee Byars, il quale riconosce in Lucio non solo una propria consonanza con la concezione di ubiquità estetica, una stessa sensibilità per il segno icastico, per i materiali, e le tecniche alchemiche – che inviterebbero Bruno Latour a un viaggio solo per incontrarlo -, ma anche le diverse scale dell’opera-azione, che sanno scendere fino alla estrema portabilità, genesi di miniature morfotiche, metallurgiche microsculture in oro.
È qui che il corpo si ferma – permanenza - e l’occhio profondo guida la mano sapiente. Intanto Lucio ascolta la radio o suoni lontani. Ora produce e riproduce fonometamorfosi: apparenti malapropismi, che trascendono i jeux de mots per farsi ne(ur)ologismi. Una pratica che in Lucio risale almeno ai tempi dell’utile futilismo, dilettevole movimento propedeutico a molteplici e ubiqui simposi, trasformazione linguistica degli assemblaggi di quegli « oggetti non funzionali » che riempiono lo studio dell’artista e che Francesco Orlando ha rinvenuto nell’intera storia letteraria dell’Occidente, e specialmente nell’era borghese, come linea di difesa/critica sociale dell’artista.
L’occasione fa l’uomo archeologo del caos e Alan Jones, a lungo ospite dello studio-laboratorio di Lucio, osservandone la cura per la patina, la muffa e la ruggine aveva giustamente compreso la dimensione metamorfica della simbiosi di organico e minerale come indagine sulla temporalità, esperimento sulla temporaneità: « L'artista invecchia le sue opere … opere (che) funzionano come orologi organici, per autenticare: per misurare il passaggio del tempo ».
Pittura performance scultura miniatura microscultura portatile in oro, la ricerca di una verità ineludibile nel caleidoscopico gioco della finzione dell’opera - attraverso il « ritrovamento » su un oggetto o materiale toccato dall’uomo, della traccia di un processo naturale osservato con disincanto - genera il nuovo incantesimo.
E quella linea di un’orizzonte ideale dei dipinti di Lucio che segna e si confonde con quello di una laguna trasfigurata è come il rassicurante ritorno di un aereo in assetto, che il pilota acrobatico compie dopo un volo capovolto, dove la terra e il cielo si sono più volte rovesciati a vicenda (ma per lo sguardo/corpo del pilota volare a testa in giù fa lo stesso).
Sorvolando ora questa linea ritrovata, appaiono all’improvviso - lontano dai picchi di lacerazioni violente - armonie naturali che a volte incorporano messaggi inquietanti. Risalgono attimi di silenzio fissati, ricerca di memoria, poesia che emerge dalle pieghe di un legno, dalla corrosione del tempo, dai segni sull’acqua, come un ricercare quella microarmonia della forma che comprende il senso del tempo, della natura, nella pluralità dei supporti e dei materiali, la memoria dell’incidente occorso, l’esposizione agli elementi, la lenta trasformazione, il decadere, la permanenza delle metamorfosi della materia.
LUCA MUSCARÁ
NOTA BIOGRAFICA
Lucio Spinozzi è nato a Venezia nel 1957 e si è laureato all'Accademia di Belle Arti nel 1988 con una tesi su James Lee Byars, con il quale ha partecipato nel 1989 alla mostra "Les Magiciens de la Terre" al Centre Georges Pompidou di Parigi. Riconosciuto per la sua attività orafa, la sua pittura, scultura e i suoi interventi avanguardisti, ha esposto a Venezia, Mestre, Milano, Roma, New York, San Francisco e altrove.
05
maggio 2006
Lucio Spinozzi – Permanenza delle metamorfosi
Dal 05 al 24 maggio 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA MICHELA RIZZO PROJECT ROOM
Venezia, Calle Degli Albanesi, 4254, (Venezia)
Venezia, Calle Degli Albanesi, 4254, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a sabato 16.30 – 19.30
Martedì 10.00 12.30 e su appuntamento
Vernissage
5 Maggio 2006, ore 18.30
Autore