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Lucio Trizzino – Strike
L’antologica, a cura di Niccolò Lucarelli, condensa il meglio di tre significativi progetti di Trizzino centrati sull’umanità contemporanea: “Sciopero”, “Ansietà”, “Luogo di luoghi comuni”.
Comunicato stampa
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Lucio Trizzino, padre siciliano e madre aretina, vive da tempo a Firenze. Nasce professionalmente come architetto restauratore di edifici monumentali ed ha lavorato, fra gli altri, ai templi di Segesta e Agrigento, alla Cattedrale di Monreale e in vari Parchi Archeologici italiani. Per molti anni ha usato la fotografia come mezzo professionale d’indagine e documentazione dell’architettura e del territorio storico, ma da un paio di decenni questa seconda “professione” prediletta è divenuta un interesse esclusivo rivolto in modo preminente alla comprensione delle passioni umane.
«È un modo per pagare il debito che ho nei confronti dell’umanità», dice Trizzino con sincerità venata di sottile ironia. «Perché quando fotografavo da architetto e qualcuno si parava dinanzi al mio obiettivo gli chiedevo se cortesemente potesse togliersi, perché mi dava noia; o, peggio, lo strumentalizzavo dicendo “può spostarsi?”, perché magari mi era necessaria una figura umana da utilizzare come scala per l’architettura. Oggi fotografo solo persone. Perché cerco di capire me stesso nelle loro facce».
Dal 2008 ad oggi, con sette diversi progetti fotografici (i volumi di quattro di essi saranno disponibili a Seravezza), Trizzino ha dipinto un grande affresco della realtà contemporanea, umana e artistica. Tre di questi sono ricompresi in STRIKE.
“Sciopero”, realizzato nell’ottobre 2009 e nel marzo 2010 in occasione di due manifestazioni di piazza dei metalmeccanici a Firenze, mette a confronto il passato e il presente documentando come gli scioperi del terzo Millennio siano ben diversi da quelli degli anni Sessanta e Settanta e come l’entusiasmo e la fiducia in certi ideali siano venuti meno. Il contrasto tra vecchi e giovani militanti è messo in luce con un intenso lavoro di documentazione socio-psicologica, indugiando sugli sguardi e le espressioni dei partecipanti, sullo sfondo di una piazza Santissima Annunziata di folgorante bellezza rinascimentale e un’armonia che il tempo presente sembra aver perduto.
In “Ansietà” Trizzino documenta l’insicurezza che domina le nostre esperienze – sia essa economica, affettiva o personale – raccontando situazioni sospese, in cui il “prima” o il “dopo” sfumano in un “adesso” precario, gravido d’innumerevoli interrogativi. Un’indagine sociale, anche in questo caso, caratterizzata però da una diversa grammatica estetica, fatta di contrapposizioni nette: la luce e l’ombra; il pieno e il vuoto; l’antico e il moderno.
“Luogo di luoghi comuni” racconta infine i diseredati dell’Arco di San Pier Maggiore, una zona centralissima di Firenze che fino a pochi anni fa era paradossalmente considerata ai margini della città, per il fatto di essere frequentata da persone “non convenzionali”. Con la sua magistrale sensibilità e dando a quegli uomini e a quelle donne la possibilità di associare un pensiero alle foto che li riguardano singolarmente, Trizzino dimostra invece che essi sono molto più di una zona grigia in preda alla tossicodipendenza e al degrado, ma esistenze che avrebbero potuto dare ben altro contributo alla società, se non fossero state fermate dalle brutali circostanze della vita. Un reportage di stampo antropologico in cui la fotografia di Trizzino arriva a descrivere non più le forme ma le anime stesse dei protagonisti.
«Cerco di interpretare l’animo umano e sono convinto che non sia necessario andare troppo lontano per trovare spunti d’interesse», dice ancora l’autore. «E nemmeno mi pongo il problema di scattare belle foto, perché ritengo anzi che indulgere troppo nell’estetica porti a tradire la realtà. Scatto d’istinto; e ci vuole tempo perché le mie foto arrivino a piacermi. Di solito succede a due o tre anni di distanza dallo scatto, influenzato anche da ciò che gli altri vedono nelle mie foto, che spesso non è quello che vedevo io. Forse è questa la forza più grande della fotografia: riuscire a parlare a ognuno in modo diverso».
«Si è scelto d’intitolare STRIKE questa mostra a tratti forse scomoda», spiega il curatore Niccolò Lucarelli «sia per il diretto richiamo a uno dei suoi capitoli (in lingua inglese strike significa “sciopero”) sia perché, fra i suoi molteplici significati, questo termine anglosassone dall’aspra onomatopeica, ha anche quelli di “colpire”, “sorprendere”, “avviare una conversazione”. Le immagini colpiscono l’osservatore con la loro forza umana e concettuale, lo sorprendono per l’arditezza dell’estetica e il gioco delle prospettive, e infine lo coinvolgono in un dialogo dai toni ora gravi, ora amaramente ironici. Seravezza è una sorta di chiusura del cerchio per Trizzino, stante la vicinanza della sua poetica fotografica con la narrativa di Enrico Pea, nato proprio qui. Al pari dello scrittore versiliese, anche Trizzino riveste la realtà visibile di nuovi significati e possibilità di lettura, ne scandaglia le sofferenze e gli smarrimenti, senza ergersi a giudice di niente e nessuno, e lasciando invece intuire una profonda comprensione per le debolezze e le contraddizioni dell’essere umano».
Il direttore artistico di Seravezza Fotografia Ivo Balderi saluta con grande soddisfazione la presenza di Lucio Trizzino alla rassegna. «Dopo l’esposizione “Il Dono” di Giorgia Fiorio, visitabile a Palazzo Mediceo fino al 17 aprile, e quella di Ken Gerhardt alle Scuderie, accogliamo adesso Lucio Trizzino a chiusura del ciclo dedicato ai fotografi professionalmente più maturi», dichiara. «Sono entusiasta che Trizzino abbia accettato di essere ospite a Seravezza Fotografia con i suoi scatti in bianco e nero a volte istintivi, a volte ben meditati. Un autore che riesce a comunicarci serenità anche affrontando temi scottanti del nostro mondo contemporaneo”.
«È un modo per pagare il debito che ho nei confronti dell’umanità», dice Trizzino con sincerità venata di sottile ironia. «Perché quando fotografavo da architetto e qualcuno si parava dinanzi al mio obiettivo gli chiedevo se cortesemente potesse togliersi, perché mi dava noia; o, peggio, lo strumentalizzavo dicendo “può spostarsi?”, perché magari mi era necessaria una figura umana da utilizzare come scala per l’architettura. Oggi fotografo solo persone. Perché cerco di capire me stesso nelle loro facce».
Dal 2008 ad oggi, con sette diversi progetti fotografici (i volumi di quattro di essi saranno disponibili a Seravezza), Trizzino ha dipinto un grande affresco della realtà contemporanea, umana e artistica. Tre di questi sono ricompresi in STRIKE.
“Sciopero”, realizzato nell’ottobre 2009 e nel marzo 2010 in occasione di due manifestazioni di piazza dei metalmeccanici a Firenze, mette a confronto il passato e il presente documentando come gli scioperi del terzo Millennio siano ben diversi da quelli degli anni Sessanta e Settanta e come l’entusiasmo e la fiducia in certi ideali siano venuti meno. Il contrasto tra vecchi e giovani militanti è messo in luce con un intenso lavoro di documentazione socio-psicologica, indugiando sugli sguardi e le espressioni dei partecipanti, sullo sfondo di una piazza Santissima Annunziata di folgorante bellezza rinascimentale e un’armonia che il tempo presente sembra aver perduto.
In “Ansietà” Trizzino documenta l’insicurezza che domina le nostre esperienze – sia essa economica, affettiva o personale – raccontando situazioni sospese, in cui il “prima” o il “dopo” sfumano in un “adesso” precario, gravido d’innumerevoli interrogativi. Un’indagine sociale, anche in questo caso, caratterizzata però da una diversa grammatica estetica, fatta di contrapposizioni nette: la luce e l’ombra; il pieno e il vuoto; l’antico e il moderno.
“Luogo di luoghi comuni” racconta infine i diseredati dell’Arco di San Pier Maggiore, una zona centralissima di Firenze che fino a pochi anni fa era paradossalmente considerata ai margini della città, per il fatto di essere frequentata da persone “non convenzionali”. Con la sua magistrale sensibilità e dando a quegli uomini e a quelle donne la possibilità di associare un pensiero alle foto che li riguardano singolarmente, Trizzino dimostra invece che essi sono molto più di una zona grigia in preda alla tossicodipendenza e al degrado, ma esistenze che avrebbero potuto dare ben altro contributo alla società, se non fossero state fermate dalle brutali circostanze della vita. Un reportage di stampo antropologico in cui la fotografia di Trizzino arriva a descrivere non più le forme ma le anime stesse dei protagonisti.
«Cerco di interpretare l’animo umano e sono convinto che non sia necessario andare troppo lontano per trovare spunti d’interesse», dice ancora l’autore. «E nemmeno mi pongo il problema di scattare belle foto, perché ritengo anzi che indulgere troppo nell’estetica porti a tradire la realtà. Scatto d’istinto; e ci vuole tempo perché le mie foto arrivino a piacermi. Di solito succede a due o tre anni di distanza dallo scatto, influenzato anche da ciò che gli altri vedono nelle mie foto, che spesso non è quello che vedevo io. Forse è questa la forza più grande della fotografia: riuscire a parlare a ognuno in modo diverso».
«Si è scelto d’intitolare STRIKE questa mostra a tratti forse scomoda», spiega il curatore Niccolò Lucarelli «sia per il diretto richiamo a uno dei suoi capitoli (in lingua inglese strike significa “sciopero”) sia perché, fra i suoi molteplici significati, questo termine anglosassone dall’aspra onomatopeica, ha anche quelli di “colpire”, “sorprendere”, “avviare una conversazione”. Le immagini colpiscono l’osservatore con la loro forza umana e concettuale, lo sorprendono per l’arditezza dell’estetica e il gioco delle prospettive, e infine lo coinvolgono in un dialogo dai toni ora gravi, ora amaramente ironici. Seravezza è una sorta di chiusura del cerchio per Trizzino, stante la vicinanza della sua poetica fotografica con la narrativa di Enrico Pea, nato proprio qui. Al pari dello scrittore versiliese, anche Trizzino riveste la realtà visibile di nuovi significati e possibilità di lettura, ne scandaglia le sofferenze e gli smarrimenti, senza ergersi a giudice di niente e nessuno, e lasciando invece intuire una profonda comprensione per le debolezze e le contraddizioni dell’essere umano».
Il direttore artistico di Seravezza Fotografia Ivo Balderi saluta con grande soddisfazione la presenza di Lucio Trizzino alla rassegna. «Dopo l’esposizione “Il Dono” di Giorgia Fiorio, visitabile a Palazzo Mediceo fino al 17 aprile, e quella di Ken Gerhardt alle Scuderie, accogliamo adesso Lucio Trizzino a chiusura del ciclo dedicato ai fotografi professionalmente più maturi», dichiara. «Sono entusiasta che Trizzino abbia accettato di essere ospite a Seravezza Fotografia con i suoi scatti in bianco e nero a volte istintivi, a volte ben meditati. Un autore che riesce a comunicarci serenità anche affrontando temi scottanti del nostro mondo contemporaneo”.
31
marzo 2017
Lucio Trizzino – Strike
Dal 31 marzo al 17 aprile 2017
fotografia
Location
SCUDERIE GRANDUCALI
Seravezza, Viale L. Amadei, 230, (Lucca)
Seravezza, Viale L. Amadei, 230, (Lucca)
Biglietti
intero 6 euro; ridotto: 4 euro (i soci Fiaf hanno accesso alla mostra con biglietto ridotto)
Orario di apertura
dal giovedì al sabato, ore 15-19; domenica e festivi, ore 10-19
Vernissage
31 Marzo 2017, ore 17,30
Autore
Curatore