Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Lughia / Caterina Prato – Geografie di Superficie
Lughia e Caterina Prato, dando seguito al sodalizio avviato con Dissolvenze Incrociate, presentano opere realizzate con processi che mettono in relazione sempre più stretta le rispettive poetiche
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Vi sono mostre nelle quali sono le opere in sé a reclamare da subito attenzione tanto sul piano forma-le che concettuale. Ve ne sono altre per le quali, fermo restando una loro valenza formale e concet-tuale, si rende necessario rivolgere in primis l’interesse alla fase processuale, trattandosi di lavori chiamati a rispondere a caratteri concordati o frutto di percorsi esecutivi predeterminati.
A questa seconda categoria appartiene “Geografie di superficie”, mostra progettuale nata dal sodali-zio di Lughia e Caterina Prato, artiste che hanno recentemente vissuto un’esperienza comune realiz-zando un’opera in quattro tavole rifacentesi al meccanismo della “dissolvenza incrociata”, mutuato dal mondo del cinema. Due tavole prodotte dall’una e altrettante dall’altra. Poi lo scambio delle due centrali sulle quali tornare ad intervenire con i rispettivi caratteri. Un’opera che nella sequenza delle quattro tavole vede i connotati delle due artiste incontrarsi e dissolversi gli uni in quelli dell’altra. Un’esperienza illuminante e ricca di implicazioni che ha aperto prospettive e suscitato interrogativi.
Per dare soluzione ad uno di tali interrogativi nasce la nuova esposizione. A chi appartiene l’opera che, pena la sua totale perdita di senso, non merita di essere smembrata? Le due artiste decidono di ripetere l’esperienza realizzando nel medesimo formato un nuovo lavoro cosicché ciascuna resti poi proprietaria di un’opera nella sua interezza. Concordano inoltre di produrre ciascuna cinque nuovi lavori nel formato 70x70, di scambiarseli e intervenirvi sopra al punto di renderli opere proprie. Un processo che rifacendosi a “Sopraffactions”, esperienza avviata da Lughia nel 2009, conferisce alla mostra nella sua interezza un’articolazione che ci induce a soffermarci massimamente sull’importanza del confronto e dell’arricchimento che ne consegue. Questi gli aspetti di procedura concordata senza la cui conoscenza l’osservazione pura e semplice delle opere non sarebbe sufficien-te per apprezzarne a pieno il valore.
Svelati tali meccanismi ci si trova con “Geografie di Superficie” di fronte ad opere che nell’immediato ci inducono ad un’ennesima riflessione sull’arte. L’opera, da quanto possiamo osser-vare, risulta consistere non in una “creazione” emersa dal nulla, ma nel valore aggiunto conferito ad elementi divenuti oggetto di appropriazione. Con tale assunto autore dell’opera è colui che impos-sessandosi di ciò che lo circonda, sia essa appropriazione fisica o meramente sensoriale, dimostri ca-pacità di ben riorganizzare linguisticamente il tutto in forme permeate di quel sentire “unico” che contraddistingue ciascun artista.
Così resettate le nostre capacità percettive entriamo finalmente in rapporto con gli aspetti contenuti-stici di lavori che ci offrono visioni assolutamente lucide della complessità che governa l’universo nel suo inarrestabile divenire e, con essa, i destini di un’umanità che, in una condizione nomade e globalizzata, esprime il suo “disperato” bisogno di ancoraggio.
Con una sintonia a dir poco straordinaria Lughia e Caterina Prato indagano in autonomia le geogra-fie dei territori e delle menti offrendoci, frammiste a brandelli di vissuto personale, visioni spiazzan-ti, risultanti di ribaltamenti, sedimentazioni e slittamenti, di indeterminazioni, di aspirazioni confuse, di memorie millenarie in dissolvimento.
Benché opere ascrivibili all’una o all’altra, la speciale architettura d’insieme rende marginale, se non addirittura sminuente la preziosità del lavoro condiviso, una lettura separata dei caratteri delle singo-le artiste. Dalla commistione delle due sensibilità emergono infatti quelle verità di fondo che, mani-festate in forme e modalità diverse, e per certi versi complementari, ci appaiono ora chiare nella loro complessità.
In una visione generale non possiamo non sottolineare il coerente crescendo di coinvolgimento emo-tivo e razionale quando dalle geografie della prima dissolvenza le artiste migrano a quelle della se-conda.
Risulta evidente come le morbide, concrete colline della Val d’Orcia offuscate dal contingente ri-cordo del terremoto (evocato da una chiesa ripartita in frammenti) cedano il posto, nella seconda condivisione, all’ampio bacino del Mediterraneo dove si dà questa volta spazio, in una dimensione atemporale, alla coesistenza d’ogni cosa in un turbinio che vede le culture in dissolvimento e le terre in lento, inarrestabile movimento al pari di un’umanità destabilizzata, nomade e votata alla perdita dell’identità.
Senza riferimenti certi ogni parametro, prodotto dell’umana sapienza, perde di senso. Nord, sud, so-pra, sotto, prima e dopo risuonano parole vuote in un universo nel quale a nessuno più interessano nel mentre che la presunzione umana rivela tutta la sua miseria. Rappresentazione fantastica questa della solitudine e dello smarrimento che accompagna il nostro tempo.
A Lughia e Caterina Prato il merito di essersi rese interpreti, in rapporto ad un universo senza inizio e senza fine, di piccole geografie umane che ci appaiono adesso insignificanti, di superficie e destinate all’oblio.
Giuseppe Salerno
A questa seconda categoria appartiene “Geografie di superficie”, mostra progettuale nata dal sodali-zio di Lughia e Caterina Prato, artiste che hanno recentemente vissuto un’esperienza comune realiz-zando un’opera in quattro tavole rifacentesi al meccanismo della “dissolvenza incrociata”, mutuato dal mondo del cinema. Due tavole prodotte dall’una e altrettante dall’altra. Poi lo scambio delle due centrali sulle quali tornare ad intervenire con i rispettivi caratteri. Un’opera che nella sequenza delle quattro tavole vede i connotati delle due artiste incontrarsi e dissolversi gli uni in quelli dell’altra. Un’esperienza illuminante e ricca di implicazioni che ha aperto prospettive e suscitato interrogativi.
Per dare soluzione ad uno di tali interrogativi nasce la nuova esposizione. A chi appartiene l’opera che, pena la sua totale perdita di senso, non merita di essere smembrata? Le due artiste decidono di ripetere l’esperienza realizzando nel medesimo formato un nuovo lavoro cosicché ciascuna resti poi proprietaria di un’opera nella sua interezza. Concordano inoltre di produrre ciascuna cinque nuovi lavori nel formato 70x70, di scambiarseli e intervenirvi sopra al punto di renderli opere proprie. Un processo che rifacendosi a “Sopraffactions”, esperienza avviata da Lughia nel 2009, conferisce alla mostra nella sua interezza un’articolazione che ci induce a soffermarci massimamente sull’importanza del confronto e dell’arricchimento che ne consegue. Questi gli aspetti di procedura concordata senza la cui conoscenza l’osservazione pura e semplice delle opere non sarebbe sufficien-te per apprezzarne a pieno il valore.
Svelati tali meccanismi ci si trova con “Geografie di Superficie” di fronte ad opere che nell’immediato ci inducono ad un’ennesima riflessione sull’arte. L’opera, da quanto possiamo osser-vare, risulta consistere non in una “creazione” emersa dal nulla, ma nel valore aggiunto conferito ad elementi divenuti oggetto di appropriazione. Con tale assunto autore dell’opera è colui che impos-sessandosi di ciò che lo circonda, sia essa appropriazione fisica o meramente sensoriale, dimostri ca-pacità di ben riorganizzare linguisticamente il tutto in forme permeate di quel sentire “unico” che contraddistingue ciascun artista.
Così resettate le nostre capacità percettive entriamo finalmente in rapporto con gli aspetti contenuti-stici di lavori che ci offrono visioni assolutamente lucide della complessità che governa l’universo nel suo inarrestabile divenire e, con essa, i destini di un’umanità che, in una condizione nomade e globalizzata, esprime il suo “disperato” bisogno di ancoraggio.
Con una sintonia a dir poco straordinaria Lughia e Caterina Prato indagano in autonomia le geogra-fie dei territori e delle menti offrendoci, frammiste a brandelli di vissuto personale, visioni spiazzan-ti, risultanti di ribaltamenti, sedimentazioni e slittamenti, di indeterminazioni, di aspirazioni confuse, di memorie millenarie in dissolvimento.
Benché opere ascrivibili all’una o all’altra, la speciale architettura d’insieme rende marginale, se non addirittura sminuente la preziosità del lavoro condiviso, una lettura separata dei caratteri delle singo-le artiste. Dalla commistione delle due sensibilità emergono infatti quelle verità di fondo che, mani-festate in forme e modalità diverse, e per certi versi complementari, ci appaiono ora chiare nella loro complessità.
In una visione generale non possiamo non sottolineare il coerente crescendo di coinvolgimento emo-tivo e razionale quando dalle geografie della prima dissolvenza le artiste migrano a quelle della se-conda.
Risulta evidente come le morbide, concrete colline della Val d’Orcia offuscate dal contingente ri-cordo del terremoto (evocato da una chiesa ripartita in frammenti) cedano il posto, nella seconda condivisione, all’ampio bacino del Mediterraneo dove si dà questa volta spazio, in una dimensione atemporale, alla coesistenza d’ogni cosa in un turbinio che vede le culture in dissolvimento e le terre in lento, inarrestabile movimento al pari di un’umanità destabilizzata, nomade e votata alla perdita dell’identità.
Senza riferimenti certi ogni parametro, prodotto dell’umana sapienza, perde di senso. Nord, sud, so-pra, sotto, prima e dopo risuonano parole vuote in un universo nel quale a nessuno più interessano nel mentre che la presunzione umana rivela tutta la sua miseria. Rappresentazione fantastica questa della solitudine e dello smarrimento che accompagna il nostro tempo.
A Lughia e Caterina Prato il merito di essersi rese interpreti, in rapporto ad un universo senza inizio e senza fine, di piccole geografie umane che ci appaiono adesso insignificanti, di superficie e destinate all’oblio.
Giuseppe Salerno
10
novembre 2018
Lughia / Caterina Prato – Geografie di Superficie
Dal 10 novembre al 02 dicembre 2018
arte contemporanea
Location
MAM’S – MONDO ARTE MARCHE SASSOFERRATO – PALAZZO DEGLI SCALZI
Sassoferrato, Via Giuseppe Mazzini, (Ancona)
Sassoferrato, Via Giuseppe Mazzini, (Ancona)
Orario di apertura
sabato e domenica 15.30 - 18.30
Vernissage
10 Novembre 2018, h 17.00
Autore
Curatore