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Lughia – Storie di Donne
Lughia rende omaggio alle giovani fanciulle che determinarono il prosperare di economie che nei secoli hanno caratterizzato due importanti territori: quello di Fabriano, noto per la produzione della Carta, e quello di San Giustino, impegnato nella produzione del tabacco.
Comunicato stampa
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Un accostamento originale ed un racconto avvincente quello di Lughia che accende i riflettori sul sacrificio delle nostre nonne che hanno dato futuro alle nostre terre.
Milena Ganganelli Crispoltoni
Assessore alla Cultura del Comune di San Giustino
A Lughia va il merito di aver elevato ad Arte le vicende parallele di giovani fanciulle che, al di là dei confini dei nostri territori, hanno contribuito ad avviare quel processo di emancipazione femminile e rinnovamento sociale che ci ha traghettati nella modernità.
Ilaria Venanzoni
Assessore alla Cultura della Città di Fabriano
In Lughia c’è una dimensione costruttiva che ha a che fare con la bellezza delle forme, ma anche con la dimensione umana e con le argomentazioni che poggiano sul fatto sociale ed esprimono concretamente l’impegno intellettuale dell’artista………..Con le sue composizioni artistiche ha sublimato la figura delle cartare fabrianesi …..Nell’universo carta brillano, come stelle dotate di luce propria, anche le composizioni di Lughia che con la carta esprime la propria arte, il proprio pensiero, il proprio essere Donna.
Giancarlo Castagnari
Vice Presidente ISTOCARTA
Rappresentazioni rubate da antichi achivi fotografici, assumono con Lughia una dimensione pittorica e letteraria nuova, svincolata dal tempo ed impreziosita di segni che nella loro sussurrata indecifrabilità conferiscono pienezza all’operare silenzioso che a noi si mostra.
Giuseppe Salerno
critico e curatore della mostra
Lughia non rappresenta il soggetto, ma lo incarna, recupera la tecnica artigiana per lasciare il segno indelebile della sua sublimazione……Storie di donne non è più semplicemente una mostra, ma l’esperienza attraverso cui Lughia definisce la propria essenza, riqualificando antropologicamente una storia dimenticata e lasciando ai posteri una traccia su cui riflettere.
Andrea Baffoni
storico dell’arte e curatore della mostra
Lettera da una Ragazza del ‘68
Care amiche, care donne dell’Ottocento, sono una vostra figlia, mi riconoscete? Ho raccolto la vostra eredità e l’ho deposta nelle mani delle giovani nate nel Duemila, loro, ne sono sicura, veleggeranno nel futuro e non vi dimenticheranno mai. Sono una “Ragazza del ‘68”, anch’io, anche noi, lottammo per i Diritti delle Donne. Combattemmo e vincemmo sui temi dell’aborto, del divorzio, e altre tutele, anche se c’è ancora tanta strada da fare... Sono passati cinquant’anni da quei fuochi, da quegli ardori. Ci buttammo a capofitto nei collettivi a studiare la Storia dell’emancipazione femminile, non volevamo perdere neanche una vostra conquista. Noi sapevamo che le nostre madri e le nostre nonne avevano già imboccato la strada dell’autonomia: avevano “messo i pantaloni” e intrapreso i lavori maschili perché gli uomini erano sul fronte, ma prima ancora della Grande Guerra, prima ancora che arrivasse il Novecento con le sue orchestrine e la grande illusione del Cinema, che facevano le vostre sorelle?
Forse è proprio l’Ottocento il secolo rivoluzionario per la Donna. Alla fine del Settecento nell’Inghilterra operaia si scrive la prima dichiarazione sui Diritti delle Donne, nel 1832 nasce un giornale redatto solo da donne, tre anni dopo, arrivano le Suffragette, nel 1871 in Francia si fonda l’Unione per le Donne, il primo Sindacato femminile, qualche anno dopo, è la volta del Sindacato femminile italiano, a Varese. Certo, erano lotte delle Intellettuali, delle pochissime donne colte. Ma che succedeva nell’agricoltura (con le cestaie, le mondine, le spigolatrici, le raccoglitrici...) nell’artigianato operaio (con le cartare, le tabacchine, le tessili...) o nel commercio (le sarte, le pettinatrici, le cuoche...), un esercito senza tutele, al lavoro in casa e fuori, sempre a perdifiato, lungo tutta l’Italia plebea, senza istruzione, senza futuro. Solo fatica. Come le addette al tabacco, le tabacchine, con la schiena china dall’alba al tramonto. Eccole: interrano le piantine, tolgono le erbacce, annaffiano, curano queste enormi foglie a volte più grandi di loro, le tabacchine bambine. E poi, raccolgono e mettono al sole e poi via, intruppate negli stanzoni-lager a cardare, spianare, torchiare, con la caposquadra che urla non si beve, non si parla, mentre l’umidità spezza le ossa e le polveri intasano i polmoni. Schiave. Fino al 1935, a Tricase, in Puglia, quando cinque operaie del tabacco muoiono combattendo per i diritti e la salute in fabbrica. Le cose cambiano, pian piano, sulla pelle delle donne. Si accorciano gli orari, si piazzano delle ventole, non si prendono più le bambine. Dopo il Fascismo, il Sindacato si fa sentire e migliorano le condizioni del lavoro. A San Giustino, in Umbria, si allestisce un bel Museo del Tabacco, si scrivono libri, tesi, ricerche. Si annota che quel lavoro permise ai figli delle tabacchine di studiare, che in fondo fu un atto di indipendenza, fece crescere una coscienza sindacale, si pensò agli asili-nido, all’assistenza medica. Oggi l’Italia rimane ancora il primo produttore di tabacco, anche se la lavorazione è concentrata in poche regioni. Ma non sappiamo se l’uso dei pesticidi (dannosi per l’uomo, la donna e l’ambiente) è ancora massiccio, o se si sono allargate le oasi biologiche, come quella di Chiaravalle, nelle Marche.
Sento le proteste di tutte le altre donne di due secoli fa, e noi allora? Urlano le materassaie, le magliaie, le retare, che rammendavano le reti da pesca, o le lavandaie, le casare. Sì lo so che la storia piccola o grande è passata sulle vostre mani, così ferite, gonfie, artritiche, scorticate, e sulle vostre braccia sfibrate, distrutte dalla fatica. Ma sapete che anche nel nostro bel secolo virtuale, nel 2017, una donna, Paola Clemente, bracciante agricola è morta di fatica? Voglio chiudere questo omaggio alla donna lavoratrice con le cartare. Certo, anche loro non hanno preservato le loro mani, tra i geloni, le ferite, gli edemi, anche loro con i polmoni affaticati tra polvere e umidità. Ma da quello che ci risulta, è stato un lavoro meno devastante. C’erano le addette agli stracci, alla satinatura, alla cotonatura, impaccatura e c’era anche la figura straordinaria della filigranista. E già nel 1936, almeno a Fabriano, nelle Marche, erano andati avanti: era stata allestita la camera per l’allattamento, il refettorio e dei bellissimi asili-nido. E oggi, il Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano è uno dei Musei più visitati delle Marche.
Care amiche mie, due secoli sono volati, e anche in questo, dobbiamo continuare a combattere: sapete che in Italia ogni giorno un uomo uccide una donna? Chissà che cosa dobbiamo ancora espiare.
Andreina De Tomassi
scrittrice e giornalista
Milena Ganganelli Crispoltoni
Assessore alla Cultura del Comune di San Giustino
A Lughia va il merito di aver elevato ad Arte le vicende parallele di giovani fanciulle che, al di là dei confini dei nostri territori, hanno contribuito ad avviare quel processo di emancipazione femminile e rinnovamento sociale che ci ha traghettati nella modernità.
Ilaria Venanzoni
Assessore alla Cultura della Città di Fabriano
In Lughia c’è una dimensione costruttiva che ha a che fare con la bellezza delle forme, ma anche con la dimensione umana e con le argomentazioni che poggiano sul fatto sociale ed esprimono concretamente l’impegno intellettuale dell’artista………..Con le sue composizioni artistiche ha sublimato la figura delle cartare fabrianesi …..Nell’universo carta brillano, come stelle dotate di luce propria, anche le composizioni di Lughia che con la carta esprime la propria arte, il proprio pensiero, il proprio essere Donna.
Giancarlo Castagnari
Vice Presidente ISTOCARTA
Rappresentazioni rubate da antichi achivi fotografici, assumono con Lughia una dimensione pittorica e letteraria nuova, svincolata dal tempo ed impreziosita di segni che nella loro sussurrata indecifrabilità conferiscono pienezza all’operare silenzioso che a noi si mostra.
Giuseppe Salerno
critico e curatore della mostra
Lughia non rappresenta il soggetto, ma lo incarna, recupera la tecnica artigiana per lasciare il segno indelebile della sua sublimazione……Storie di donne non è più semplicemente una mostra, ma l’esperienza attraverso cui Lughia definisce la propria essenza, riqualificando antropologicamente una storia dimenticata e lasciando ai posteri una traccia su cui riflettere.
Andrea Baffoni
storico dell’arte e curatore della mostra
Lettera da una Ragazza del ‘68
Care amiche, care donne dell’Ottocento, sono una vostra figlia, mi riconoscete? Ho raccolto la vostra eredità e l’ho deposta nelle mani delle giovani nate nel Duemila, loro, ne sono sicura, veleggeranno nel futuro e non vi dimenticheranno mai. Sono una “Ragazza del ‘68”, anch’io, anche noi, lottammo per i Diritti delle Donne. Combattemmo e vincemmo sui temi dell’aborto, del divorzio, e altre tutele, anche se c’è ancora tanta strada da fare... Sono passati cinquant’anni da quei fuochi, da quegli ardori. Ci buttammo a capofitto nei collettivi a studiare la Storia dell’emancipazione femminile, non volevamo perdere neanche una vostra conquista. Noi sapevamo che le nostre madri e le nostre nonne avevano già imboccato la strada dell’autonomia: avevano “messo i pantaloni” e intrapreso i lavori maschili perché gli uomini erano sul fronte, ma prima ancora della Grande Guerra, prima ancora che arrivasse il Novecento con le sue orchestrine e la grande illusione del Cinema, che facevano le vostre sorelle?
Forse è proprio l’Ottocento il secolo rivoluzionario per la Donna. Alla fine del Settecento nell’Inghilterra operaia si scrive la prima dichiarazione sui Diritti delle Donne, nel 1832 nasce un giornale redatto solo da donne, tre anni dopo, arrivano le Suffragette, nel 1871 in Francia si fonda l’Unione per le Donne, il primo Sindacato femminile, qualche anno dopo, è la volta del Sindacato femminile italiano, a Varese. Certo, erano lotte delle Intellettuali, delle pochissime donne colte. Ma che succedeva nell’agricoltura (con le cestaie, le mondine, le spigolatrici, le raccoglitrici...) nell’artigianato operaio (con le cartare, le tabacchine, le tessili...) o nel commercio (le sarte, le pettinatrici, le cuoche...), un esercito senza tutele, al lavoro in casa e fuori, sempre a perdifiato, lungo tutta l’Italia plebea, senza istruzione, senza futuro. Solo fatica. Come le addette al tabacco, le tabacchine, con la schiena china dall’alba al tramonto. Eccole: interrano le piantine, tolgono le erbacce, annaffiano, curano queste enormi foglie a volte più grandi di loro, le tabacchine bambine. E poi, raccolgono e mettono al sole e poi via, intruppate negli stanzoni-lager a cardare, spianare, torchiare, con la caposquadra che urla non si beve, non si parla, mentre l’umidità spezza le ossa e le polveri intasano i polmoni. Schiave. Fino al 1935, a Tricase, in Puglia, quando cinque operaie del tabacco muoiono combattendo per i diritti e la salute in fabbrica. Le cose cambiano, pian piano, sulla pelle delle donne. Si accorciano gli orari, si piazzano delle ventole, non si prendono più le bambine. Dopo il Fascismo, il Sindacato si fa sentire e migliorano le condizioni del lavoro. A San Giustino, in Umbria, si allestisce un bel Museo del Tabacco, si scrivono libri, tesi, ricerche. Si annota che quel lavoro permise ai figli delle tabacchine di studiare, che in fondo fu un atto di indipendenza, fece crescere una coscienza sindacale, si pensò agli asili-nido, all’assistenza medica. Oggi l’Italia rimane ancora il primo produttore di tabacco, anche se la lavorazione è concentrata in poche regioni. Ma non sappiamo se l’uso dei pesticidi (dannosi per l’uomo, la donna e l’ambiente) è ancora massiccio, o se si sono allargate le oasi biologiche, come quella di Chiaravalle, nelle Marche.
Sento le proteste di tutte le altre donne di due secoli fa, e noi allora? Urlano le materassaie, le magliaie, le retare, che rammendavano le reti da pesca, o le lavandaie, le casare. Sì lo so che la storia piccola o grande è passata sulle vostre mani, così ferite, gonfie, artritiche, scorticate, e sulle vostre braccia sfibrate, distrutte dalla fatica. Ma sapete che anche nel nostro bel secolo virtuale, nel 2017, una donna, Paola Clemente, bracciante agricola è morta di fatica? Voglio chiudere questo omaggio alla donna lavoratrice con le cartare. Certo, anche loro non hanno preservato le loro mani, tra i geloni, le ferite, gli edemi, anche loro con i polmoni affaticati tra polvere e umidità. Ma da quello che ci risulta, è stato un lavoro meno devastante. C’erano le addette agli stracci, alla satinatura, alla cotonatura, impaccatura e c’era anche la figura straordinaria della filigranista. E già nel 1936, almeno a Fabriano, nelle Marche, erano andati avanti: era stata allestita la camera per l’allattamento, il refettorio e dei bellissimi asili-nido. E oggi, il Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano è uno dei Musei più visitati delle Marche.
Care amiche mie, due secoli sono volati, e anche in questo, dobbiamo continuare a combattere: sapete che in Italia ogni giorno un uomo uccide una donna? Chissà che cosa dobbiamo ancora espiare.
Andreina De Tomassi
scrittrice e giornalista
23
giugno 2018
Lughia – Storie di Donne
Dal 23 giugno al 26 agosto 2018
arte contemporanea
Location
VILLA GRAZIANI
San Giustino, Località Celalba, (Perugia)
San Giustino, Località Celalba, (Perugia)
Orario di apertura
sabato e domenica 10.30-12.30/15.30-18.30
Vernissage
23 Giugno 2018, h 18.00
Autore
Curatore