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Luigi Doni – Riverbero di terra
La retrospettiva del pittore Luigi Doni ospitata presso lo spazio espositivo RiElaborando di Arezzo vuole sintetizzare le tappe salienti di un percorso di ricerca oggi approdato ad esiti materici
Comunicato stampa
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La personale intitolata Riverbero di terra è il risultato del percorso intrapreso dal pittore Luigi Doni e vede in esposizione una decina di opere, tra interni e soggetti paesaggistici in cui la natura è colta matericamente con prospettive sia vicine che di più ampie vedute.
Sul finire degli anni ’70 Luigi Doni, frequenta lo studio e la pittura di Alberto Sughi a Cesena e di Gianfranco Ferroni a Milano, attingendo ma non adottando del tutto il loro modo di dipingere. In questo primo periodo ad ambientazioni esterne dove la natura è imperante (scogliere a picco sul mare, boschi, giardini sospesi) e l’uomo è considerato un essere minuto avvolto da ambienti arcadici, alterna interni di case semi-abbandonate, stanze vuote in cui spicca la presenza di pochi elementi (pianole, vasi poggiati su mensole, macchine da scrivere, tappeti su cui si adagiano eteree fanciulle). Franco Solmi riferendosi al Doni di quegli anni scrive: “una condizione moderna di straniamento e di solitudine che l’artista testimonia attraverso la quasi feroce apprensione dell’immagine”. Il tratto pittorico non è iperrealista sebbene sia proprio quello l’effetto percepito. La pennellata è ricca d’infinitesime sfumature, di attenzione alla luce che scopre e illumina gli angoli degli ambienti. A differenza della Metacosa di Ferroni, Doni riprende la realtà modellandola in base ad una propria intuizione. I colori non sono mai accesi, ma richiamano e raccolgono un’atmosfera intima, silenziosa. In questo si avvicina molto alla pittura nordica di Hammershoi in cui il calore domestico era illuminato da una luce esterna mai invadente bensì leggera, pacata, serotina.
Durante gli anni ’90, il Doni incentra la sua pittura raffigurando direttamente i volti delle persone, abbandonando lo sfondo degli ambienti e andando a ritrovare un contatto con le presenze umane che vivevano all’interno degli stessi.
Un ulteriore passaggio si può notare nella sua pittura attorno alla fine degli anni ’90: mentre inizialmente l’esterno era visto da ambienti domestici, da case, con un movimento che portava lo sguardo verso un fuori intravisto, l’ultimo periodo vede la sua pittura attenta a ritrarre gli esterni. L’attenzione è posta alla natura che accoglie i soggetti e diviene sempre più forte e presente fino a divenire soggetto principale. Grazie a una tecnica raffinata i paesaggi vengono ripresi in modo materico: montagne, boschi, rupi sono dipinti e arricchiti della natura stessa (soprattutto materiale di sottobosco). La ricerca è sempre la stessa: ritrarre l’ambiente come l’occhio la coglie. Ma in quest’ultima fase Doni cerca di avvicinarsi ancora di più con l’intenzione pare, di portare la realtà nella pittura. Non è più l’uomo a ritrarre ma è il pittore che plasma, crea la natura per abbandonarcisi dentro in maniera quasi fisica. L’esterno che inizialmente faceva da sfondo ad una pittura esistenzialista, viene ora colto nella sua massima potenzialità reale, veicolata dall’espressione che rimane comunque sempre pittorica.
Luigi Doni (1947, Palaia - Pi) frequenta maestri come Antonio Bueno, Alberto Sughi, Gianfranco Ferroni. Vince nel 1980 il Premio Lubiam. Fin dagli anni ’70 espone sia in Italia che all’estero. E’ scelto nel 2007 da Sgarbi nell’esposizione presso Palazzo Reale (Mi), come uno dei rappresentanti della nuova figurazione artistica dell’arte toscana.
Hanno scritto e si sono interessati alla sua opera tra gli altri Luigi Baldacci, Franco Solmi, Carlo Sisi, Edoardo Sanguineti, Alfonso Gatto, Andrea Bi Del Guercio, Tommaso Paloscia, Mario De Micheli, Maurizio Fagiolo dell’Arco.
Nell'ambito del periodo espositivo, negli ambienti della stessa galleria,il giorno mercoledì 18 maggio, alle ore 18,00, i relatori Daniela Meli e Fabio Gimignano parleranno sul tema "I gioielli nei dipinti del '900: tra analisi estetica e gemmologica"
Sul finire degli anni ’70 Luigi Doni, frequenta lo studio e la pittura di Alberto Sughi a Cesena e di Gianfranco Ferroni a Milano, attingendo ma non adottando del tutto il loro modo di dipingere. In questo primo periodo ad ambientazioni esterne dove la natura è imperante (scogliere a picco sul mare, boschi, giardini sospesi) e l’uomo è considerato un essere minuto avvolto da ambienti arcadici, alterna interni di case semi-abbandonate, stanze vuote in cui spicca la presenza di pochi elementi (pianole, vasi poggiati su mensole, macchine da scrivere, tappeti su cui si adagiano eteree fanciulle). Franco Solmi riferendosi al Doni di quegli anni scrive: “una condizione moderna di straniamento e di solitudine che l’artista testimonia attraverso la quasi feroce apprensione dell’immagine”. Il tratto pittorico non è iperrealista sebbene sia proprio quello l’effetto percepito. La pennellata è ricca d’infinitesime sfumature, di attenzione alla luce che scopre e illumina gli angoli degli ambienti. A differenza della Metacosa di Ferroni, Doni riprende la realtà modellandola in base ad una propria intuizione. I colori non sono mai accesi, ma richiamano e raccolgono un’atmosfera intima, silenziosa. In questo si avvicina molto alla pittura nordica di Hammershoi in cui il calore domestico era illuminato da una luce esterna mai invadente bensì leggera, pacata, serotina.
Durante gli anni ’90, il Doni incentra la sua pittura raffigurando direttamente i volti delle persone, abbandonando lo sfondo degli ambienti e andando a ritrovare un contatto con le presenze umane che vivevano all’interno degli stessi.
Un ulteriore passaggio si può notare nella sua pittura attorno alla fine degli anni ’90: mentre inizialmente l’esterno era visto da ambienti domestici, da case, con un movimento che portava lo sguardo verso un fuori intravisto, l’ultimo periodo vede la sua pittura attenta a ritrarre gli esterni. L’attenzione è posta alla natura che accoglie i soggetti e diviene sempre più forte e presente fino a divenire soggetto principale. Grazie a una tecnica raffinata i paesaggi vengono ripresi in modo materico: montagne, boschi, rupi sono dipinti e arricchiti della natura stessa (soprattutto materiale di sottobosco). La ricerca è sempre la stessa: ritrarre l’ambiente come l’occhio la coglie. Ma in quest’ultima fase Doni cerca di avvicinarsi ancora di più con l’intenzione pare, di portare la realtà nella pittura. Non è più l’uomo a ritrarre ma è il pittore che plasma, crea la natura per abbandonarcisi dentro in maniera quasi fisica. L’esterno che inizialmente faceva da sfondo ad una pittura esistenzialista, viene ora colto nella sua massima potenzialità reale, veicolata dall’espressione che rimane comunque sempre pittorica.
Luigi Doni (1947, Palaia - Pi) frequenta maestri come Antonio Bueno, Alberto Sughi, Gianfranco Ferroni. Vince nel 1980 il Premio Lubiam. Fin dagli anni ’70 espone sia in Italia che all’estero. E’ scelto nel 2007 da Sgarbi nell’esposizione presso Palazzo Reale (Mi), come uno dei rappresentanti della nuova figurazione artistica dell’arte toscana.
Hanno scritto e si sono interessati alla sua opera tra gli altri Luigi Baldacci, Franco Solmi, Carlo Sisi, Edoardo Sanguineti, Alfonso Gatto, Andrea Bi Del Guercio, Tommaso Paloscia, Mario De Micheli, Maurizio Fagiolo dell’Arco.
Nell'ambito del periodo espositivo, negli ambienti della stessa galleria,il giorno mercoledì 18 maggio, alle ore 18,00, i relatori Daniela Meli e Fabio Gimignano parleranno sul tema "I gioielli nei dipinti del '900: tra analisi estetica e gemmologica"
29
aprile 2011
Luigi Doni – Riverbero di terra
Dal 29 aprile al 20 maggio 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA RIELABORANDO
Arezzo, Via Guglielmo Oberdan, 30, (Arezzo)
Arezzo, Via Guglielmo Oberdan, 30, (Arezzo)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 17,00 - 19,45;
sabato ore 16,30 - 19,45;
prima domenica del mese (1 maggio) ore 15,30 - 19,45
Vernissage
29 Aprile 2011, ore 18,00
Autore
Curatore