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Luigi Frappi
Il riferimento di Frappi non è la natura ma le pittura. Se un suo collega d’impresa, Ubaldo Bartolini, mostrava di guardare come riferimento permanente a Claude Laurent, Frappi ha preferito esercitarsi su modelli meno profondi e meno intensamente spirituali……
Vittorio Sgarbi
Comunicato stampa
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I paesaggi del pensiero
Vittorio Sgarbi
Ho incontrato Luigi Frappi sulle strade di Bevagna molti anni fa e conoscevo l’opera e il nome attraverso le mostre di un gallerista alto e ambizioso, ma non spericolato, come Pio Monti. Paesaggi alberati senza nostalgia (della pittura) e senza malinconia (dello spirito). Paesaggi come sfondi teatrali, come scenografie, profondi nell’illusione ma senza finzione.
Il riferimento di Frappi non è la natura ma le pittura. Se un suo collega d’impresa, Ubaldo Bartolini, mostrava di guardare come riferimento permanente a Claude Laurent, Frappi ha preferito esercitarsi su modelli meno profondi e meno intensamente spirituali, più virtuosistici come Alessandro Magnasco e Francesco Peruzzini, di una pittura fresca con un segno veloce e con una vibrazione della superficie. Così quel giorno a Bevagna Frappi era contento di portarmi a vedere l’opera nella quale le sue predilezioni, le sue virtù meglio si realizzavano: il sipario del teatro Torti. Era felice di quella commessa pubblica ed era compiaciuto di aver trovato il luogo e la condizione più propizi per manifestare la sua ispirazione, la sua delizia per l’artigianato. E’ certo che se gli fosse consentito ( e in parte in altre, commissioni private, gli è stato consentito) egli sarebbe a suo perfetto agio nella decorazione di quelle che tra la fine del Settecento e i primi Ottocento soprattutto a Bologna si chiamavano “stanze paese”, vasti ambienti voltanti interamente dipinti con paesaggi da terra al soffitto per restituire la sensazione di stare dentro la natura. Naturalmente una nature arcadica, non luminosa, non abitata dagli dei, nelle quali le sensazioni primarie riproducono le emozioni petrarchesche di “chiare fresche e dolci acque”. La natura per Frappi non è misteriosa, non è ancora romantica, è quella delle feste barocche perché una natura educata senza mistero.
Nel corso degli anni, diversamente a quanto accade a molti artisti è cresciuto il mestiere ed è diminuita la presunzione letteraria. Sempre di più Frappi si compiace di estendere con la pittura i giardini del mondo e dipingerli mentre gli altri si prodigano a distruggerli. Fosse per lui il suo fratello maggiore, il ragazzo del via Gluck, sarebbe ancora felice nei campi e nei prati dove il cemento ha rubato spazi e vita, e non molto lontano da Bevagna, Frappi l’ha vissuto traumaticamente nella trasformazione della parte verde e ubertosa di Perugia bassa in quell’insolente ferro di cavallo che l’attanaglia fino a minacciare la visione della città antica. Il suo compito non è stato il dipingere la vita cittadina come negli sfondi di Giotto o nelle allegorie del buon governo del Lorenzetti come hanno fatto altri suoi coetanei (penso a Salvo o Di Stasio), ma il paesaggio perduto che le circondava, la campagna soprattutto umbra che intenerisce nei fondi del Perugino e dello Spagna, ecco: egli ha voluto essere pittore di sfondi per storie che non ci sono più. In questo egli è perfettamente contemporaneo. Le sue invenzioni, le sue ricreazioni della natura, appartengono a dopo la storia dove non accade più nulla dopo che l’uomo se n’è andato. Il racconto è finito, la storia è finita, la natura è la nostalgia di luoghi che un tempo furono abitati. Ci furono monaci e pellegrini nei quadri di Magnasco. Sono passati, se ne sono andati, oggi a vedere quei siti incantati e infinitamente remoti non restano che gli occhi di Frappi.
Vittorio Sgarbi
Ho incontrato Luigi Frappi sulle strade di Bevagna molti anni fa e conoscevo l’opera e il nome attraverso le mostre di un gallerista alto e ambizioso, ma non spericolato, come Pio Monti. Paesaggi alberati senza nostalgia (della pittura) e senza malinconia (dello spirito). Paesaggi come sfondi teatrali, come scenografie, profondi nell’illusione ma senza finzione.
Il riferimento di Frappi non è la natura ma le pittura. Se un suo collega d’impresa, Ubaldo Bartolini, mostrava di guardare come riferimento permanente a Claude Laurent, Frappi ha preferito esercitarsi su modelli meno profondi e meno intensamente spirituali, più virtuosistici come Alessandro Magnasco e Francesco Peruzzini, di una pittura fresca con un segno veloce e con una vibrazione della superficie. Così quel giorno a Bevagna Frappi era contento di portarmi a vedere l’opera nella quale le sue predilezioni, le sue virtù meglio si realizzavano: il sipario del teatro Torti. Era felice di quella commessa pubblica ed era compiaciuto di aver trovato il luogo e la condizione più propizi per manifestare la sua ispirazione, la sua delizia per l’artigianato. E’ certo che se gli fosse consentito ( e in parte in altre, commissioni private, gli è stato consentito) egli sarebbe a suo perfetto agio nella decorazione di quelle che tra la fine del Settecento e i primi Ottocento soprattutto a Bologna si chiamavano “stanze paese”, vasti ambienti voltanti interamente dipinti con paesaggi da terra al soffitto per restituire la sensazione di stare dentro la natura. Naturalmente una nature arcadica, non luminosa, non abitata dagli dei, nelle quali le sensazioni primarie riproducono le emozioni petrarchesche di “chiare fresche e dolci acque”. La natura per Frappi non è misteriosa, non è ancora romantica, è quella delle feste barocche perché una natura educata senza mistero.
Nel corso degli anni, diversamente a quanto accade a molti artisti è cresciuto il mestiere ed è diminuita la presunzione letteraria. Sempre di più Frappi si compiace di estendere con la pittura i giardini del mondo e dipingerli mentre gli altri si prodigano a distruggerli. Fosse per lui il suo fratello maggiore, il ragazzo del via Gluck, sarebbe ancora felice nei campi e nei prati dove il cemento ha rubato spazi e vita, e non molto lontano da Bevagna, Frappi l’ha vissuto traumaticamente nella trasformazione della parte verde e ubertosa di Perugia bassa in quell’insolente ferro di cavallo che l’attanaglia fino a minacciare la visione della città antica. Il suo compito non è stato il dipingere la vita cittadina come negli sfondi di Giotto o nelle allegorie del buon governo del Lorenzetti come hanno fatto altri suoi coetanei (penso a Salvo o Di Stasio), ma il paesaggio perduto che le circondava, la campagna soprattutto umbra che intenerisce nei fondi del Perugino e dello Spagna, ecco: egli ha voluto essere pittore di sfondi per storie che non ci sono più. In questo egli è perfettamente contemporaneo. Le sue invenzioni, le sue ricreazioni della natura, appartengono a dopo la storia dove non accade più nulla dopo che l’uomo se n’è andato. Il racconto è finito, la storia è finita, la natura è la nostalgia di luoghi che un tempo furono abitati. Ci furono monaci e pellegrini nei quadri di Magnasco. Sono passati, se ne sono andati, oggi a vedere quei siti incantati e infinitamente remoti non restano che gli occhi di Frappi.
31
gennaio 2015
Luigi Frappi
Dal 31 gennaio al 15 febbraio 2015
arte contemporanea
Location
SPAZIO 6
Verona, Via Santa Maria In Organo, 6, (Verona)
Verona, Via Santa Maria In Organo, 6, (Verona)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16,30-19,30
Vernissage
31 Gennaio 2015, ore 18,00
Autore
Curatore