Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’ultima dei molti cani
30 artisti patafisici per un ritratto dell’ultima dei molti cani “che sono io”
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“L’ultima dei molti cani”: 30 artisti patafisici per un ritratto dell'ultima dei molti cani "che sono io". Qui, stiamo per occuparci di un refuso. Ma non possiamo che farlo nel modo, quell’unico che conosciamo, assolutamente serio, che prende cioè tutto sul serio. E, allora, ancora non possiamo non chiederci: «Ma “cane” in che senso? E perché “l’ultimo”? E dei “molti”, poi?».
Il cane, si sa, da Platone in avanti, è considerato l’animale più filosofico che esista. Platone ce lo ricorda nel suo capolavoro, con un ragionamento che mette in bocca al suo personaggio filosofico preferito: per natura un cane cosa fa? Abbaia. Ma a chi abbaia, di solito? Abbaia contro chi non conosce, mentre, si mostra solitamente docile e affettuoso nei confronti di chi conosce. Dunque, il cane mostra avversione non tanto nei confronti di Tizio o Caio, ché una volta conosciuti gli si rivolge scodinzolando, quanto verso l’assenza di conoscenza. È questa che gli suscita ferocia. Il cane sarebbe filosofico, quindi, in quanto avverso alla mancanza di conoscenza. Questo lo distinguerebbe da tutti gli altri animali, che mostrano, invece, avversione nei confronti di qualcuno o qualcosa per motivi, diciamo così, personali, che riguardano maggiormente il proprio intimo. Il cane no. Il cane è altruista, è per gli altri. Non, si badi, per uno in particolare, ma per tutti, indistintamente e, quindi, per nessuno specificamente: ogni cosa che fa, la fa senza uno scopo preciso, ma perché sa che reca piacere – e a se stesso in quanto reca piacere agli altri. E questa condizione ormai fa talmente parte della sua natura da risultare assolutamente immediata: fa quello che fa traendone piacere immediato, non importa che, in quello che fa, venga gratificato da altri, potenti o istituzioni di turno, no, lo fa e basta, come un cane sciolto, senza padrone, perché è padrone di se stesso e del suo sentimento di amore verso gli altri, pronto però a ringhiare e, se occorre, sbranare, in nome dell’assenza di conoscenza.
Un momento. Ma cos’è questa conoscenza di cui stiamo parlando da un po’? E cosa si vuole che sia se non la pratica, il modo stesso in cui si manifesta e si esplica quello stesso sentimento d’amore, che caratterizza l’agire del cane? Conoscere, come ci insegna la Bibbia o la stessa filosofia, insomma ogni testo della sapienza mediterranea, è nient’altro che amare, che unirsi. Quindi, come ogni gesto, anzi, in quanto gesto per eccellenza, è violento, sempre. L’amore è violenza. Ne sanno qualcosa i poeti che l’hanno cantato – pensiamo a Saffo, che si sentiva le membra scosse come canne di una palude da una tempesta di vento e la palude è l’esistenza se non ci fosse questa violenza (ri)generatrice che la vivifica e spazza via quell’alito di morte che l’opprime. L’amore, fin nella forma più pura (ammesso che ci possa essere qualcosa del genere), è violenza, come riferisce Yeshoua quando, nel rammentare il senso della sua missione, puntualizza di non essere venuto per portare pace, ma una spada, che separa nell’atto stesso di unire (Mt 10, 34-36). Ed è così che Paola, l’ultimo dei molti cani, ci unisce nel suo amore per l’arte, per la scienza (quella delle soluzioni immaginarie, ovviamente: patafisica), per il benessere generale dei nostri corpi.
Il cane, si sa, da Platone in avanti, è considerato l’animale più filosofico che esista. Platone ce lo ricorda nel suo capolavoro, con un ragionamento che mette in bocca al suo personaggio filosofico preferito: per natura un cane cosa fa? Abbaia. Ma a chi abbaia, di solito? Abbaia contro chi non conosce, mentre, si mostra solitamente docile e affettuoso nei confronti di chi conosce. Dunque, il cane mostra avversione non tanto nei confronti di Tizio o Caio, ché una volta conosciuti gli si rivolge scodinzolando, quanto verso l’assenza di conoscenza. È questa che gli suscita ferocia. Il cane sarebbe filosofico, quindi, in quanto avverso alla mancanza di conoscenza. Questo lo distinguerebbe da tutti gli altri animali, che mostrano, invece, avversione nei confronti di qualcuno o qualcosa per motivi, diciamo così, personali, che riguardano maggiormente il proprio intimo. Il cane no. Il cane è altruista, è per gli altri. Non, si badi, per uno in particolare, ma per tutti, indistintamente e, quindi, per nessuno specificamente: ogni cosa che fa, la fa senza uno scopo preciso, ma perché sa che reca piacere – e a se stesso in quanto reca piacere agli altri. E questa condizione ormai fa talmente parte della sua natura da risultare assolutamente immediata: fa quello che fa traendone piacere immediato, non importa che, in quello che fa, venga gratificato da altri, potenti o istituzioni di turno, no, lo fa e basta, come un cane sciolto, senza padrone, perché è padrone di se stesso e del suo sentimento di amore verso gli altri, pronto però a ringhiare e, se occorre, sbranare, in nome dell’assenza di conoscenza.
Un momento. Ma cos’è questa conoscenza di cui stiamo parlando da un po’? E cosa si vuole che sia se non la pratica, il modo stesso in cui si manifesta e si esplica quello stesso sentimento d’amore, che caratterizza l’agire del cane? Conoscere, come ci insegna la Bibbia o la stessa filosofia, insomma ogni testo della sapienza mediterranea, è nient’altro che amare, che unirsi. Quindi, come ogni gesto, anzi, in quanto gesto per eccellenza, è violento, sempre. L’amore è violenza. Ne sanno qualcosa i poeti che l’hanno cantato – pensiamo a Saffo, che si sentiva le membra scosse come canne di una palude da una tempesta di vento e la palude è l’esistenza se non ci fosse questa violenza (ri)generatrice che la vivifica e spazza via quell’alito di morte che l’opprime. L’amore, fin nella forma più pura (ammesso che ci possa essere qualcosa del genere), è violenza, come riferisce Yeshoua quando, nel rammentare il senso della sua missione, puntualizza di non essere venuto per portare pace, ma una spada, che separa nell’atto stesso di unire (Mt 10, 34-36). Ed è così che Paola, l’ultimo dei molti cani, ci unisce nel suo amore per l’arte, per la scienza (quella delle soluzioni immaginarie, ovviamente: patafisica), per il benessere generale dei nostri corpi.
06
settembre 2006
L’ultima dei molti cani
Dal 06 al 15 settembre 2006
arte contemporanea
Location
B&B FIUME DI PIETRA
Ercolano, Contrada Osservatorio, 22, (Napoli)
Ercolano, Contrada Osservatorio, 22, (Napoli)
Autore
Curatore