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Maffeo d’Arcole – Laurasia e Gondwana
L’artista veronese (Arcole, 1949), pittore, scultore, performer e regista, conclusa la bella antologica a lui dedicata dal Comune di Verona, allestita negli spazi espositivi dell’ex-Macello scaligero, sceglie Segnoperenne per presentare a Venezia una serie di dodici tele (realizzate nel 2002 ma ad oggi inedite) di grande e grandissimo formato e dal fortissimo impatto scenografico, dedicata ai popoli migranti del pianeta.
Comunicato stampa
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Segnoperenne inaugura sabato 21 novembre 2009 alle ore 18.30, presso lo Spazio Voltolina di Mestre, Laurasia e Gondwana, personale di Maffeo d’Arcole.
L’artista veronese (Arcole, 1949), pittore, scultore, performer e regista, conclusa la bella antologica a lui dedicata dal Comune di Verona, allestita negli spazi espositivi dell’ex-Macello scaligero, sceglie Segnoperenne per presentare a Venezia una serie di dodici tele (realizzate nel 2002 ma ad oggi inedite) di grande e grandissimo formato e dal fortissimo impatto scenografico, dedicata ai popoli migranti del pianeta.
Maffeo d’Arcole attinge, rinvigorendola ed attualizzandola, alla tradizione pittorica espressionista della narrazione del colore, divenendo interprete, fin dai primi anni ’80, di un gesto libero, violento, ossessivamente iperbolico e dando vita ad una vasta produzione plurilinguistica pervasa da un autobiografismo che attraversa puro il tempo e le regole di mercato; narra con vocabolario onesto e diretto la storia, la politica, l’etica, traendo spunto dalle durezza dell’origine contadina per parlare della durezza della vita, dalla cultura del lavoro per parlare di etica, dalla religione cristiana per parlare di valori universali, dal folklore popolare per parlare di tradizioni, ricorrendo spesso a citazioni tratte dalla storia dell’arte che, in chi come lui vi si inoltra da autodidatta, assumono il tono di geniali e illuminanti intuizioni.
Le figure di Maffeo d’Arcole (il cui nome d’arte, dal sapore ascetico, rivela l’animo solitario ed introspettivo che caratterizza l’uomo e l’artista), stilizzate, salde ed imponenti nei contorni neri e marcati, accese dall’uso dell’acrilico, rese vivide ed attuali da tecniche di collage realizzati con scarti di tessuti, tele juta, ritagli di giornali, indumenti usati e connotati da scritte o brand mai casuali, assumono le sembianze mostruose di esseri bio-morfici disarmonici e disgregati, strutture scheletriche dalle braccia allungate a dismisura in una richiesta di aiuto costantemente inascoltata.
Un’attitudine alla comunicazione lineare e alla semplificazione delle forme che riconducendo il linguaggio a punte di innocentismo primordiale, a tratti infantili, a schizzi e pitto-scritture, sembra nascondere, o smussare, la drammaticità di un dolore che solitamente esiste sommesso nel linguaggio figurativo, simbolicamente alluso. Nelle esplosioni coloristiche di Maffeo d’Arcole tutto è invece schietto e nitido; i volti, sottratti ad una mitologia mass-mediatica quotidiana che è già storia contemporanea, raccontano in silenzio, ricorrendo ad alfabeti e strutture sintattiche diverse, come la molteplicità di culture a noi incomprensibile espressa dal flusso sterminato dei popoli migranti, storie di privazioni, sofferenze, umiliazioni, mutilazioni, violenze, vecchiaie e abbandoni, riscoprendo nella sofferenza umana e nella solitudine del nostro inevitabile apparire diseguali, anche all’interno di sottoinsiemi generici che la scienza chiama razze, l’elemento comune –purtroppo disgregante – della condizione umana.
Nel lungo cammino tra Avanguardie Storiche e Transavanguardia si colloca l’arte di Maffeo d’Arcole, cronista a posteriori di eventi storici i cui protagonisti sono sempre gli uomini, vittime di una condizione manichea del mondo in cui il male e il bene riscoprono strane affinità elettive, interprete di un sentire storiografico pronto a cogliere ed evidenziare gli avvenimenti salienti di quel secolo breve che è partito carico di speranze presto disattese e volte in tragedia.
Dalla genuina lezione impartitagli dall’origine umile, figlio di una terra con la quale ha mantenuto una viva e quotidiana frequentazione e la cui travagliata storia ha conosciuto, nel passato recente, il tema dell’emigrazione e che si scontra oggi con quello altrettanto disumano dell’immigrazione, Maffeo d’Arcole ha tratto spunto per liberare lo sguardo dal preconcetto e avvicinarsi, con empatia, alle tematiche sociali, abituando l’occhio a riconoscere in ogni microcosmo l’infinitesimo frattale di una società globalizzata nelle molte colpe e nei pochi, opinabili, meriti.
I personaggi a cui Maffeo d’Arcole presta attenzione e che ne popolano l’universo pittorico, viaggiatori eterni in cerca di mete esistenziali, di approdi sicuri, di rifugi da guerre e violenze a noi (in)direttamente estranee, non sembrano cercare la nostra compassione o giustificazione; stanchi giungono da luoghi altri, come pacchi in transito, da stadi diversi di quel viver civile che continuiamo per inerzia a interpretare pur percependo non essere né il più vero né il più giusto. Provengono da terre lontane, spesso sconosciute a causa di ignoranze latenti sbandierate come alibi, da luoghi mitici come quella Laurasia e quella Gondwana che, a dispetto dei nomi esotici, null’altro rappresentano se non il primo grado di degenerazione, dall’originale Pangea, supercontinente primordiale e luogo metaforico dell’uguaglianza, verso una differenziazione del pianeta Terra dapprima geologica e poi sociale, verso una cultura di casta, verso la formazione di un nord e un sud del mondo che, alla stregua di continenti alla deriva, hanno lentamente e impercettibilmente raggiunto distanze ormai incolmabili.
Nella pittura istintuale di Maffeo d’Arcole non affiora il concetto di colpa, è bandito il giudizio o la morale che appartiene sempre e solo ai forti; questo campionario di vinti, vicino per certi aspetti ad una letteratura verista, introduce immediati spunti riflessivi, parla, senza voler imporre un pensiero, di culti e di economie, di società in transito, di accettazione e rifiuto, traducendo l’azione del guardare verso gli stessi moti psicologici e inconsci che quotidianamente autorizzano –anzi fomentano- la nostra cultura del sospetto e della paura nei confronti di chi, non per scelta propria, ha deciso di mettersi in cammino e giocare alla vita.
La mostra Laurasia e Gondwana costituisce il primo di tre appuntamenti che vedranno coinvolti a Venezia, nel futuro prossimo, Maffeo d’Arcole e Segnoperenne.
L’artista sarà presente durante la vernice.
L’artista veronese (Arcole, 1949), pittore, scultore, performer e regista, conclusa la bella antologica a lui dedicata dal Comune di Verona, allestita negli spazi espositivi dell’ex-Macello scaligero, sceglie Segnoperenne per presentare a Venezia una serie di dodici tele (realizzate nel 2002 ma ad oggi inedite) di grande e grandissimo formato e dal fortissimo impatto scenografico, dedicata ai popoli migranti del pianeta.
Maffeo d’Arcole attinge, rinvigorendola ed attualizzandola, alla tradizione pittorica espressionista della narrazione del colore, divenendo interprete, fin dai primi anni ’80, di un gesto libero, violento, ossessivamente iperbolico e dando vita ad una vasta produzione plurilinguistica pervasa da un autobiografismo che attraversa puro il tempo e le regole di mercato; narra con vocabolario onesto e diretto la storia, la politica, l’etica, traendo spunto dalle durezza dell’origine contadina per parlare della durezza della vita, dalla cultura del lavoro per parlare di etica, dalla religione cristiana per parlare di valori universali, dal folklore popolare per parlare di tradizioni, ricorrendo spesso a citazioni tratte dalla storia dell’arte che, in chi come lui vi si inoltra da autodidatta, assumono il tono di geniali e illuminanti intuizioni.
Le figure di Maffeo d’Arcole (il cui nome d’arte, dal sapore ascetico, rivela l’animo solitario ed introspettivo che caratterizza l’uomo e l’artista), stilizzate, salde ed imponenti nei contorni neri e marcati, accese dall’uso dell’acrilico, rese vivide ed attuali da tecniche di collage realizzati con scarti di tessuti, tele juta, ritagli di giornali, indumenti usati e connotati da scritte o brand mai casuali, assumono le sembianze mostruose di esseri bio-morfici disarmonici e disgregati, strutture scheletriche dalle braccia allungate a dismisura in una richiesta di aiuto costantemente inascoltata.
Un’attitudine alla comunicazione lineare e alla semplificazione delle forme che riconducendo il linguaggio a punte di innocentismo primordiale, a tratti infantili, a schizzi e pitto-scritture, sembra nascondere, o smussare, la drammaticità di un dolore che solitamente esiste sommesso nel linguaggio figurativo, simbolicamente alluso. Nelle esplosioni coloristiche di Maffeo d’Arcole tutto è invece schietto e nitido; i volti, sottratti ad una mitologia mass-mediatica quotidiana che è già storia contemporanea, raccontano in silenzio, ricorrendo ad alfabeti e strutture sintattiche diverse, come la molteplicità di culture a noi incomprensibile espressa dal flusso sterminato dei popoli migranti, storie di privazioni, sofferenze, umiliazioni, mutilazioni, violenze, vecchiaie e abbandoni, riscoprendo nella sofferenza umana e nella solitudine del nostro inevitabile apparire diseguali, anche all’interno di sottoinsiemi generici che la scienza chiama razze, l’elemento comune –purtroppo disgregante – della condizione umana.
Nel lungo cammino tra Avanguardie Storiche e Transavanguardia si colloca l’arte di Maffeo d’Arcole, cronista a posteriori di eventi storici i cui protagonisti sono sempre gli uomini, vittime di una condizione manichea del mondo in cui il male e il bene riscoprono strane affinità elettive, interprete di un sentire storiografico pronto a cogliere ed evidenziare gli avvenimenti salienti di quel secolo breve che è partito carico di speranze presto disattese e volte in tragedia.
Dalla genuina lezione impartitagli dall’origine umile, figlio di una terra con la quale ha mantenuto una viva e quotidiana frequentazione e la cui travagliata storia ha conosciuto, nel passato recente, il tema dell’emigrazione e che si scontra oggi con quello altrettanto disumano dell’immigrazione, Maffeo d’Arcole ha tratto spunto per liberare lo sguardo dal preconcetto e avvicinarsi, con empatia, alle tematiche sociali, abituando l’occhio a riconoscere in ogni microcosmo l’infinitesimo frattale di una società globalizzata nelle molte colpe e nei pochi, opinabili, meriti.
I personaggi a cui Maffeo d’Arcole presta attenzione e che ne popolano l’universo pittorico, viaggiatori eterni in cerca di mete esistenziali, di approdi sicuri, di rifugi da guerre e violenze a noi (in)direttamente estranee, non sembrano cercare la nostra compassione o giustificazione; stanchi giungono da luoghi altri, come pacchi in transito, da stadi diversi di quel viver civile che continuiamo per inerzia a interpretare pur percependo non essere né il più vero né il più giusto. Provengono da terre lontane, spesso sconosciute a causa di ignoranze latenti sbandierate come alibi, da luoghi mitici come quella Laurasia e quella Gondwana che, a dispetto dei nomi esotici, null’altro rappresentano se non il primo grado di degenerazione, dall’originale Pangea, supercontinente primordiale e luogo metaforico dell’uguaglianza, verso una differenziazione del pianeta Terra dapprima geologica e poi sociale, verso una cultura di casta, verso la formazione di un nord e un sud del mondo che, alla stregua di continenti alla deriva, hanno lentamente e impercettibilmente raggiunto distanze ormai incolmabili.
Nella pittura istintuale di Maffeo d’Arcole non affiora il concetto di colpa, è bandito il giudizio o la morale che appartiene sempre e solo ai forti; questo campionario di vinti, vicino per certi aspetti ad una letteratura verista, introduce immediati spunti riflessivi, parla, senza voler imporre un pensiero, di culti e di economie, di società in transito, di accettazione e rifiuto, traducendo l’azione del guardare verso gli stessi moti psicologici e inconsci che quotidianamente autorizzano –anzi fomentano- la nostra cultura del sospetto e della paura nei confronti di chi, non per scelta propria, ha deciso di mettersi in cammino e giocare alla vita.
La mostra Laurasia e Gondwana costituisce il primo di tre appuntamenti che vedranno coinvolti a Venezia, nel futuro prossimo, Maffeo d’Arcole e Segnoperenne.
L’artista sarà presente durante la vernice.
21
novembre 2009
Maffeo d’Arcole – Laurasia e Gondwana
Dal 21 novembre al primo dicembre 2009
arte contemporanea
Location
STUDIO LUIGI VOLTOLINA
Venezia, Calle Della Testa, 1, (Venezia)
Venezia, Calle Della Testa, 1, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì 24 novembre visitabile su appuntamento
Vernissage
21 Novembre 2009, ore 18.30
Sito web
www.segnoperenne.it
Autore
Curatore