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Magali Reus – Quarters
Nelle sue opere, Magali Reus elabora e integra tutta una gamma di influenze formali e riferimenti storico-artistici: allude alla sfera domestica ma anche a quella industriale, all’aspetto funzionale e a quello decorativo.
Comunicato stampa
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La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 31 marzo al 12 giugno 2016, presenta QUARTERS, la prima personale in Italia di Magali Reus (nata nel 1981 all’Aia, nei Paesi Bassi. Vive a Londra), e I SEE A DARKNESS, mostra collettiva che con i lavori video di sette artisti internazionali: Ragnar Kjartansson, Joao Onofre, Marine Hugonnier, Laure Prouvost, Cerith Wyn Evans, Victor Alimpiev, Meris Angioletti.
In occasione dell’opening delle due mostre, il 31 marzo, Seeyousound International Music Film Festival presenta, nell’area bookshop, una selezione dei videoclip che hanno partecipato al concorso dell’edizione Soundies 2016. Il videoclip è la forma breve più condivisa nel panorama artistico, nasce come accompagnamento di brani musicali ed oggi più che mai il web lo ha reso obbligatorio per la diffusione della musica. Una selezione curata da SYS appositamente per il bookshop della Fondazione.
QUARTERS (31 marzo – 12 giugno 2016)
Nelle sue opere, Magali Reus elabora e integra tutta una gamma di influenze formali e riferimenti storico-artistici: allude alla sfera domestica ma anche a quella industriale, all’aspetto funzionale e a quello decorativo. Come punto di partenza formale utilizza tipologie di oggetti di cui ci serviamo quotidianamente, ma che a malapena notiamo. Tutti gli oggetti che gravitano nella nostra orbita quotidiana o svolgono una funzione specifica, a cui è orientato il design dell’oggetto stesso, o in alternativa hanno uno scopo estetico. In entrambi i casi vi è sempre una relazione con l’essere umano, con le sue azioni e il suo corpo. È questa relazione che si manifesta con evidenza nella scultura di Reus: nel modo in cui un oggetto, talvolta sobrio e levigato, può caricarsi di senso, valore o, in certa misura, acquisire una personalità, in virtù della sua interazione con l’essere umano.
Reus presenterà “In Place Of” è dedicata al bordo del marciapiede come elemento spazialmente strutturale e strutturante, in cui restano intrappolati diversi effetti personali, che puntualmente si tramutano in reperti archeologici pubblici. “Leaves” [Foglie] parla di lucchetti, e più precisamente del loro specifico compito di nascondimento, esponendone però allo stesso tempo i meccanismi interni e il funzionamento. Anche in questo caso, come per tutte le opere di Reus, ognuno di questi elementi è descritto con perizia maniacale, ed è stato progettato minuziosamente e poi realizzato dall’artista stessa. Neppure un singolo frammento di quelli che appaiono come detriti sul bordo del marciapiede è in realtà un oggetto trovato. Così Reus gioca sulle superfici immacolate e perfette che caratterizzano il design industriale di oggi: il design funzionale dell’artista dona alle sculture un aspetto familiare ma, allo stesso tempo, i suoi interventi vi aggiungono tratti che le caricano di una loro individualità.
Attraverso lo scontro fra la macro-logica dell’architettura quotidiana e le più microscopiche o metaforiche proiezioni di un corpo che abita lo spazio, la mostra di Reus volge lo sguardo allo spazio fisico e psichico del bordo stradale. Nonostante la resa astratta, questi bordi di marciapiede contengono frammenti di oggetti e di testure: si appropriano della logica del territorio urbano, e tuttavia trasmettono una persistente inquietudine che emana dalla ripetizione di forme familiari mostrate solo parzialmente e collocate in modo ambiguo. Legate all’idea metaforica di epidermide, sono superfici che separano mondi esterni da mondi interni.
Una nuova serie di opere scultoree “a lucchetto” mostra il risvolto perverso del dettaglio meccanico. Quasi come marcatori archeologici, queste opere diventano enigmatici contenitori di una sorta di stenografia numerica che sfugge alla traduzione. Una data o un periodo fissano una responsabilità strutturale ma, come nel caso dei bordi, fanno anche venir meno i confini, confondendo la dimensione grafica e quella emotiva.
Fra le mostre collettive recenti a cui Magali Reus ha partecipato ricordiamo The Noing Uv It presso la Bergen Kunsthall, Bergen, Norvegia (2015); Theater Objects presso la Fondazione LUMA, Zurigo; nature after nature, Fridericianum, Kassel (Germania); e Pool, Kestnergesellschaft, Hannover (queste ultime nel 2014). Reus terrà prossimamente una personale allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 2016.
I SEE A DARKNESS (31 marzo – 11 settembre 2016)
L’oscurità come condizione necessaria per l’apparizione dell’immagine proiettata, e dunque per la visione, è allo stesso tempo metafora di uno stato psicologico dominato dalla melanconia, dal desiderio, dal ricordo, emozioni che ricorrono nelle opere in mostra.
Il titolo è preso a prestito dall’opera di Joao Onofre, che mette in scena la performance musicale di due bambini, chiamati a interpretare l’omonima canzone di Will Oldham, una struggente ballata su una mente inquieta. L’ ambivalenza diviene letterale nel video di Onofre in cui le immagini passano da un buio assoluto a una progressiva luminosità, fino ad arrivare a un bianco totale, accecante.
Musica e melanconia sono una coppia protagonista anche nella monumentale video-installazione di Ragnar Kjartansson, The End, opera composta da 5 proiezioni che immergono lo spettatore nel paesaggio sublime delle Rocky Mountains canadesi. Qui l’artista islandese mette in scena un surreale concerto country, tenendo abilmente insieme i registri del romantico e dell’ironico.
Un altro paesaggio montuoso è al centro del lavoro di Marine Hugonnier, The Last Tour, un poetico viaggio in mongolfiera tra le vette del Matterhorn, ambientato in un immaginario futuro che renderà inaccessibili i siti turistici. Profetico e nostalgico, il video costruisce una sofisticata analisi della visione come ready-made.
Sensuale e onirico, Deer di Victor Alimpiev mette in scena una dinamica erotica, quella di una coppia divisa che si rispecchia in un desiderio struggente. L’artista russo dà forma tangibile alla materia sentimentale, orchestrando colori, suoni e gesti attraverso il suo caratteristico registro teatrale.
La malinconia nell’opera di Cerith Wyn Evans parte da una storia reale, il tragico omicidio di Pasolini sulla spiaggia di Ostia; il ricordo doloroso si stempera nella luce ambigua del crepuscolo marino, e si riaccende nelle parole di Pasolini cui Wyn Evans dà letteralmente fuoco, dando vita a uno spettacolo fugace, che illumina per un attimo lo spazio della memoria, ma è destinato a estinguersi.
Realtà e finzione si mescolano nel lavoro di Laure Prouvost, giovane artista francese che nel video Wantee evoca la figura storica di Kurt Schwitters, associata a quella immaginaria del nonno di Prouvost, artista concettuale la cui grande ultima opera sarebbe stata la creazione di un tunnel che collegasse il suo salotto all’Africa. Intorno alla presunta scomparsa del nonno nei meandri oscuri del tunnel si intesse una narrazione sentimentale che ripercorre luoghi e oggetti, vissuti e immaginati.
Un progetto speciale è quello di Meris Angioletti, che presenta l’installazione audio e luci Stanzas, prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per la Biennale di Venezia del 2011. Angioletti richiama alla memoria un altro personaggio mitico della storia dell’arte, Aby Warburg, cui dedica un’opera che scompone l’immagine filmica nei suoi elementi basilari, luci e suoni, nella tradizione del cinema sperimentale, creando un parallelo tra lo spazio del set cinematografico e quello psichico, tra la proiezione filmica e le dinamiche mentali.
In occasione dell’opening delle due mostre, il 31 marzo, Seeyousound International Music Film Festival presenta, nell’area bookshop, una selezione dei videoclip che hanno partecipato al concorso dell’edizione Soundies 2016. Il videoclip è la forma breve più condivisa nel panorama artistico, nasce come accompagnamento di brani musicali ed oggi più che mai il web lo ha reso obbligatorio per la diffusione della musica. Una selezione curata da SYS appositamente per il bookshop della Fondazione.
QUARTERS (31 marzo – 12 giugno 2016)
Nelle sue opere, Magali Reus elabora e integra tutta una gamma di influenze formali e riferimenti storico-artistici: allude alla sfera domestica ma anche a quella industriale, all’aspetto funzionale e a quello decorativo. Come punto di partenza formale utilizza tipologie di oggetti di cui ci serviamo quotidianamente, ma che a malapena notiamo. Tutti gli oggetti che gravitano nella nostra orbita quotidiana o svolgono una funzione specifica, a cui è orientato il design dell’oggetto stesso, o in alternativa hanno uno scopo estetico. In entrambi i casi vi è sempre una relazione con l’essere umano, con le sue azioni e il suo corpo. È questa relazione che si manifesta con evidenza nella scultura di Reus: nel modo in cui un oggetto, talvolta sobrio e levigato, può caricarsi di senso, valore o, in certa misura, acquisire una personalità, in virtù della sua interazione con l’essere umano.
Reus presenterà “In Place Of” è dedicata al bordo del marciapiede come elemento spazialmente strutturale e strutturante, in cui restano intrappolati diversi effetti personali, che puntualmente si tramutano in reperti archeologici pubblici. “Leaves” [Foglie] parla di lucchetti, e più precisamente del loro specifico compito di nascondimento, esponendone però allo stesso tempo i meccanismi interni e il funzionamento. Anche in questo caso, come per tutte le opere di Reus, ognuno di questi elementi è descritto con perizia maniacale, ed è stato progettato minuziosamente e poi realizzato dall’artista stessa. Neppure un singolo frammento di quelli che appaiono come detriti sul bordo del marciapiede è in realtà un oggetto trovato. Così Reus gioca sulle superfici immacolate e perfette che caratterizzano il design industriale di oggi: il design funzionale dell’artista dona alle sculture un aspetto familiare ma, allo stesso tempo, i suoi interventi vi aggiungono tratti che le caricano di una loro individualità.
Attraverso lo scontro fra la macro-logica dell’architettura quotidiana e le più microscopiche o metaforiche proiezioni di un corpo che abita lo spazio, la mostra di Reus volge lo sguardo allo spazio fisico e psichico del bordo stradale. Nonostante la resa astratta, questi bordi di marciapiede contengono frammenti di oggetti e di testure: si appropriano della logica del territorio urbano, e tuttavia trasmettono una persistente inquietudine che emana dalla ripetizione di forme familiari mostrate solo parzialmente e collocate in modo ambiguo. Legate all’idea metaforica di epidermide, sono superfici che separano mondi esterni da mondi interni.
Una nuova serie di opere scultoree “a lucchetto” mostra il risvolto perverso del dettaglio meccanico. Quasi come marcatori archeologici, queste opere diventano enigmatici contenitori di una sorta di stenografia numerica che sfugge alla traduzione. Una data o un periodo fissano una responsabilità strutturale ma, come nel caso dei bordi, fanno anche venir meno i confini, confondendo la dimensione grafica e quella emotiva.
Fra le mostre collettive recenti a cui Magali Reus ha partecipato ricordiamo The Noing Uv It presso la Bergen Kunsthall, Bergen, Norvegia (2015); Theater Objects presso la Fondazione LUMA, Zurigo; nature after nature, Fridericianum, Kassel (Germania); e Pool, Kestnergesellschaft, Hannover (queste ultime nel 2014). Reus terrà prossimamente una personale allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 2016.
I SEE A DARKNESS (31 marzo – 11 settembre 2016)
L’oscurità come condizione necessaria per l’apparizione dell’immagine proiettata, e dunque per la visione, è allo stesso tempo metafora di uno stato psicologico dominato dalla melanconia, dal desiderio, dal ricordo, emozioni che ricorrono nelle opere in mostra.
Il titolo è preso a prestito dall’opera di Joao Onofre, che mette in scena la performance musicale di due bambini, chiamati a interpretare l’omonima canzone di Will Oldham, una struggente ballata su una mente inquieta. L’ ambivalenza diviene letterale nel video di Onofre in cui le immagini passano da un buio assoluto a una progressiva luminosità, fino ad arrivare a un bianco totale, accecante.
Musica e melanconia sono una coppia protagonista anche nella monumentale video-installazione di Ragnar Kjartansson, The End, opera composta da 5 proiezioni che immergono lo spettatore nel paesaggio sublime delle Rocky Mountains canadesi. Qui l’artista islandese mette in scena un surreale concerto country, tenendo abilmente insieme i registri del romantico e dell’ironico.
Un altro paesaggio montuoso è al centro del lavoro di Marine Hugonnier, The Last Tour, un poetico viaggio in mongolfiera tra le vette del Matterhorn, ambientato in un immaginario futuro che renderà inaccessibili i siti turistici. Profetico e nostalgico, il video costruisce una sofisticata analisi della visione come ready-made.
Sensuale e onirico, Deer di Victor Alimpiev mette in scena una dinamica erotica, quella di una coppia divisa che si rispecchia in un desiderio struggente. L’artista russo dà forma tangibile alla materia sentimentale, orchestrando colori, suoni e gesti attraverso il suo caratteristico registro teatrale.
La malinconia nell’opera di Cerith Wyn Evans parte da una storia reale, il tragico omicidio di Pasolini sulla spiaggia di Ostia; il ricordo doloroso si stempera nella luce ambigua del crepuscolo marino, e si riaccende nelle parole di Pasolini cui Wyn Evans dà letteralmente fuoco, dando vita a uno spettacolo fugace, che illumina per un attimo lo spazio della memoria, ma è destinato a estinguersi.
Realtà e finzione si mescolano nel lavoro di Laure Prouvost, giovane artista francese che nel video Wantee evoca la figura storica di Kurt Schwitters, associata a quella immaginaria del nonno di Prouvost, artista concettuale la cui grande ultima opera sarebbe stata la creazione di un tunnel che collegasse il suo salotto all’Africa. Intorno alla presunta scomparsa del nonno nei meandri oscuri del tunnel si intesse una narrazione sentimentale che ripercorre luoghi e oggetti, vissuti e immaginati.
Un progetto speciale è quello di Meris Angioletti, che presenta l’installazione audio e luci Stanzas, prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per la Biennale di Venezia del 2011. Angioletti richiama alla memoria un altro personaggio mitico della storia dell’arte, Aby Warburg, cui dedica un’opera che scompone l’immagine filmica nei suoi elementi basilari, luci e suoni, nella tradizione del cinema sperimentale, creando un parallelo tra lo spazio del set cinematografico e quello psichico, tra la proiezione filmica e le dinamiche mentali.
31
marzo 2016
Magali Reus – Quarters
Dal 31 marzo al 12 giugno 2016
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO
Torino, Via Modane, 16, (Torino)
Torino, Via Modane, 16, (Torino)
Biglietti
5 euro ridotto 3 euro
Orario di apertura
giovedì: 20-23 (ingresso gratuito), venerdì, sabato, domenica: 12-19
Vernissage
31 Marzo 2016, h 19
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