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Mal di Montagna
La mostra, unendo lo sguardo di quattro artisti contemporanei di differenti generazioni e provenienze geografiche e attraverso linguaggi eterogenei, presenta la montagna come un luogo di stimolo per la ricerca artistica e crea una narrazione che invita l’osservatore a confrontarsi con le alte quote.
Comunicato stampa
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MAL DI MONTAGNA
a cura di Michela Lupieri
AMEDEO MARTEGANI | FRANCESCO MATTUZZI | WALTER NIEDERMAYR | FABRIZIO PERGHEM
AMS è l’acronimo dell’espressione inglese “Acute Mountain Sickness”, ovvero della sindrome conosciuta ai più come MAL DI MONTAGNA. Una condizione patologica per l’organismo, talvolta letale, causata dal mancato adattamento del fisico alle grandi altitudini. Indice di una situazione di rischio e di pericolo, l’espressione possiede nel pensiero comune un’accezione negativa.
Linguisticamente, però, è interessante notare come la dicitura MAL DI MONTAGNA sia simile per assonanza all’espressione “Mal d’Africa” che, all’opposto, indica quella sensazione di nostalgia provata da chi ha visitato il continente africano e, a tutti i costi, desidera tornarci. Attraverso uno scarto linguistico, la mostra presentata da MARS si origina dall’espressione MAL DI MONTAGNA ampliandone il significato. Ci si può riferire al MAL DI MONTAGNA come a quella sensazione di improvvisa e meravigliata estasi che le cime esercitano su chi le guarda? O come alla nostalgia che investe chi ha già scalato una cima e, a tutti i costi, desidera ritornarci?
Nel corso della storia il territorio montano ha stimolato metodi inconsueti di osservazione e studio, mettendo a
disposizione punti di osservazione sul paesaggio, come spazi sperduti e solitari, per lo sviluppo di immagini complesse, rese attraverso l'utilizzo dei più diversi linguaggi artistici. Dai tempi più remoti, l’attrazione verso luoghi tanto impervi e pericolosi, quanto unici e meravigliosi, ha spinto gli artisti a esplorare le cime delle montagne, trascorrendo brevi periodi in quota per realizzare progetti site-specific.
MAL DI MONTAGNA unisce lo sguardo di quattro artisti contemporanei di differenti generazioni e provenienze geografiche che, in maniera diversa, si sono misurati con questo territorio. Attraverso linguaggi eterogenei – video, installazioni, fotografie – la mostra presenta la montagna come un luogo di stimolo per la ricerca artistica, e crea una narrazione che invita l’osservatore a confrontarsi con le alte quote.
Questa mostra è il proseguimento di un più ampio progetto di ricerca, avviato agli inizi del 2014, che riguarda lo studio della rappresentazione del paesaggio montano e le modalità con cui l’artista contemporaneo si relaziona a questo territorio. Il progetto di mostra è stato proposto per l’open call lanciata da MARS, ed è stato selezionato come progetto vincitore.
MAL DI MONTAGNA rientra all’interno di STUDI - Festival di studi d’artista a cura di Vincenzo Chiarandà, Anna Stuart Tovini, Claudio Corfone e Rebecca Moccia con il supporto dell’Associazione freeUnDo.
LAVORI IN MOSTRA
Amedeo Martegani
Frane. L’impazienza della terra, due stampe fotografiche analogiche a contatto, 2014.
Francesco Mattuzzi
Pianeta bianco, video, 14’, 2014.
Walter Niedermayr
GoPro, video HD, 7’44’’, 2013. Courtesy: l’artista e Galerie Nordenhake, Berlin/Stockholm.
Fabrizio Perghem
Sopra le foreste, fotografia e calco in paraffina, 2012.
-
La serie fotografica di Amedeo Martegani (Milano, 1963) appartiene al ciclo Frane. L’impazienza della terra.
Il lavoro parla dell’instabilità della materia, dei processi geologici e di come l’uomo abbia la fortuna, a volte, di
presenziare a questi eventi per catturare le trasformazioni della terra. Trovandosi in prossimità della Rocca di San Leo, sugli Appennini romagnoli, Martegani imprime, per contatto su carta fotografica, il cedimento improvviso della roccia opposta al forte - eretto su un’isola calcarea in un mare di argilla -. Dall’apparente aspetto di neri e uniformi monocromi, le stampe richiedono un certo tempo prima che l’occhio si adatti a riconoscere le forme che vi sono celate. Questo tempo di fruizione del lavoro - intimo, lento e graduale - è fondamentale, in quanto imprime nella mente dell’osservatore una memoria dell’immagine contemplata che, di fatto, va a sostituirsi all’immagine stessa. In questo modo, come scrive l’artista “per lo spettatore sarà più semplice ricostruire mentalmente i volumi rocciosi, piuttosto che ricordarne le forme osservate”.
In Pianeta bianco, Francesco Mattuzzi (Varese, 1979) compie un viaggio in quota sul ghiacciaio Fréboudze del Monte Bianco per raccontare una storia in bilico tra finzione e realtà. Il documentario è girato al di sopra dei 2500 metri, tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, in un punto del versante in cui i residui delle valanghe creano naturalmente un paesaggio apocalittico e completamente trasfigurato. Il titolo, mutuato dal mondo della fantascienza, allude alla condizione dello spettatore durante il film: posto di fronte all’ignoto e privato di qualsiasi riferimento spaziale o temporale. All’inizio della storia il narratore evoca pianeti lontani e difficilmente raggiungibili; come Giove e Saturno, semiliquidi e composti di solo ghiaccio. Qual è il pianeta-mondo cui l'artista vuole fare riferimento? Le immagini riprendono porzioni di terra ghiacciata, ripida, avvolta dalla nebbia: un non-luogo dai confini incerti. La dimensione, la direzione e le distanze sono annullate; il ricercatore cammina in uno spazio che possiede un unico punto di riferimento: una luce in lontananza, di cui è impedito conoscere l'origine o l'identità, indica la direzione. È la meta del viaggio nonché la fine del racconto.
Walter Niedermayr (Bolzano, 1952) è sul ghiacciaio della Sarenne, presso il Pic du Lac Blanc, a 3.323 metri di quota, per realizzare GoPro: un video, girato con un’inquadratura fissa, appartenente a un ciclo di lavori sugli eventi sportivi, tesi a raccontare le modalità con cui il paesaggio alpino e la sua percezione vengono spesso inconsapevolmente manipolati dall’uomo. L’interesse dell’artista è di “fissare le dinamiche di ciò che accade come se fosse un’immagine in movimento, che sviluppa una vita propria attraverso la storia che i soggetti raccontano in quel contesto”. In questo lavoro Niedermayr assiste a una gara in cui i partecipanti, con una bici da downhill, cercano di scendere sul pendio scosceso del ghiacciaio. Se lo sguardo dei partecipanti alla gara è concentrato verso il basso ed estraneo al paesaggio intorno, diversamente si pone quello dell’artista. L’estraneità e il distacco dall’azione ne modificano sia la vista sia la percezione: “il susseguirsi logico degli eventi diventa cosí assurdo che potrebbe mettere in discussione la situazione così come il suo
significato”. I partecipanti alla gara sono così concentrati sulla discesa da non percepire il paesaggio intorno a loro.
“Come in un parco di divertimenti acquatici il paesaggio diventa uno scivolo ad acqua e, come un'attrezzatura sportiva, viene utilizzato”.
Sopra le foreste è un progetto di ricerca, avviato da Fabrizio Perghem (Rovereto, 1981) nel 2012, che cerca di dare una possibile risposta a un cruccio personale: “l'esperienza dell'ascensione si può identificare con il raggiungimento della vetta?” A partire da questa riflessione l'artista sviluppa una serie di azioni: una salita in solitaria del Monte Cervino, la ripresa di un documento fotografico e la creazione di una scultura in paraffina, calco di una roccia recuperata durante l’ascesa. Gli elementi proposti, traccia dell’esperienza ascensionale, suggeriscono l'idea di un'azione artistica profondamente complessa, stratificata nel tempo e molto intima. Il rapporto tra le differenti forme visive, si relaziona
ulteriormente con l’idealizzata staticità della montagna, con quell'irraggiungibilità additata a condizione intrinseca della vetta stessa: “la cima è una pura astrazione o è un elemento facilmente raggiungibile”.
a cura di Michela Lupieri
AMEDEO MARTEGANI | FRANCESCO MATTUZZI | WALTER NIEDERMAYR | FABRIZIO PERGHEM
AMS è l’acronimo dell’espressione inglese “Acute Mountain Sickness”, ovvero della sindrome conosciuta ai più come MAL DI MONTAGNA. Una condizione patologica per l’organismo, talvolta letale, causata dal mancato adattamento del fisico alle grandi altitudini. Indice di una situazione di rischio e di pericolo, l’espressione possiede nel pensiero comune un’accezione negativa.
Linguisticamente, però, è interessante notare come la dicitura MAL DI MONTAGNA sia simile per assonanza all’espressione “Mal d’Africa” che, all’opposto, indica quella sensazione di nostalgia provata da chi ha visitato il continente africano e, a tutti i costi, desidera tornarci. Attraverso uno scarto linguistico, la mostra presentata da MARS si origina dall’espressione MAL DI MONTAGNA ampliandone il significato. Ci si può riferire al MAL DI MONTAGNA come a quella sensazione di improvvisa e meravigliata estasi che le cime esercitano su chi le guarda? O come alla nostalgia che investe chi ha già scalato una cima e, a tutti i costi, desidera ritornarci?
Nel corso della storia il territorio montano ha stimolato metodi inconsueti di osservazione e studio, mettendo a
disposizione punti di osservazione sul paesaggio, come spazi sperduti e solitari, per lo sviluppo di immagini complesse, rese attraverso l'utilizzo dei più diversi linguaggi artistici. Dai tempi più remoti, l’attrazione verso luoghi tanto impervi e pericolosi, quanto unici e meravigliosi, ha spinto gli artisti a esplorare le cime delle montagne, trascorrendo brevi periodi in quota per realizzare progetti site-specific.
MAL DI MONTAGNA unisce lo sguardo di quattro artisti contemporanei di differenti generazioni e provenienze geografiche che, in maniera diversa, si sono misurati con questo territorio. Attraverso linguaggi eterogenei – video, installazioni, fotografie – la mostra presenta la montagna come un luogo di stimolo per la ricerca artistica, e crea una narrazione che invita l’osservatore a confrontarsi con le alte quote.
Questa mostra è il proseguimento di un più ampio progetto di ricerca, avviato agli inizi del 2014, che riguarda lo studio della rappresentazione del paesaggio montano e le modalità con cui l’artista contemporaneo si relaziona a questo territorio. Il progetto di mostra è stato proposto per l’open call lanciata da MARS, ed è stato selezionato come progetto vincitore.
MAL DI MONTAGNA rientra all’interno di STUDI - Festival di studi d’artista a cura di Vincenzo Chiarandà, Anna Stuart Tovini, Claudio Corfone e Rebecca Moccia con il supporto dell’Associazione freeUnDo.
LAVORI IN MOSTRA
Amedeo Martegani
Frane. L’impazienza della terra, due stampe fotografiche analogiche a contatto, 2014.
Francesco Mattuzzi
Pianeta bianco, video, 14’, 2014.
Walter Niedermayr
GoPro, video HD, 7’44’’, 2013. Courtesy: l’artista e Galerie Nordenhake, Berlin/Stockholm.
Fabrizio Perghem
Sopra le foreste, fotografia e calco in paraffina, 2012.
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La serie fotografica di Amedeo Martegani (Milano, 1963) appartiene al ciclo Frane. L’impazienza della terra.
Il lavoro parla dell’instabilità della materia, dei processi geologici e di come l’uomo abbia la fortuna, a volte, di
presenziare a questi eventi per catturare le trasformazioni della terra. Trovandosi in prossimità della Rocca di San Leo, sugli Appennini romagnoli, Martegani imprime, per contatto su carta fotografica, il cedimento improvviso della roccia opposta al forte - eretto su un’isola calcarea in un mare di argilla -. Dall’apparente aspetto di neri e uniformi monocromi, le stampe richiedono un certo tempo prima che l’occhio si adatti a riconoscere le forme che vi sono celate. Questo tempo di fruizione del lavoro - intimo, lento e graduale - è fondamentale, in quanto imprime nella mente dell’osservatore una memoria dell’immagine contemplata che, di fatto, va a sostituirsi all’immagine stessa. In questo modo, come scrive l’artista “per lo spettatore sarà più semplice ricostruire mentalmente i volumi rocciosi, piuttosto che ricordarne le forme osservate”.
In Pianeta bianco, Francesco Mattuzzi (Varese, 1979) compie un viaggio in quota sul ghiacciaio Fréboudze del Monte Bianco per raccontare una storia in bilico tra finzione e realtà. Il documentario è girato al di sopra dei 2500 metri, tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, in un punto del versante in cui i residui delle valanghe creano naturalmente un paesaggio apocalittico e completamente trasfigurato. Il titolo, mutuato dal mondo della fantascienza, allude alla condizione dello spettatore durante il film: posto di fronte all’ignoto e privato di qualsiasi riferimento spaziale o temporale. All’inizio della storia il narratore evoca pianeti lontani e difficilmente raggiungibili; come Giove e Saturno, semiliquidi e composti di solo ghiaccio. Qual è il pianeta-mondo cui l'artista vuole fare riferimento? Le immagini riprendono porzioni di terra ghiacciata, ripida, avvolta dalla nebbia: un non-luogo dai confini incerti. La dimensione, la direzione e le distanze sono annullate; il ricercatore cammina in uno spazio che possiede un unico punto di riferimento: una luce in lontananza, di cui è impedito conoscere l'origine o l'identità, indica la direzione. È la meta del viaggio nonché la fine del racconto.
Walter Niedermayr (Bolzano, 1952) è sul ghiacciaio della Sarenne, presso il Pic du Lac Blanc, a 3.323 metri di quota, per realizzare GoPro: un video, girato con un’inquadratura fissa, appartenente a un ciclo di lavori sugli eventi sportivi, tesi a raccontare le modalità con cui il paesaggio alpino e la sua percezione vengono spesso inconsapevolmente manipolati dall’uomo. L’interesse dell’artista è di “fissare le dinamiche di ciò che accade come se fosse un’immagine in movimento, che sviluppa una vita propria attraverso la storia che i soggetti raccontano in quel contesto”. In questo lavoro Niedermayr assiste a una gara in cui i partecipanti, con una bici da downhill, cercano di scendere sul pendio scosceso del ghiacciaio. Se lo sguardo dei partecipanti alla gara è concentrato verso il basso ed estraneo al paesaggio intorno, diversamente si pone quello dell’artista. L’estraneità e il distacco dall’azione ne modificano sia la vista sia la percezione: “il susseguirsi logico degli eventi diventa cosí assurdo che potrebbe mettere in discussione la situazione così come il suo
significato”. I partecipanti alla gara sono così concentrati sulla discesa da non percepire il paesaggio intorno a loro.
“Come in un parco di divertimenti acquatici il paesaggio diventa uno scivolo ad acqua e, come un'attrezzatura sportiva, viene utilizzato”.
Sopra le foreste è un progetto di ricerca, avviato da Fabrizio Perghem (Rovereto, 1981) nel 2012, che cerca di dare una possibile risposta a un cruccio personale: “l'esperienza dell'ascensione si può identificare con il raggiungimento della vetta?” A partire da questa riflessione l'artista sviluppa una serie di azioni: una salita in solitaria del Monte Cervino, la ripresa di un documento fotografico e la creazione di una scultura in paraffina, calco di una roccia recuperata durante l’ascesa. Gli elementi proposti, traccia dell’esperienza ascensionale, suggeriscono l'idea di un'azione artistica profondamente complessa, stratificata nel tempo e molto intima. Il rapporto tra le differenti forme visive, si relaziona
ulteriormente con l’idealizzata staticità della montagna, con quell'irraggiungibilità additata a condizione intrinseca della vetta stessa: “la cima è una pura astrazione o è un elemento facilmente raggiungibile”.
10
febbraio 2015
Mal di Montagna
Dal 10 al 15 febbraio 2015
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
MARS
Milano, Via Guido Guinizelli, 6, (Milano)
Milano, Via Guido Guinizelli, 6, (Milano)
Orario di apertura
11-15 febbraio 2015 dalle 18.00 alle 20.00 e su appuntamento
Vernissage
10 Febbraio 2015, Ore 18.00
Autore
Curatore