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Manuela Bedeschi – Pindarica
Mostra personale
Comunicato stampa
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Per me dare titolo allle opere è operazione complessa, che passa dai primi pensieri, istintivi e immediati, a quegli scavi interiori che cercano le origini delle emozioni.
Questa volta il titolo originario dell’installazione era «cielomare», abbastanza descrittivo di quello che ho pensato di rappresentare: gli elementi della natura, l’acqua, i prati, il mare, il tramonto… tutto quello che, nella sua purezza, induce alle riflessioni più spirituali.
Poi, concentrandomi sulla realizzazione dell’opera, ho sentito con forza la sensazione del volo e ho cambiato il titolo in «pindarica», forse per aggiungere un po’ di illusa poesia a quel soffio d’aria che ho cercato di raccontare.
M.B.
Lo spazio dell’antica chiesa del complesso monumentale di San Silvestro è un luogo ideale per sviluppare il racconto di luce e di colore di Manuela Bedeschi.
C’è nella traiettoria di aerei neon slanciati nello spazio il richiamo immaginativo della spiritualità, fra memorie di pittura e rapporti creativi con ambienti sacri, che hanno da sempre arricchito le sue riflessioni mentali.
Questa caratteristica, stabile nella sua personalità, si regge sull’intento del confronto con ambienti dell’anima suggestivi e il fine di tradurre ora l’adattabilità delle installazioni, declinate in flusso di luminosità e di colore, in un bel rapporto con architetture connotate dalla storia e lontane dalla contemporaneità.
L’atteggiamento creativo di Bedeschi si proietta nel tempo passato, fin all’inizio della pratica pittorica sostenuta da un percorso di immagini raffiguranti autentiche riprese di “Cuori di Gesù” trafitti da spada, di piccoli angeli vestiti d’azzurro, di teatrini e altri oggetti interpretati con un intento progettuale e carichi d’intensità esistenziale. E questa caratteristica corre sul filo della memoria dell’infanzia, e trapassa fluida e costante nell’intenso legame di Bedeschi con l’arte e al suo valore, che diventa oggi capacità di relazione con lo spazio della chiesa di San Silvestro, nel fine di unirlo armoniosamente al tracciato di linee cromaticamente luminose.
È perciò possibilità di andare oltre alla pittura attraverso la tecnica, già presente nei lontani anni Sessanta e tipica novità di Dan Flavin, che Bedeschi sperimenta negli anni; da quando intercettava il colore di tubi neon e lo dilatava fino a sottolineare un soffuso profilo curvilineo installato da piccola abside, chiara espressione di pensiero e di volontà di forma. Diversamente, angoli e pareti di ambienti rurali valevano da luoghi da scoprire su precise direttrici luminose, con esiti di zone scure ed altre che sembravano sorgere dal profondo dell’oscurità, per svelarsi in rarefatte apparizioni.
Acquista quindi voce nella chiesa di San Silvestro l’installazione lanciata nello spazio architettonico del tempio; pensata nella fusione di colore e luce in nastri industriali traccia un avanzamento nella sensibilità di Bedeschi. Sono neon, che concentrano la luminosità in un’onda di linee luminose, metafora di un paesaggio proposto, per sintesi contemporanea, in filamenti di colori impalpabili.
È uno scatto della fantasia: l’installazione, in dialettica con l’ambiente architettonico, delega all’idea di un lirico paesaggio, reso con materiale industriale, l’artifizio di ospitare un aereo sogno di natura.
Da qui ecco percorsi pittorici di materia - luce dimentichi dell’orizzonte, che reinventano per luminosità cromatica un’astratta realtà, dove il verde allusivo dell’erba di un prato, di sostanza lieve, si accompagna a una striatura d’arancio di un tramonto, per subito unirsi al sidereo segno azzurro di un cielo-mare.
Entra così una folata d’aria nella penombra diffusa. È preziosa: si svela per soffice luce.
Maria Lucia Ferraguti
“SIA LA LUCE !” (Genesi 1,3)
-Ma come posso legarmi a un cotto così grezzo e rugoso o a una pietra tanto fredda e polverosa? Un’Artista vuole tessere un’antica trama sottile di luce vecchia e nuova insieme, modulata dai colori del mare con rimandi all’infinito del cielo…
Dai, concedimi uno spazio: il mio brillare caldo e generoso deve avvolgerti, anche se sei di una realtà talmente diversa: di mio niente ti appartiene!
-Sì, certo, sono fatto di terra… non sono che un povero cotto e la pietra, che mesta mi abita accanto, avverte come insostenibile ferita lo strazio della tua arroganza.
Ma come fai a non rammentare che, per più di un millennio, hai fatto palpitare il sacro di queste pareti spoglie, dei deserti muri, dei poveri pavimenti, delle inabitate preghiere marmoree, penetrando amorosa e delicatissima dall’alto, in un velo vibrante e corpuscolato e portando con te il discorrere paziente, che sospende i tuoi raggi lassù nella bifora, pregio e orgoglio della facciata?
Non capisco come ora tu ti permetta di irrompere così sfrontata e impietosa, offendendo tutto l’incanto di un tempo e… di noi.
-Ma ora io vivo nelle preziose risonanze, nelle segrete evocazioni delle opere di Manuela Bedeschi!
Sai, i suoi moduli fascinosi di luce si aggiungono, si addensano, si assommano in un tutt’uno, in un intrico plurimo dove le cromie luminose al neon scivolano una sull’altra, si rincorrono, si moltiplicano.
Si muovono là dove l’azzurro dell’acqua muta nel verde del respiro delle fronde e l’onda plastica riluce, dimentica del limite.
Poi si espande come musica che si compone suonando, come il ritmo del jazz dove ogni nota grida, esplode il suo sorriso gioioso, dove ogni parola è destino diventi poesia, dove anche il mare reclama un filo aranciato che balugina l’orizzonte.
Ora non mi puoi comprendere, forse non mi capirai mai, siamo troppo diversi!
-Ti sbagli, cara amica mia: prima di parlare rifletti: pensa alle nostre comuni origini tanto lontane eppur tanto simili!
Ai primordi, all’inizio noi bruciavamo insieme: tu luce viva, io materia incandescente!
Agli albori dell’universo esplosi, rotolai, precipitai raffreddando… ora ti ritrovo e voglio ricomporre, riprendere quello che mi appartiene: tessi pure la tua vela gonfia e scintillante, questo grande aquilone cui appendere sogni, desideri, speranze, la mia sostanza opaca pregna d’ombra sosterrà il tuo raggio, l’energia, il calore: non è forse il buio che regge la luce?
Non è forse il blu della notte che sostiene una coperta di stelle? O lo scuro pregno di tenebre a consegnare gli albori del giorno, il primo chiarore dell’alba?
-Sì… certo… è vero… perdona… ho ricevuto dalla tua sostanza opaca tutta l’intuizione per trasmettere la bellezza del soffio luminoso della vita: Manuela Bedeschi, straordinaria artefice, opera come il pulsare arcano e silenzioso di quello che può ritenersi un insolito procedimento alchemico: una ricerca che apre a piccoli passi una timida fessura, un pertugio nel nero che poi a mano a mano si snoda, evolve, matura fino a generare il più invisibile, l’infinitesimale luccichio, che libera a poco a poco frammenti impalpabili, tremuli bagliori estesi a svelare un nugolo giocoso di lucciole tanto attese.
Marifulvia Matteazzi Alberti
Questa volta il titolo originario dell’installazione era «cielomare», abbastanza descrittivo di quello che ho pensato di rappresentare: gli elementi della natura, l’acqua, i prati, il mare, il tramonto… tutto quello che, nella sua purezza, induce alle riflessioni più spirituali.
Poi, concentrandomi sulla realizzazione dell’opera, ho sentito con forza la sensazione del volo e ho cambiato il titolo in «pindarica», forse per aggiungere un po’ di illusa poesia a quel soffio d’aria che ho cercato di raccontare.
M.B.
Lo spazio dell’antica chiesa del complesso monumentale di San Silvestro è un luogo ideale per sviluppare il racconto di luce e di colore di Manuela Bedeschi.
C’è nella traiettoria di aerei neon slanciati nello spazio il richiamo immaginativo della spiritualità, fra memorie di pittura e rapporti creativi con ambienti sacri, che hanno da sempre arricchito le sue riflessioni mentali.
Questa caratteristica, stabile nella sua personalità, si regge sull’intento del confronto con ambienti dell’anima suggestivi e il fine di tradurre ora l’adattabilità delle installazioni, declinate in flusso di luminosità e di colore, in un bel rapporto con architetture connotate dalla storia e lontane dalla contemporaneità.
L’atteggiamento creativo di Bedeschi si proietta nel tempo passato, fin all’inizio della pratica pittorica sostenuta da un percorso di immagini raffiguranti autentiche riprese di “Cuori di Gesù” trafitti da spada, di piccoli angeli vestiti d’azzurro, di teatrini e altri oggetti interpretati con un intento progettuale e carichi d’intensità esistenziale. E questa caratteristica corre sul filo della memoria dell’infanzia, e trapassa fluida e costante nell’intenso legame di Bedeschi con l’arte e al suo valore, che diventa oggi capacità di relazione con lo spazio della chiesa di San Silvestro, nel fine di unirlo armoniosamente al tracciato di linee cromaticamente luminose.
È perciò possibilità di andare oltre alla pittura attraverso la tecnica, già presente nei lontani anni Sessanta e tipica novità di Dan Flavin, che Bedeschi sperimenta negli anni; da quando intercettava il colore di tubi neon e lo dilatava fino a sottolineare un soffuso profilo curvilineo installato da piccola abside, chiara espressione di pensiero e di volontà di forma. Diversamente, angoli e pareti di ambienti rurali valevano da luoghi da scoprire su precise direttrici luminose, con esiti di zone scure ed altre che sembravano sorgere dal profondo dell’oscurità, per svelarsi in rarefatte apparizioni.
Acquista quindi voce nella chiesa di San Silvestro l’installazione lanciata nello spazio architettonico del tempio; pensata nella fusione di colore e luce in nastri industriali traccia un avanzamento nella sensibilità di Bedeschi. Sono neon, che concentrano la luminosità in un’onda di linee luminose, metafora di un paesaggio proposto, per sintesi contemporanea, in filamenti di colori impalpabili.
È uno scatto della fantasia: l’installazione, in dialettica con l’ambiente architettonico, delega all’idea di un lirico paesaggio, reso con materiale industriale, l’artifizio di ospitare un aereo sogno di natura.
Da qui ecco percorsi pittorici di materia - luce dimentichi dell’orizzonte, che reinventano per luminosità cromatica un’astratta realtà, dove il verde allusivo dell’erba di un prato, di sostanza lieve, si accompagna a una striatura d’arancio di un tramonto, per subito unirsi al sidereo segno azzurro di un cielo-mare.
Entra così una folata d’aria nella penombra diffusa. È preziosa: si svela per soffice luce.
Maria Lucia Ferraguti
“SIA LA LUCE !” (Genesi 1,3)
-Ma come posso legarmi a un cotto così grezzo e rugoso o a una pietra tanto fredda e polverosa? Un’Artista vuole tessere un’antica trama sottile di luce vecchia e nuova insieme, modulata dai colori del mare con rimandi all’infinito del cielo…
Dai, concedimi uno spazio: il mio brillare caldo e generoso deve avvolgerti, anche se sei di una realtà talmente diversa: di mio niente ti appartiene!
-Sì, certo, sono fatto di terra… non sono che un povero cotto e la pietra, che mesta mi abita accanto, avverte come insostenibile ferita lo strazio della tua arroganza.
Ma come fai a non rammentare che, per più di un millennio, hai fatto palpitare il sacro di queste pareti spoglie, dei deserti muri, dei poveri pavimenti, delle inabitate preghiere marmoree, penetrando amorosa e delicatissima dall’alto, in un velo vibrante e corpuscolato e portando con te il discorrere paziente, che sospende i tuoi raggi lassù nella bifora, pregio e orgoglio della facciata?
Non capisco come ora tu ti permetta di irrompere così sfrontata e impietosa, offendendo tutto l’incanto di un tempo e… di noi.
-Ma ora io vivo nelle preziose risonanze, nelle segrete evocazioni delle opere di Manuela Bedeschi!
Sai, i suoi moduli fascinosi di luce si aggiungono, si addensano, si assommano in un tutt’uno, in un intrico plurimo dove le cromie luminose al neon scivolano una sull’altra, si rincorrono, si moltiplicano.
Si muovono là dove l’azzurro dell’acqua muta nel verde del respiro delle fronde e l’onda plastica riluce, dimentica del limite.
Poi si espande come musica che si compone suonando, come il ritmo del jazz dove ogni nota grida, esplode il suo sorriso gioioso, dove ogni parola è destino diventi poesia, dove anche il mare reclama un filo aranciato che balugina l’orizzonte.
Ora non mi puoi comprendere, forse non mi capirai mai, siamo troppo diversi!
-Ti sbagli, cara amica mia: prima di parlare rifletti: pensa alle nostre comuni origini tanto lontane eppur tanto simili!
Ai primordi, all’inizio noi bruciavamo insieme: tu luce viva, io materia incandescente!
Agli albori dell’universo esplosi, rotolai, precipitai raffreddando… ora ti ritrovo e voglio ricomporre, riprendere quello che mi appartiene: tessi pure la tua vela gonfia e scintillante, questo grande aquilone cui appendere sogni, desideri, speranze, la mia sostanza opaca pregna d’ombra sosterrà il tuo raggio, l’energia, il calore: non è forse il buio che regge la luce?
Non è forse il blu della notte che sostiene una coperta di stelle? O lo scuro pregno di tenebre a consegnare gli albori del giorno, il primo chiarore dell’alba?
-Sì… certo… è vero… perdona… ho ricevuto dalla tua sostanza opaca tutta l’intuizione per trasmettere la bellezza del soffio luminoso della vita: Manuela Bedeschi, straordinaria artefice, opera come il pulsare arcano e silenzioso di quello che può ritenersi un insolito procedimento alchemico: una ricerca che apre a piccoli passi una timida fessura, un pertugio nel nero che poi a mano a mano si snoda, evolve, matura fino a generare il più invisibile, l’infinitesimale luccichio, che libera a poco a poco frammenti impalpabili, tremuli bagliori estesi a svelare un nugolo giocoso di lucciole tanto attese.
Marifulvia Matteazzi Alberti
03
ottobre 2009
Manuela Bedeschi – Pindarica
Dal 03 ottobre all'otto novembre 2009
arte contemporanea
Location
COMPLESSO MUSEALE DI SAN SILVESTRO
Vicenza, San Silvestro, (Vicenza)
Vicenza, San Silvestro, (Vicenza)
Orario di apertura
ven. sab. dom ore 15.30-19
Vernissage
3 Ottobre 2009, ore 18.30
Ufficio stampa
STUDIO ESSECI
Autore
Curatore