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Marc Chagall – Come nella pittura, così nella poesia
In concomitanza con il Festivaletteratura, ecco la mostra dedicata a Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985) il pittore che insieme a Picasso e Robert Delaunay ha forse ispirato il maggior numero di poeti, scrittori e critici militanti del Novecento.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Aprirà al pubblico il 5 settembre 2018 a Mantova, in concomitanza con il Festivaletteratura, la mostra dedicata
a Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985) il pittore che insieme a Picasso
e Robert Delaunay ha forse ispirato il maggior numero di poeti, scrittori e critici militanti del Novecento.
La mostra a cura di Gabriella Di Milia, in collaborazione con la Galleria di Stato Tretjakov di Mosca, è promossa
dal Comune di Mantova e organizzata e prodotta con la casa editrice Electa.
Marc Chagall come nella pittura, così nella poesia sarà allestita a Palazzo della Ragione, monumento
medievale che sorge nel cuore della città, decorato con straordinari cicli di affreschi, per secoli centro del potere
civico di Mantova. Il Palazzo sarà restituito alla città proprio a settembre, dopo un lungo e complesso intervento
di valorizzazione che consentirà di ospitare un palinsesto di attività culturali ricco e qualificato.
In particolare il Comune di Mantova ha inaugurato con la casa editrice Electa una programmazione espositiva
triennale dedicata al Novecento, di cui Chagall è la prima tappa.
La mostra espone oltre 130 opere tra cui il ciclo completo dei 7 teleri dipinti da Chagall nel 1920
per il Teatro ebraico da camera di Mosca: opere straordinarie che rappresentano il momento più rivoluzionario
e meno nostalgico del suo percorso artistico.
I teleri costituiscono un prestito eccezionale della Galleria di Stato Tretjakov di Mosca, di assai rara presenza
in Italia: furono esposti a Milano nel 1994 e a Roma nel 1999 dopo le esposizioni del 1992 al Guggenheim
di New York e del 1993 al The Art Institute di Chicago.
Il progetto espositivo proporrà, attorno alle sette opere, la ricostruzione dell’environment del Teatro ebraico
da camera, ossia una “scatola” di circa 40 metri quadrati di superficie, per cui Chagall aveva realizzato, oltre
ai dipinti parietali, le decorazioni per il soffitto, il sipario, insieme a costumi e scenografie per tre opere teatrali.
Una selezione di opere emblematiche (dipinti e acquerelli) di Marc Chagall degli anni 1911 – 1918 accompagnerà
l’allestimento immersivo del Teatro ebraico da camera, insieme a una serie di acqueforti, eseguite tra il 1923 e il 1939,
tra cui le illustrazioni per le Anime morte di Gogol’, per le Favole di La Fontaine e per la Bibbia. Le incisioni si inseriscono
nel percorso espositivo a testimoniare lo stretto rapporto tra arte e letteratura nel periodo delle avanguardie.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Electa che, oltre a restituire le influenze e contaminazioni
artistiche e culturali che Chagall assorbì vivendo a Vitebsk, San Pietroburgo, Parigi e Mosca, racconta
la fascinazione che il pittore russo esercitò su poeti, artisti, letterati dell’inizio del secolo scorso.
Il volume raccoglierà, per la prima volta tradotti, i principali testi letterari e poetici che, sull’artista, hanno scritto,
critici, intellettuali e poeti del suo tempo.
La pittrice Marevna descrive Chagall a Parigi dove si trasferì nel 1910 come un personaggio unico: “Estremamente
seducente, sicuro di sé e pieno d’ambizione, abbandona molto presto il gruppo degli emigrati per avvicinarsi
all’ambiente dell’avanguardia internazionale. I suoi amici sono: scrittori progressisti come Apollinaire e Ricciotto
Canudo e i cubisti di Montparnasse, vicini a Robert Delaunay”.
Comunicato stampa
Trasferitosi a Parigi dal 1910, Chagall non può abbandonare i ricordi della vita a Vitebsk, perché i suoi sentimenti
si sono sviluppati e raffinati nella sofferenza ebraica. Ma poteva correre il pericolo di essere sopraffatto dai suoi
inquietanti fantasmi. Cerca perciò una soluzione di ordine formale nel linguaggio dell’avanguardia.
Pur mantenendo un interesse preminente per i suoi soggetti, adotta la libertà di mezzi del cubismo e, svuotando
la forma geometrica di tutto quel che poteva ricondurre al reale, riesce a rimanere fedele al modo di vedere, sentire
e immaginare della sua infanzia e giovinezza. La sua pittura non avrà altre prospettive, egli rimarrà per tutto
il corso della sua vita fermo nella decisione di restare il pittore che è nato.
Chagall infatti non si è mai inserito in una corrente artistica fermandovisi e compiendo una scelta definitiva.
Il legame con la tradizione russa, ebraica orientale e, nello stesso tempo, il desiderio di non sentirsi
completamente escluso dalla vitalità delle nuove proposte dell’arte occidentale lo hanno spinto ad accostare
culture e stili lontani. Villaggi dipinti con una elementarità volutamente infantile, suppellettili dall’aspetto naif
- come nelle insegne delle botteghe della provincia russa, collezionate da lui stesso e dai cubo-futuristi russi -,
associati a virtuosistiche scomposizioni, a invenzioni geometriche, costituiscono una ricorrente aneddotica che
sembra insinuarsi per squilibrare il più possibile un quadro e che non vi riesce quasi mai perché ricomposta in un
imprevedibile ordito. La scomposizione serve all’artista per sviluppare un linguaggio otticamente associativo,
commisurato al linguaggio del sogno.
Lo stesso si può affermare per i simultanei e trasparenti contrasti cromatici attinti alla pittura di Sonia e Robert
Delaunay. Gli oggetti, gli animali, i personaggi, ingranditi o miniaturizzati, divengono catalizzatori di stati
d’animo, di associazioni insolite, le loro superfici non sono dinamizzate e scomposte per creare effetti di
movimento ma per rompere una rigida compattezza e conferire alle immagini una ambiguità evocativa che rende
ogni cosa sconosciuta.
Così come nella sperimentazione dei dipinti per il Teatro ebraico di Mosca, nei quali le scansioni cromatiche non
costituiscono una completa adesione di Chagall all’astrattismo e al suprematismo, che l’artista considera, come
il cubismo, troppo realista. Un triangolo, un cerchio, un quadrato, sono per lui oggetti. Al suo avversario Malevič pare
che abbia detto: “Un quadrato, posso sedermi sopra, comprende mio caro: un quadrato è un oggetto.”
Chagall e le Avanguardie
Il Teatro ebraico da camera di Mosca
Dopo i fondali celebrativi del primo anniversario della rivoluzione d’ottobre, eseguiti da Chagall a Vitebsk nel 1918,
per la seconda volta l’artista realizza un’opera di carattere collettivo, dedicata alla realtà teatrale così concentrata
sull’arte delle apparenze.
I teleri di Chagall per l’esordiente Teatro ebraico da camera di Mosca (1920) costituirono una rara opportunità,
non solo per le dimensioni notevoli ma anche perché anticiparono i programmi innovatori che il regista Aleksej
Granovskij si proponeva. L’esigenza di collegarsi all’attualità liberò inoltre l’autore da quel senso di nostalgia che
spesso predominava nei suoi stati d’animo. Nel ciclo pittorico il teatro si identifica con la festa della rivoluzione
d’ottobre vissuta da Chagall come rinnovamento e affermazione della massima libertà individuale.
Nel grande pannello Introduzione al teatro ebraico, che occupava la parete sinistra della platea, si avverte
subito che Chagall si è svincolato dal quel che era diventato il suo modo abituale di fare pittura, sperimentando
metodi più sintetici e immediati. Le strisce del fondo, che si intersecano in settori curvilinei, sono modulate
dal nero alle più impalpabili, chiarissime tinte. Sono geometrie che dividono in comparti i singoli protagonisti
di una grande parata e, nello stesso tempo, li tengono insieme. La parte sinistra del dipinto, con il gruppo dei ritratti
a grandezza naturale dei personaggi attivi nell’impresa: dal regista Granovskij al critico Efros, agli attori, è scherzosa,
come per sdrammatizzare le difficoltà da affrontare. Lo stesso Chagall, portato in braccio da Efros, appare
il simbolo di un atteggiamento battagliero. L’artista mette insieme gesti, caratteri, funzioni, situazioni di una umanità
che vive l’incerto presente, coinvolta in incidenti di ogni tipo e condizionata da manie che la fanno apparire isolata
nella bizzarria di una nuova condizione. Volendo accettare tutti gli elementi contraddittori di un momento storico
colmo di interrogativi l’artista doveva sentirsi fortemente combattuto. Probabilmente riuscì a contenere tutte
le spinte contrarie e opposte per la sua vicinanza al chassidismo, il movimento mistico ebraico che gli suggerì
i modi di affrontare le difficoltà della vita quotidiana insieme a tutto il grande subbuglio psicologico di quegli
anni russi brulicanti di violenza e sogni impossibili. La saggezza chassidica cresceva nella gioia piena della
vita, alla tavola del rabbino nei giorni di festa, mediante sentenze, epigrammi, leggende, improvvisazioni esegetiche
che puntavano alla redenzione dal peccato con il paradosso e l’ironia. Oppure nelle capriole per le vie e nei mercati
che esprimevamo la fiducia nell’emozione spontanea come mezzo di comunicazione con Dio.
Nello spazio di massima evanescenza a destra, i tre saltimbanchi, che ricordano i pagliacci del teatro popolare
ebraico, sono degli svitati, dei folli di Dio, che uniscono santità e allegria. Questa parete dipinta con pennellate
leggere ed euforiche indica che qualcosa di nuovo è avvenuto nella mente dell’artista e che egli è pronto
a realizzare nuovi capolavori.
Nel teatro erano situati, sulla parete di destra, i quattro quadri raffiguranti le Arti personificate: la Musica
rappresentata da un violinista mefistofelico, la Danza da una mastodontica ballerina, il Teatro dal Badchan,
l’animatore di matrimoni ebrei e, infine, La Letteratura dalla figura tutta bianca dello scriba-poeta. I pannelli sono
sormontati da una striscia di simboli commestibili e terribili. È questo il Fregio che rappresenta il banchetto
nuziale in cui, accanto a pesci, pani, frutta e galli vivi, si serve anche un amante defunto, per accennare forse al fatto
che il vecchio teatro ebraico sarebbe stato soppiantato da una poetica dell’assurdo.
Dirigendosi verso la porta d’uscita della sala gli spettatori potevano osservare il dipinto Amore sulla scena,
opera in cui è evidente sino a che punto Chagall poteva spingersi nell’uso di elementi non oggettivi rimanendo
il pittore delle suggestive immagini psichiche, a doppio senso.
a Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985) il pittore che insieme a Picasso
e Robert Delaunay ha forse ispirato il maggior numero di poeti, scrittori e critici militanti del Novecento.
La mostra a cura di Gabriella Di Milia, in collaborazione con la Galleria di Stato Tretjakov di Mosca, è promossa
dal Comune di Mantova e organizzata e prodotta con la casa editrice Electa.
Marc Chagall come nella pittura, così nella poesia sarà allestita a Palazzo della Ragione, monumento
medievale che sorge nel cuore della città, decorato con straordinari cicli di affreschi, per secoli centro del potere
civico di Mantova. Il Palazzo sarà restituito alla città proprio a settembre, dopo un lungo e complesso intervento
di valorizzazione che consentirà di ospitare un palinsesto di attività culturali ricco e qualificato.
In particolare il Comune di Mantova ha inaugurato con la casa editrice Electa una programmazione espositiva
triennale dedicata al Novecento, di cui Chagall è la prima tappa.
La mostra espone oltre 130 opere tra cui il ciclo completo dei 7 teleri dipinti da Chagall nel 1920
per il Teatro ebraico da camera di Mosca: opere straordinarie che rappresentano il momento più rivoluzionario
e meno nostalgico del suo percorso artistico.
I teleri costituiscono un prestito eccezionale della Galleria di Stato Tretjakov di Mosca, di assai rara presenza
in Italia: furono esposti a Milano nel 1994 e a Roma nel 1999 dopo le esposizioni del 1992 al Guggenheim
di New York e del 1993 al The Art Institute di Chicago.
Il progetto espositivo proporrà, attorno alle sette opere, la ricostruzione dell’environment del Teatro ebraico
da camera, ossia una “scatola” di circa 40 metri quadrati di superficie, per cui Chagall aveva realizzato, oltre
ai dipinti parietali, le decorazioni per il soffitto, il sipario, insieme a costumi e scenografie per tre opere teatrali.
Una selezione di opere emblematiche (dipinti e acquerelli) di Marc Chagall degli anni 1911 – 1918 accompagnerà
l’allestimento immersivo del Teatro ebraico da camera, insieme a una serie di acqueforti, eseguite tra il 1923 e il 1939,
tra cui le illustrazioni per le Anime morte di Gogol’, per le Favole di La Fontaine e per la Bibbia. Le incisioni si inseriscono
nel percorso espositivo a testimoniare lo stretto rapporto tra arte e letteratura nel periodo delle avanguardie.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Electa che, oltre a restituire le influenze e contaminazioni
artistiche e culturali che Chagall assorbì vivendo a Vitebsk, San Pietroburgo, Parigi e Mosca, racconta
la fascinazione che il pittore russo esercitò su poeti, artisti, letterati dell’inizio del secolo scorso.
Il volume raccoglierà, per la prima volta tradotti, i principali testi letterari e poetici che, sull’artista, hanno scritto,
critici, intellettuali e poeti del suo tempo.
La pittrice Marevna descrive Chagall a Parigi dove si trasferì nel 1910 come un personaggio unico: “Estremamente
seducente, sicuro di sé e pieno d’ambizione, abbandona molto presto il gruppo degli emigrati per avvicinarsi
all’ambiente dell’avanguardia internazionale. I suoi amici sono: scrittori progressisti come Apollinaire e Ricciotto
Canudo e i cubisti di Montparnasse, vicini a Robert Delaunay”.
Comunicato stampa
Trasferitosi a Parigi dal 1910, Chagall non può abbandonare i ricordi della vita a Vitebsk, perché i suoi sentimenti
si sono sviluppati e raffinati nella sofferenza ebraica. Ma poteva correre il pericolo di essere sopraffatto dai suoi
inquietanti fantasmi. Cerca perciò una soluzione di ordine formale nel linguaggio dell’avanguardia.
Pur mantenendo un interesse preminente per i suoi soggetti, adotta la libertà di mezzi del cubismo e, svuotando
la forma geometrica di tutto quel che poteva ricondurre al reale, riesce a rimanere fedele al modo di vedere, sentire
e immaginare della sua infanzia e giovinezza. La sua pittura non avrà altre prospettive, egli rimarrà per tutto
il corso della sua vita fermo nella decisione di restare il pittore che è nato.
Chagall infatti non si è mai inserito in una corrente artistica fermandovisi e compiendo una scelta definitiva.
Il legame con la tradizione russa, ebraica orientale e, nello stesso tempo, il desiderio di non sentirsi
completamente escluso dalla vitalità delle nuove proposte dell’arte occidentale lo hanno spinto ad accostare
culture e stili lontani. Villaggi dipinti con una elementarità volutamente infantile, suppellettili dall’aspetto naif
- come nelle insegne delle botteghe della provincia russa, collezionate da lui stesso e dai cubo-futuristi russi -,
associati a virtuosistiche scomposizioni, a invenzioni geometriche, costituiscono una ricorrente aneddotica che
sembra insinuarsi per squilibrare il più possibile un quadro e che non vi riesce quasi mai perché ricomposta in un
imprevedibile ordito. La scomposizione serve all’artista per sviluppare un linguaggio otticamente associativo,
commisurato al linguaggio del sogno.
Lo stesso si può affermare per i simultanei e trasparenti contrasti cromatici attinti alla pittura di Sonia e Robert
Delaunay. Gli oggetti, gli animali, i personaggi, ingranditi o miniaturizzati, divengono catalizzatori di stati
d’animo, di associazioni insolite, le loro superfici non sono dinamizzate e scomposte per creare effetti di
movimento ma per rompere una rigida compattezza e conferire alle immagini una ambiguità evocativa che rende
ogni cosa sconosciuta.
Così come nella sperimentazione dei dipinti per il Teatro ebraico di Mosca, nei quali le scansioni cromatiche non
costituiscono una completa adesione di Chagall all’astrattismo e al suprematismo, che l’artista considera, come
il cubismo, troppo realista. Un triangolo, un cerchio, un quadrato, sono per lui oggetti. Al suo avversario Malevič pare
che abbia detto: “Un quadrato, posso sedermi sopra, comprende mio caro: un quadrato è un oggetto.”
Chagall e le Avanguardie
Il Teatro ebraico da camera di Mosca
Dopo i fondali celebrativi del primo anniversario della rivoluzione d’ottobre, eseguiti da Chagall a Vitebsk nel 1918,
per la seconda volta l’artista realizza un’opera di carattere collettivo, dedicata alla realtà teatrale così concentrata
sull’arte delle apparenze.
I teleri di Chagall per l’esordiente Teatro ebraico da camera di Mosca (1920) costituirono una rara opportunità,
non solo per le dimensioni notevoli ma anche perché anticiparono i programmi innovatori che il regista Aleksej
Granovskij si proponeva. L’esigenza di collegarsi all’attualità liberò inoltre l’autore da quel senso di nostalgia che
spesso predominava nei suoi stati d’animo. Nel ciclo pittorico il teatro si identifica con la festa della rivoluzione
d’ottobre vissuta da Chagall come rinnovamento e affermazione della massima libertà individuale.
Nel grande pannello Introduzione al teatro ebraico, che occupava la parete sinistra della platea, si avverte
subito che Chagall si è svincolato dal quel che era diventato il suo modo abituale di fare pittura, sperimentando
metodi più sintetici e immediati. Le strisce del fondo, che si intersecano in settori curvilinei, sono modulate
dal nero alle più impalpabili, chiarissime tinte. Sono geometrie che dividono in comparti i singoli protagonisti
di una grande parata e, nello stesso tempo, li tengono insieme. La parte sinistra del dipinto, con il gruppo dei ritratti
a grandezza naturale dei personaggi attivi nell’impresa: dal regista Granovskij al critico Efros, agli attori, è scherzosa,
come per sdrammatizzare le difficoltà da affrontare. Lo stesso Chagall, portato in braccio da Efros, appare
il simbolo di un atteggiamento battagliero. L’artista mette insieme gesti, caratteri, funzioni, situazioni di una umanità
che vive l’incerto presente, coinvolta in incidenti di ogni tipo e condizionata da manie che la fanno apparire isolata
nella bizzarria di una nuova condizione. Volendo accettare tutti gli elementi contraddittori di un momento storico
colmo di interrogativi l’artista doveva sentirsi fortemente combattuto. Probabilmente riuscì a contenere tutte
le spinte contrarie e opposte per la sua vicinanza al chassidismo, il movimento mistico ebraico che gli suggerì
i modi di affrontare le difficoltà della vita quotidiana insieme a tutto il grande subbuglio psicologico di quegli
anni russi brulicanti di violenza e sogni impossibili. La saggezza chassidica cresceva nella gioia piena della
vita, alla tavola del rabbino nei giorni di festa, mediante sentenze, epigrammi, leggende, improvvisazioni esegetiche
che puntavano alla redenzione dal peccato con il paradosso e l’ironia. Oppure nelle capriole per le vie e nei mercati
che esprimevamo la fiducia nell’emozione spontanea come mezzo di comunicazione con Dio.
Nello spazio di massima evanescenza a destra, i tre saltimbanchi, che ricordano i pagliacci del teatro popolare
ebraico, sono degli svitati, dei folli di Dio, che uniscono santità e allegria. Questa parete dipinta con pennellate
leggere ed euforiche indica che qualcosa di nuovo è avvenuto nella mente dell’artista e che egli è pronto
a realizzare nuovi capolavori.
Nel teatro erano situati, sulla parete di destra, i quattro quadri raffiguranti le Arti personificate: la Musica
rappresentata da un violinista mefistofelico, la Danza da una mastodontica ballerina, il Teatro dal Badchan,
l’animatore di matrimoni ebrei e, infine, La Letteratura dalla figura tutta bianca dello scriba-poeta. I pannelli sono
sormontati da una striscia di simboli commestibili e terribili. È questo il Fregio che rappresenta il banchetto
nuziale in cui, accanto a pesci, pani, frutta e galli vivi, si serve anche un amante defunto, per accennare forse al fatto
che il vecchio teatro ebraico sarebbe stato soppiantato da una poetica dell’assurdo.
Dirigendosi verso la porta d’uscita della sala gli spettatori potevano osservare il dipinto Amore sulla scena,
opera in cui è evidente sino a che punto Chagall poteva spingersi nell’uso di elementi non oggettivi rimanendo
il pittore delle suggestive immagini psichiche, a doppio senso.
04
settembre 2018
Marc Chagall – Come nella pittura, così nella poesia
Dal 04 settembre 2018 al 13 gennaio 2019
arte moderna
Location
PALAZZO DELLA RAGIONE
Mantova, Piazza Erbe, (Mantova)
Mantova, Piazza Erbe, (Mantova)
Orario di apertura
dal martedì alla domenica, h 9.30 – 19.30
(chiusura della biglietteria h 18.30)
chiuso il lunedì, ad eccezione
del 24 dicembre 2018 e del 7 gennaio 2019
In occasione del Festivaletteratura
(5 – 9 settembre 2018) e della
Notte Bianca “Mantova Vive” (15 settembre 2018)
apertura straordinaria fino alle h 23
(chiusura della biglietteria h 22)
Vernissage
4 Settembre 2018, su invito
Editore
ELECTA
Autore
Curatore