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Marco Antonio Ortiz Delgado
si inaugura a Roma, nello storico quartiere di San Lorenzo, lo spazio denominato KE NAKO (in lingua swati: è il momento) diretto da Sabine Ahrens e Claudio Ciambella. La prima esposizione sarà dedicata a Marco Antonio Ortiz Delgado (Osuna – Siviglia 1985)
Comunicato stampa
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Il 31 marzo 2011 si inaugura a Roma, nello storico quartiere di San Lorenzo, lo spazio denominato KE NAKO (in lingua swati: è il momento) diretto da Sabine Ahrens e Claudio Ciambella.
L’anima del KE NAKO si colloca tra passato e futuro: da un lato si fonda su un terreno di recupero (storia, radici, tradizioni, confronto etnico) e dall’altro si orienta verso ambiti innovativi (ecologia, tecnologia, ricerca artistica), la proposta culturale che prende vita in tale contesto guarda pertanto all’incontro di linguaggi ed espressioni oltreconfine in tutte le sue sfere (grafica d’arte, musica, teatro, cinema) e punta su una qualità di diffusa portata.
Gli appositi spazi in esso dedicati alla grafica d’arte contemporanea sono vocati al segno, alla materia, ai linguaggi digitali in tutte le possibili diramazioni di multipli, stampe e disegni di grande formato, installazioni, fotografie e video; in esso, frutto di un progetto di lungo respiro, prenderà corpo una rassegna internazionale denominata generAzione a cura di Gianluca Murasecchi e Giovanni Turria, appuntamento di confronto di giovani artisti italiani o provenienti da varie nazioni europee formatisi presso la Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Stato di Urbino.
Le esposizioni personali della rassegna avranno una cadenza bi – trimestrale e, a chiusura dell’anno di attività, si prevede la stampa di un catalogo a documento dell’iniziativa.
La prima esposizione sarà dedicata a Marco Antonio Ortiz Delgado (Osuna - Siviglia 1985) dal 31 marzo al 15 maggio 2011, il quale presenterà disegni di grande formato compiuti con libere inchiostrazioni che si orientano verso un’individuazione di forme metaforiche e fantastici bestiari, riflessio
ni sull’attualità di Goya e dei suoi sabba vorticosi e fulmini stregoneschi racchiusi nei Capricci, privo di smanie etiche il suo segnare ci conduce a seduzioni inconsce e ci induce ad apprezzare metamorfosi di un Kafka pacificato.
Il disegno in tale poetica è dunque prescelto quale immediato linguaggio di radicale efficacia, solutore di svianti eccessi, consapevole che nulla sin dalla radice si crea, mentre tutto per certo si ricrea, il suo quid accidentale ci rende stupiti di quanto noi stessi siamo parte di un intruglio, sempre diversificato, di forze primitive tanto più potenti e vive quanto più irrazionali e fatali e che tutto questo contiene una sua propria forma di fascinazione; le sue carte abbagliano e cullano come una bolla amniotica, in esse il suo ego cola nell’acqueo pigmento scagliato con fortuita volontà d’azione, giace, si propaga in cerca di quiete assimilato alle chiazze di inchiostri in espansione, le scelte e le incidenze ne formano le venature, persino i sedimenti dell’identità formano affascinanti screziature che meravigliano e incatenano perché senza quest’atteso incidente non si sarebbero manifestati.
Ufficio stampa
Maurizio Quattrini 338 8485 333
maurizioquattrini@yahoo.it
Chine slegate | di Gianluca Murasecchi
Chine slegate, come furie graziate da un domatore circense, in colature petrolifere poste a gravitare su di un immacolato nulla, poi giunge l’incanto del difforme e porta con sé una perturbabile natura, plausibile poiché suggerita dalla natura stessa e dopo secoli di massacri razionalizzati si può anche asserire adesso che la veglia della ragione, non il suo sonno, genera mostri. Marco Antonio Ortiz Delgado riflette sull’attualità di Goya e dei suoi sabba vorticosi e fulmini stregoneschi racchiusi nei Capricci, privo di smanie etiche ci conduce a seduzioni inconsce e ci induce ad apprezzare metamorfosi di un Kafka pacificato; consapevole che nulla sin dalla radice si crea, mentre tutto per certo si ricrea, il suo quid accidentale ci rende stupiti di quanto noi stessi siamo parte di un intruglio, sempre diversificato, di forze primitive tanto più potenti e vive quanto più irrazionali e fatali e che tutto questo contiene una sua propria forma di fascinazione anziché di abiezione; le sue carte abbagliano e cullano come una bolla amniotica, in esse il suo ego cola nell’inchiostro scagliato con fortuita volontà d’azione, giace, si propaga in cerca di quiete assimilato alla chiazza in espansione, le scelte e le incidenze ne formano le venature, persino i sedimenti dell’identità formano affascinanti screziature che meravigliano e incatenano perché senza quest’atteso incidente non si sarebbero manifestati: ecco l’esistere di una forma esplosa, provocazione subitanea di un urto visivo, densità non placata, indistinta dapprima, plurima alla successiva confidenza delle similitudini, infine il caos si conchiude con l’ammissione all’apparenza, tanto che scopriamo la materia bruta essere, nel suo assestarsi, madre di tutte le attraenti sembianze.
Non per gusto di drolerie o di gargouille, decoranti guardiani apotropaici, si cerca qui un oltre moto che non sia sostanza, altra ombra segue gli aracnidi senzienti di Redon e gli antipapi di Ernst. Tuttavia tale immaginario è così lontano anche dai chiassosi tentatori del sant’Antonio di Callot, se questi antesignani divertono con le loro bizzarrie cialtronesche di un mondo parallelo nel quale, seppure alieno appare proprio il santo, essi permangono frutto di un’ottusità elementare.
E’ in quell’anomalo stato di inquietudine esistenziale, osservato con lucidità rabbrividente da Poe, che la coscienza di ciò che siamo addentro ci porta a considerare le opere anch’esse creature tutte singolari.
Molti coloro che hanno tentato di invocare parvenze antropoanimali, dal primo dei quali ci resta memoria Antiphilis, il cui nome è vergato da Plinio il Vecchio, prende forma stravagante il ritratto porcino di Gryllos e con esso emerge dalle profonde caverne dell’animo quel mescolare le essenze pneumatiche che poi sarà dal Medioevo un consueto uso del gigantesco maglio del potere ecclesiastico e nondimeno secolare atto a tramutare in bestie gli animali e in meno che bestie gli uomini colpevoli di voler essere al di là di supervisioni autoritarie dell’al di là, peccatori dell’esecrabile e sovversiva ambizione di indipendenza, eppure nascevano da quell’origine gaia, in apparenze stranianti e disarmoniche benché ridenti, quei cosiddetti grilli che, impossibile negarlo, sono tutt’ora proprio su tutte le nostre teste.
Il disegno in tale poetica è dunque prescelto quale immediato linguaggio di radicale efficacia, solutore di svianti eccessi, il grigio si dichiara quale diminuzione delle liquide rarefazioni del nero che nel suo massimo addensamento reclama la sua irrecintabile autonomia chiudendo in sé la discesa nel pandemonio, simulacro del più profondo segreto mortale, ingovernabile, inaccessibile, ineludibile, irrappresentabile altrimenti.
L’anima del KE NAKO si colloca tra passato e futuro: da un lato si fonda su un terreno di recupero (storia, radici, tradizioni, confronto etnico) e dall’altro si orienta verso ambiti innovativi (ecologia, tecnologia, ricerca artistica), la proposta culturale che prende vita in tale contesto guarda pertanto all’incontro di linguaggi ed espressioni oltreconfine in tutte le sue sfere (grafica d’arte, musica, teatro, cinema) e punta su una qualità di diffusa portata.
Gli appositi spazi in esso dedicati alla grafica d’arte contemporanea sono vocati al segno, alla materia, ai linguaggi digitali in tutte le possibili diramazioni di multipli, stampe e disegni di grande formato, installazioni, fotografie e video; in esso, frutto di un progetto di lungo respiro, prenderà corpo una rassegna internazionale denominata generAzione a cura di Gianluca Murasecchi e Giovanni Turria, appuntamento di confronto di giovani artisti italiani o provenienti da varie nazioni europee formatisi presso la Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Stato di Urbino.
Le esposizioni personali della rassegna avranno una cadenza bi – trimestrale e, a chiusura dell’anno di attività, si prevede la stampa di un catalogo a documento dell’iniziativa.
La prima esposizione sarà dedicata a Marco Antonio Ortiz Delgado (Osuna - Siviglia 1985) dal 31 marzo al 15 maggio 2011, il quale presenterà disegni di grande formato compiuti con libere inchiostrazioni che si orientano verso un’individuazione di forme metaforiche e fantastici bestiari, riflessio
ni sull’attualità di Goya e dei suoi sabba vorticosi e fulmini stregoneschi racchiusi nei Capricci, privo di smanie etiche il suo segnare ci conduce a seduzioni inconsce e ci induce ad apprezzare metamorfosi di un Kafka pacificato.
Il disegno in tale poetica è dunque prescelto quale immediato linguaggio di radicale efficacia, solutore di svianti eccessi, consapevole che nulla sin dalla radice si crea, mentre tutto per certo si ricrea, il suo quid accidentale ci rende stupiti di quanto noi stessi siamo parte di un intruglio, sempre diversificato, di forze primitive tanto più potenti e vive quanto più irrazionali e fatali e che tutto questo contiene una sua propria forma di fascinazione; le sue carte abbagliano e cullano come una bolla amniotica, in esse il suo ego cola nell’acqueo pigmento scagliato con fortuita volontà d’azione, giace, si propaga in cerca di quiete assimilato alle chiazze di inchiostri in espansione, le scelte e le incidenze ne formano le venature, persino i sedimenti dell’identità formano affascinanti screziature che meravigliano e incatenano perché senza quest’atteso incidente non si sarebbero manifestati.
Ufficio stampa
Maurizio Quattrini 338 8485 333
maurizioquattrini@yahoo.it
Chine slegate | di Gianluca Murasecchi
Chine slegate, come furie graziate da un domatore circense, in colature petrolifere poste a gravitare su di un immacolato nulla, poi giunge l’incanto del difforme e porta con sé una perturbabile natura, plausibile poiché suggerita dalla natura stessa e dopo secoli di massacri razionalizzati si può anche asserire adesso che la veglia della ragione, non il suo sonno, genera mostri. Marco Antonio Ortiz Delgado riflette sull’attualità di Goya e dei suoi sabba vorticosi e fulmini stregoneschi racchiusi nei Capricci, privo di smanie etiche ci conduce a seduzioni inconsce e ci induce ad apprezzare metamorfosi di un Kafka pacificato; consapevole che nulla sin dalla radice si crea, mentre tutto per certo si ricrea, il suo quid accidentale ci rende stupiti di quanto noi stessi siamo parte di un intruglio, sempre diversificato, di forze primitive tanto più potenti e vive quanto più irrazionali e fatali e che tutto questo contiene una sua propria forma di fascinazione anziché di abiezione; le sue carte abbagliano e cullano come una bolla amniotica, in esse il suo ego cola nell’inchiostro scagliato con fortuita volontà d’azione, giace, si propaga in cerca di quiete assimilato alla chiazza in espansione, le scelte e le incidenze ne formano le venature, persino i sedimenti dell’identità formano affascinanti screziature che meravigliano e incatenano perché senza quest’atteso incidente non si sarebbero manifestati: ecco l’esistere di una forma esplosa, provocazione subitanea di un urto visivo, densità non placata, indistinta dapprima, plurima alla successiva confidenza delle similitudini, infine il caos si conchiude con l’ammissione all’apparenza, tanto che scopriamo la materia bruta essere, nel suo assestarsi, madre di tutte le attraenti sembianze.
Non per gusto di drolerie o di gargouille, decoranti guardiani apotropaici, si cerca qui un oltre moto che non sia sostanza, altra ombra segue gli aracnidi senzienti di Redon e gli antipapi di Ernst. Tuttavia tale immaginario è così lontano anche dai chiassosi tentatori del sant’Antonio di Callot, se questi antesignani divertono con le loro bizzarrie cialtronesche di un mondo parallelo nel quale, seppure alieno appare proprio il santo, essi permangono frutto di un’ottusità elementare.
E’ in quell’anomalo stato di inquietudine esistenziale, osservato con lucidità rabbrividente da Poe, che la coscienza di ciò che siamo addentro ci porta a considerare le opere anch’esse creature tutte singolari.
Molti coloro che hanno tentato di invocare parvenze antropoanimali, dal primo dei quali ci resta memoria Antiphilis, il cui nome è vergato da Plinio il Vecchio, prende forma stravagante il ritratto porcino di Gryllos e con esso emerge dalle profonde caverne dell’animo quel mescolare le essenze pneumatiche che poi sarà dal Medioevo un consueto uso del gigantesco maglio del potere ecclesiastico e nondimeno secolare atto a tramutare in bestie gli animali e in meno che bestie gli uomini colpevoli di voler essere al di là di supervisioni autoritarie dell’al di là, peccatori dell’esecrabile e sovversiva ambizione di indipendenza, eppure nascevano da quell’origine gaia, in apparenze stranianti e disarmoniche benché ridenti, quei cosiddetti grilli che, impossibile negarlo, sono tutt’ora proprio su tutte le nostre teste.
Il disegno in tale poetica è dunque prescelto quale immediato linguaggio di radicale efficacia, solutore di svianti eccessi, il grigio si dichiara quale diminuzione delle liquide rarefazioni del nero che nel suo massimo addensamento reclama la sua irrecintabile autonomia chiudendo in sé la discesa nel pandemonio, simulacro del più profondo segreto mortale, ingovernabile, inaccessibile, ineludibile, irrappresentabile altrimenti.
31
marzo 2011
Marco Antonio Ortiz Delgado
Dal 31 marzo al 15 maggio 2011
arte contemporanea
Location
KE NAKO
Roma, Via Dei Piceni, 22/24, (Roma)
Roma, Via Dei Piceni, 22/24, (Roma)
Orario di apertura
lunedi | domenica ore 10.00 _ 02.00
Vernissage
31 Marzo 2011, ore 19.30
Autore