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Marco Circhirillo – U-Mani
I ritratti sono l’immagine di una gelida trasformazione in qualcos’altro per raggiungere un nuovo livello di coscienza. Ciò che era, ora è. Gli esseri ritratti appaiono quasi robotici nel loro essere più automi che soggetti perchè incapaci di raccontarsi. Le mani giocano un ruolo primario.
Comunicato stampa
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La galleria Biffi Arte, nata nel novembre 2009 per volontà dell’azienda Biffi, inaugura venerdì 24 settembre alle ore 17.30 la mostra personale di Marco Circhirillo intitolata “U-MANI”, a cura di Elisabetta Bovo.
Marco Circhirillo fa parte dei 30 fotografi selezionati per il progetto FOTOBOOK 2010.
MARCO CIRCHIRILLO nasce a Parma il 18/05/1980 e consegue la Laurea in Arte, Spettacolo e Immagine Multimediale presso la Facoltà di studi di Lettere e Filosofia di Parma e la successiva Laurea Magistrale in Storia dell’Arte Contemporanea, entrambe a pieno merito. Lavora come Tutor presso l’Ente consortile Forma Futuro e collabora come Mimo Lirico per le Fondazioni Teatro Regio e A. Toscanini di Parma.
Si occupa di fotografia concependola come un tentativo di rimedio all’eterno fluire dell’esistenza, come rappresentazione delle idee, dei pensieri, dei sogni della mente ma anche e soprattutto dei mostri e delle angosce che la abitano. Non tanto una volontà di esorcizzare e annientare i mali del nostro tempo, quanto il desiderio di incontrarli, conoscerne la profondità, imparare a convivere con essi.
Di stampo surrealista, influenzato da colui che ritiene il suo maestro ideale, Man Ray, Marco Circhirillo ha esposto in molte occasioni le proprie opere. Tra le più importanti si ricordano:
- “Parma, young photographer – Identity Identities” School of Visual Arts, New York & Montclair State University, Montclair, critica di Paolo Barbaro, Mattioli 2008
- Menzione speciale “Premio Musae”, 2008, con il progetto Italia da sud a sud, circuito Sicilia (Catania) City Management 2008
- “Rintracciarti”, 2008 Palazzo della Ragione di Mantova, con il progetto “follia gentile” Alce Nero 2008
- “Punto 15”, 2007 palazzo pigorini di Parma con il progetto "claustroscontro", critica di valerio deho’, Mup 2007
Circhirillo collabora attivamente come artista e critico d’arte con la galleria d’arte contemporanea 9VisionsArt di Peschiera del Garda (VE), con la galleria Art We Are di Scandiano (RE) , con la galleria Biffi di Piacenza nel progetto Fotobook e con la Galleria Leonardo di Lanciano (CH).
“Un pensiero che Nietzsche esprimeva in Come il «mondo vero» finì per diventare una favola può – a mio avviso- gettar luce sul fare arte di Marco Circhirillo, artista dalle mille sfaccettature che vive l’arte a passo di danza, la respira, la agisce, la sa danzare col proprio corpo da mimo lirico, con le immagini – le serie delle sue opere fotografiche e dei suoi autoritratti -, con i concetti, con le parole, in quanto critico e consapevole interprete della propria poetica. “Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? quello apparente, forse?... Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!”: sul rovescio di questa partitura nietzschana Circhirillo tratteggia col mezzo fotografico la serie dei suoi U-mani, antieroi di cui ci è proposto il volto ma ci è negato – radicalmente - lo sguardo. A fronte di un sistema-mondo che tutto valuta e riduce a parametri standardizzati, che imprigiona e soffoca, che deprime la creatività imponendo ruoli codificati, è ancora possibile per gli uomini del terzo millennio far scaturire l’autenticità e la bellezza, l’originalità e la poesia, che ciascuno reca in nuce? E quale rapporto col mondo, cogli altri, è delineabile in questa ricerca di “esposizione” del sé di cui la fotografia è insieme metafora e riflesso, scrittura materiale ma apparente, in quanto legata al fenomenico, alla superficie di ciò che descrive, alla pelle delle cose, alla “figura”? Questi gli interrogativi sottesi alle immagini di cui si compone la produzione di Circhirillo che li declina secondo modalità diverse, scandite in un percorso che rivela la propria coerenza a posteriori, ma fedele ad intenti chiari, molto sentiti e meditati dall’artista. Anche la serie recente degli U-mani, fotografie in bianco e nero, estremamente rigorose, fredde, essenziali, paiono voler formulare domande, più che proporre risposte. L’azzardo di un responso è lasciato a chi guarda, all’interpretazione di chi entra nel gioco divinatorio che queste immagini innescano. Gli “eroi erranti” che Circhirillo mette in scena in questa sua raffinata personale riescono, a dispetto della loro vista celata, a coinvolgere il riguardante in un muto dialogo in cui è a tema proprio lo sguardo su di sé e sul mondo. Ciò che rende sottilmente inquietanti - e proprio per ciò dotate di un irresistibile potere d’attrazione - queste immagini non è tanto la cecità in sé dei soggetti, quanto piuttosto la loro impossibilità di reciprocità. E’ l’apparente azzeramento del rapporto con l’esterno ad inquietarci, la chiusura di questi U-mani che si traduce nell’assenza degli occhi, in un’immobilità fisica che la rigidezza delle braccia aderenti al corpo evidenzia e rende robotica. Non possiamo definirli a pieno titolo ritratti: ci sono i visi, ma manca il tratto caratterizzante dello sguardo. Eppure questi esseri che hanno la propria essenza nell’errare – nella duplicità semantica che permette loro di seguire strade proprie, devianti dal percorso segnato, a rischio d’errore – nel nascondersi offrono indizi rivelatori su di sé. Le mani che circondano il volto, che lo occultano verso l’esterno, lo de-formano, gli danzano attorno e davanti come accessori od orpelli, lo arricchiscono di ulteriori figure a sé stanti e dunque fuorvianti rispetto al soggetto, mentre svolgono il ruolo di celare gli occhi danno anche espressività all’insieme: sono l’unico elemento che parla, a cui è delegata la facoltà d’esprimere. Certo si tratta di un ri-velare, cioè di uno svelare celando nel contempo ciò che si vien manifestando. E inoltre ciò che questi U-mani mostrano è la propria stessa chiusura, il ripiegamento su di sé, il primato della autoriflessione, lo sguardo rivolto verso l’interno nella ricerca –forse- di un livello ulteriore di coscienza, il loro essere leibnizianamente “monadi” senza porte né finestre, come il viandante di Umano troppo umano di Nietzsche, costretto a parlare con la propria ombra… L’autoreferenzialità diventa l’unica forma possibile di comunicazione verso l’esterno, verso quell’inferno rappresentato, secondo Sartre, dagli altri. La rinuncia alla vista diventa difesa dallo sguardo altrui, operando una neutralizzazione della dinamica espressa da Merleau-Ponty del vedente che si vede essere oggetto della vista propria ed altrui, ed evitando la reificazione che lo sguardo d’altri su di noi inevitabilmente implica. Il corpo diviene sì immagine, simulacro, ma nient’altro. Il volto vero non è più visibile, perde i connotati di “viso”.Ciò che appare è la maschera: le mani che proteggono il viso sono una sovrastruttura, un camuffamento sovrapposto. Schermano il volto e lo mimetizzano, lo disidentificano – uno, nessuno, centomila, pirandellianamente – e lo isolano, dal mondo e dal futuro. Un esito che Cirichirillo, in quanto mimo e performer, autore di autoritratti d’incantato lirismo e fascinosa malia (Blu Diamond, 2010) ben conosce e già ha espresso nelle opere precedenti, con l’utilizzo della sovrimpressione di immagini, sulla scia delle potenti suggestioni di Man Ray, suo nume ispiratore, e di un’influenza pittorica – ci par di ravvisare – della tormentata imagerie di Francis Bacon. Agli antipodi degli U-mani, eppure in continuità con la tematica dell’esposizione del volto, sta la serie Integrazioni del 2007, che ci mostra giovani adolescenti stranieri congelati nell’atto di strapparsi la faccia di dosso, mentre sotto ne compare immediatamente un’altra che li consegna irrimediabilmente alla loro identità e al loro destino. Stanchi, delusi, sulla difensiva, confusi, sfuggenti ambigui: sono veramente troppo umani gli U-mani di Circhirillo? O, in quanto simulacri senz’anima, son figurae fictae atte a simboleggiare il processo di riduzione a cosa che vive chi si trova di fronte all’obiettivo della macchina fotografica, deprivato della sua condizione di soggetto per divenire mero obiectum? Una sorta di micropolitica della morte - sottolineava Roland Barthes - viene subita e rende vittima passiva, corpo imbalsamato, fantasma (in senso etimologico) o manichino chi viene “immortalato”, congelato, bloccato in quell’istante della sua esistenza che invece gli appartiene solo nell’inarrestabile scorrere che è qualità imprescindibile della vita. U-mani, dunque, alla mani-era della fotografia? Ma quanti blocchi subisce l’uomo contemporaneo nel sistema-mondo attuale, che impediscono il libero fluire della sua vita personale e sociale! Ancora una volta - attraverso la mediazione della fotografia - col riflettere sull’arte si riflette sull’esistenza e ragionando sul medium – Mc Luhan ce l’ha insegnato – si ragiona sul messaggio”. (Elisabetta Bovo, testo critico della mostra)
«Seguo da tempo una linea piatta, continua, fredda. Evito le belle emozioni garantendomi così l'impossibilità di ricadere in fondo al baratro. Non afferro più le cose, non mi sento più le braccia e le mie mani stanno saldamente ancorate al mio sé. Individui senza braccia cercano invano di nascondersi dietro le proprie mani. I ritratti sono l'immagine di una gelida trasformazione in qualcos'altro per raggiungere un nuovo livello di coscienza. Ciò che era, ora è. Gli esseri ritratti appaiono quasi robotici nel loro essere più automi che soggetti perchè incapaci di raccontarsi. Le mani giocano un ruolo primario: a seconda della fisionomia dell'attore scelto creano interessanti forme, come se fossero un ricordo inafferrabile degli eroi falliti di loro stessi. Così spuntano strani esseri ibridi ormai stanchi e rassegnati e offrono la possibilità a chi le osserva di lavorare con l'immaginazione e vedere in loro una parte del mostro che vive dentro ognuno di noi. » (M.Circhirillo)
Marco Circhirillo fa parte dei 30 fotografi selezionati per il progetto FOTOBOOK 2010.
MARCO CIRCHIRILLO nasce a Parma il 18/05/1980 e consegue la Laurea in Arte, Spettacolo e Immagine Multimediale presso la Facoltà di studi di Lettere e Filosofia di Parma e la successiva Laurea Magistrale in Storia dell’Arte Contemporanea, entrambe a pieno merito. Lavora come Tutor presso l’Ente consortile Forma Futuro e collabora come Mimo Lirico per le Fondazioni Teatro Regio e A. Toscanini di Parma.
Si occupa di fotografia concependola come un tentativo di rimedio all’eterno fluire dell’esistenza, come rappresentazione delle idee, dei pensieri, dei sogni della mente ma anche e soprattutto dei mostri e delle angosce che la abitano. Non tanto una volontà di esorcizzare e annientare i mali del nostro tempo, quanto il desiderio di incontrarli, conoscerne la profondità, imparare a convivere con essi.
Di stampo surrealista, influenzato da colui che ritiene il suo maestro ideale, Man Ray, Marco Circhirillo ha esposto in molte occasioni le proprie opere. Tra le più importanti si ricordano:
- “Parma, young photographer – Identity Identities” School of Visual Arts, New York & Montclair State University, Montclair, critica di Paolo Barbaro, Mattioli 2008
- Menzione speciale “Premio Musae”, 2008, con il progetto Italia da sud a sud, circuito Sicilia (Catania) City Management 2008
- “Rintracciarti”, 2008 Palazzo della Ragione di Mantova, con il progetto “follia gentile” Alce Nero 2008
- “Punto 15”, 2007 palazzo pigorini di Parma con il progetto "claustroscontro", critica di valerio deho’, Mup 2007
Circhirillo collabora attivamente come artista e critico d’arte con la galleria d’arte contemporanea 9VisionsArt di Peschiera del Garda (VE), con la galleria Art We Are di Scandiano (RE) , con la galleria Biffi di Piacenza nel progetto Fotobook e con la Galleria Leonardo di Lanciano (CH).
“Un pensiero che Nietzsche esprimeva in Come il «mondo vero» finì per diventare una favola può – a mio avviso- gettar luce sul fare arte di Marco Circhirillo, artista dalle mille sfaccettature che vive l’arte a passo di danza, la respira, la agisce, la sa danzare col proprio corpo da mimo lirico, con le immagini – le serie delle sue opere fotografiche e dei suoi autoritratti -, con i concetti, con le parole, in quanto critico e consapevole interprete della propria poetica. “Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? quello apparente, forse?... Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!”: sul rovescio di questa partitura nietzschana Circhirillo tratteggia col mezzo fotografico la serie dei suoi U-mani, antieroi di cui ci è proposto il volto ma ci è negato – radicalmente - lo sguardo. A fronte di un sistema-mondo che tutto valuta e riduce a parametri standardizzati, che imprigiona e soffoca, che deprime la creatività imponendo ruoli codificati, è ancora possibile per gli uomini del terzo millennio far scaturire l’autenticità e la bellezza, l’originalità e la poesia, che ciascuno reca in nuce? E quale rapporto col mondo, cogli altri, è delineabile in questa ricerca di “esposizione” del sé di cui la fotografia è insieme metafora e riflesso, scrittura materiale ma apparente, in quanto legata al fenomenico, alla superficie di ciò che descrive, alla pelle delle cose, alla “figura”? Questi gli interrogativi sottesi alle immagini di cui si compone la produzione di Circhirillo che li declina secondo modalità diverse, scandite in un percorso che rivela la propria coerenza a posteriori, ma fedele ad intenti chiari, molto sentiti e meditati dall’artista. Anche la serie recente degli U-mani, fotografie in bianco e nero, estremamente rigorose, fredde, essenziali, paiono voler formulare domande, più che proporre risposte. L’azzardo di un responso è lasciato a chi guarda, all’interpretazione di chi entra nel gioco divinatorio che queste immagini innescano. Gli “eroi erranti” che Circhirillo mette in scena in questa sua raffinata personale riescono, a dispetto della loro vista celata, a coinvolgere il riguardante in un muto dialogo in cui è a tema proprio lo sguardo su di sé e sul mondo. Ciò che rende sottilmente inquietanti - e proprio per ciò dotate di un irresistibile potere d’attrazione - queste immagini non è tanto la cecità in sé dei soggetti, quanto piuttosto la loro impossibilità di reciprocità. E’ l’apparente azzeramento del rapporto con l’esterno ad inquietarci, la chiusura di questi U-mani che si traduce nell’assenza degli occhi, in un’immobilità fisica che la rigidezza delle braccia aderenti al corpo evidenzia e rende robotica. Non possiamo definirli a pieno titolo ritratti: ci sono i visi, ma manca il tratto caratterizzante dello sguardo. Eppure questi esseri che hanno la propria essenza nell’errare – nella duplicità semantica che permette loro di seguire strade proprie, devianti dal percorso segnato, a rischio d’errore – nel nascondersi offrono indizi rivelatori su di sé. Le mani che circondano il volto, che lo occultano verso l’esterno, lo de-formano, gli danzano attorno e davanti come accessori od orpelli, lo arricchiscono di ulteriori figure a sé stanti e dunque fuorvianti rispetto al soggetto, mentre svolgono il ruolo di celare gli occhi danno anche espressività all’insieme: sono l’unico elemento che parla, a cui è delegata la facoltà d’esprimere. Certo si tratta di un ri-velare, cioè di uno svelare celando nel contempo ciò che si vien manifestando. E inoltre ciò che questi U-mani mostrano è la propria stessa chiusura, il ripiegamento su di sé, il primato della autoriflessione, lo sguardo rivolto verso l’interno nella ricerca –forse- di un livello ulteriore di coscienza, il loro essere leibnizianamente “monadi” senza porte né finestre, come il viandante di Umano troppo umano di Nietzsche, costretto a parlare con la propria ombra… L’autoreferenzialità diventa l’unica forma possibile di comunicazione verso l’esterno, verso quell’inferno rappresentato, secondo Sartre, dagli altri. La rinuncia alla vista diventa difesa dallo sguardo altrui, operando una neutralizzazione della dinamica espressa da Merleau-Ponty del vedente che si vede essere oggetto della vista propria ed altrui, ed evitando la reificazione che lo sguardo d’altri su di noi inevitabilmente implica. Il corpo diviene sì immagine, simulacro, ma nient’altro. Il volto vero non è più visibile, perde i connotati di “viso”.Ciò che appare è la maschera: le mani che proteggono il viso sono una sovrastruttura, un camuffamento sovrapposto. Schermano il volto e lo mimetizzano, lo disidentificano – uno, nessuno, centomila, pirandellianamente – e lo isolano, dal mondo e dal futuro. Un esito che Cirichirillo, in quanto mimo e performer, autore di autoritratti d’incantato lirismo e fascinosa malia (Blu Diamond, 2010) ben conosce e già ha espresso nelle opere precedenti, con l’utilizzo della sovrimpressione di immagini, sulla scia delle potenti suggestioni di Man Ray, suo nume ispiratore, e di un’influenza pittorica – ci par di ravvisare – della tormentata imagerie di Francis Bacon. Agli antipodi degli U-mani, eppure in continuità con la tematica dell’esposizione del volto, sta la serie Integrazioni del 2007, che ci mostra giovani adolescenti stranieri congelati nell’atto di strapparsi la faccia di dosso, mentre sotto ne compare immediatamente un’altra che li consegna irrimediabilmente alla loro identità e al loro destino. Stanchi, delusi, sulla difensiva, confusi, sfuggenti ambigui: sono veramente troppo umani gli U-mani di Circhirillo? O, in quanto simulacri senz’anima, son figurae fictae atte a simboleggiare il processo di riduzione a cosa che vive chi si trova di fronte all’obiettivo della macchina fotografica, deprivato della sua condizione di soggetto per divenire mero obiectum? Una sorta di micropolitica della morte - sottolineava Roland Barthes - viene subita e rende vittima passiva, corpo imbalsamato, fantasma (in senso etimologico) o manichino chi viene “immortalato”, congelato, bloccato in quell’istante della sua esistenza che invece gli appartiene solo nell’inarrestabile scorrere che è qualità imprescindibile della vita. U-mani, dunque, alla mani-era della fotografia? Ma quanti blocchi subisce l’uomo contemporaneo nel sistema-mondo attuale, che impediscono il libero fluire della sua vita personale e sociale! Ancora una volta - attraverso la mediazione della fotografia - col riflettere sull’arte si riflette sull’esistenza e ragionando sul medium – Mc Luhan ce l’ha insegnato – si ragiona sul messaggio”. (Elisabetta Bovo, testo critico della mostra)
«Seguo da tempo una linea piatta, continua, fredda. Evito le belle emozioni garantendomi così l'impossibilità di ricadere in fondo al baratro. Non afferro più le cose, non mi sento più le braccia e le mie mani stanno saldamente ancorate al mio sé. Individui senza braccia cercano invano di nascondersi dietro le proprie mani. I ritratti sono l'immagine di una gelida trasformazione in qualcos'altro per raggiungere un nuovo livello di coscienza. Ciò che era, ora è. Gli esseri ritratti appaiono quasi robotici nel loro essere più automi che soggetti perchè incapaci di raccontarsi. Le mani giocano un ruolo primario: a seconda della fisionomia dell'attore scelto creano interessanti forme, come se fossero un ricordo inafferrabile degli eroi falliti di loro stessi. Così spuntano strani esseri ibridi ormai stanchi e rassegnati e offrono la possibilità a chi le osserva di lavorare con l'immaginazione e vedere in loro una parte del mostro che vive dentro ognuno di noi. » (M.Circhirillo)
24
settembre 2010
Marco Circhirillo – U-Mani
Dal 24 settembre al 14 ottobre 2010
fotografia
Location
BIFFI ARTE – FOTOGRAFIA E VIDEO
Piacenza, Via Chiapponi, 39, (Piacenza)
Piacenza, Via Chiapponi, 39, (Piacenza)
Orario di apertura
martedì, mercoledì e venerdì ore 16-19.30; sabato ore 10.30-12.30 e 16-19.30
Vernissage
24 Settembre 2010, ore 17.30
Autore
Curatore