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Marco Fattuma Maò – San Sebastiano 2005
una rivisitazione al neon del capolavoro della storia dell’arte Il San Sebastiano di Antonello da Messina
Comunicato stampa
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Marco Fattuma maò San Sebastiano 2005
29 luglio 2006 / 9 settembre 2006
Il passo di un canto Azteco dice:
- Noi siamo qui /soltanto per incontrarci /e sulla terra /la vita è solo un prestito -
In questa sua opera Marco Fattuma maò racconta, nelle sue esatte proporzioni, il San Sebastiano di Antonello Da Messina che
“viene ucciso proprio per la sua fede, come tutt’ora si viene uccisi per fede.”
Qualsiasi gesto compiuto per professare un proprio credo ha una forza eternizzante, che trascende la nostra effimera provvisorietà su questo pianeta.
Se poi il segno lo depone un artista, attra-verso la sua poetica,
possiede una tale forza reificante che trascende l’opera stessa
reinventandola o come dice lui stesso compiendo ancora un’altra operazione / “riconstentualizzando il soggetto rinascimentale nel contenporaneo attraverso l’utilizzo del neon che nella sua effimera durata si consuma, perisce.”
Quest’altro gesto, quest’altro segno di oggi ha tutta la sua forza
che non solo riporta l’opera di Antonello da Messina
a noi contemporanei ma ne introduce segni del nostro quotidiano.
Così i cinque neon - ognuno diverso, nella dimensione delle sue misure- si reifica nel nostro immaginario facendoci appunto sembrare concreto e materiale il contenuto di una esperienza astratta: per alcuni son frecce o dardi, più o meno penetrati dentro il corpo di Sebastiano; ad altri la reificazione fa vedere le ferite che arancizzate nella scelta del colore di questi neon ce le fanno sembrare ferite pulsanti, in un corpo che ci rammenta l’attuale lotta di ognuno che costantemente e quotidianamente combatte per professare i propri credo.
Sembriamo cosi di percepire d’essere invasi dalla sua stessa sofferenza che ha lottato per portare avanti le sue ragioni. Questo San Sebastiano sembra venuto dai secoli a rammentarci, proprio come ci rammenta M.F. MAÒ sì
Certo, il nostro essere effimeri; come ci rammentano gli Aztechi,
di questa vita soltanto in prestito.
Forse non tocca quindi ad ognuno di noi di trasformare questo pianeta in una ipotesi di Eden, dove gli equilibri fra le specie si compenetrino ed ognuna possa essere d’aiuto al proprio simile anche solo perchè porta avanti attraverso il suo sentiero su questa terra,
l’intima credenza di essere nati per uno scopo che aiuta ogni altro essere, simile o diverso da noi, a crescere. Esattamente il contrario d’essere sterminati, senza saperne nemmeno le ragioni..
Gli artisti per quanto possono, per lo più, si sentono questo compito, quali amanuensi di una cultura universale, che appartiene all’intero cosmo.
Quando l’opera stessa parla ad altri esseri vi è reificazione.
Attraverso la reificazione l'artista ha prodotto l'apertura
a quel nuovo Kaos di conoscenza.
L'apertura è uno spalancarsi ad un sentire nuovo,
a sensi nuovi ed è proprio questo nuovo alfabeto che traccia simboli che per intensità permettono di intuire più che carpire o capire, la dimensione & portata & rotta di questo nuovo sentire.
E’ la navigazione di un nuovo sentire.
La reificazione ha questo di miracoloso:
Riesce a portare l'opera ed i codici che essa contiene...
...riesce a portare l'opera ed i suoi codici in una dimensione ontologica
che ci fa volenti o nolenti appartenere ad un tutto; raccoglie i piani di quel tutto e ogni segno diventa simbolo emblema vessillo della poetica che il suo sentire ci esprime. L’opera d’arte reificando se stessa, parla a chi si pone nella posizione di ascolto, nuda come il re nudo, dagli orpelli di qualsivoglia cultura, parla a chi entra in empatia con lo spirito universale che l’ha prodotta usando l’artista , matto o mentecatto, quale terminale sensibile a quella crescita dello spirito del cosmo che pulsa insieme con noi ma allo stesso tempo, può farlo a prescindere da noi
E gli artisti lo sanno che l’unica cosa che fa vivere più a lungo è quando si entra nel territorio di un sogno in cui si crede.
Abbiamo così fatto di tutto per immaginare il tempo
fuori dalla nostra giurisdizione.
Per questa ragione abbiamo continuato
a sognare sapendo che nel sogno il tempo non può entrare.
Chi sogna non invecchia
Torino 27 luglio 2006
29 luglio 2006 / 9 settembre 2006
Il passo di un canto Azteco dice:
- Noi siamo qui /soltanto per incontrarci /e sulla terra /la vita è solo un prestito -
In questa sua opera Marco Fattuma maò racconta, nelle sue esatte proporzioni, il San Sebastiano di Antonello Da Messina che
“viene ucciso proprio per la sua fede, come tutt’ora si viene uccisi per fede.”
Qualsiasi gesto compiuto per professare un proprio credo ha una forza eternizzante, che trascende la nostra effimera provvisorietà su questo pianeta.
Se poi il segno lo depone un artista, attra-verso la sua poetica,
possiede una tale forza reificante che trascende l’opera stessa
reinventandola o come dice lui stesso compiendo ancora un’altra operazione / “riconstentualizzando il soggetto rinascimentale nel contenporaneo attraverso l’utilizzo del neon che nella sua effimera durata si consuma, perisce.”
Quest’altro gesto, quest’altro segno di oggi ha tutta la sua forza
che non solo riporta l’opera di Antonello da Messina
a noi contemporanei ma ne introduce segni del nostro quotidiano.
Così i cinque neon - ognuno diverso, nella dimensione delle sue misure- si reifica nel nostro immaginario facendoci appunto sembrare concreto e materiale il contenuto di una esperienza astratta: per alcuni son frecce o dardi, più o meno penetrati dentro il corpo di Sebastiano; ad altri la reificazione fa vedere le ferite che arancizzate nella scelta del colore di questi neon ce le fanno sembrare ferite pulsanti, in un corpo che ci rammenta l’attuale lotta di ognuno che costantemente e quotidianamente combatte per professare i propri credo.
Sembriamo cosi di percepire d’essere invasi dalla sua stessa sofferenza che ha lottato per portare avanti le sue ragioni. Questo San Sebastiano sembra venuto dai secoli a rammentarci, proprio come ci rammenta M.F. MAÒ sì
Certo, il nostro essere effimeri; come ci rammentano gli Aztechi,
di questa vita soltanto in prestito.
Forse non tocca quindi ad ognuno di noi di trasformare questo pianeta in una ipotesi di Eden, dove gli equilibri fra le specie si compenetrino ed ognuna possa essere d’aiuto al proprio simile anche solo perchè porta avanti attraverso il suo sentiero su questa terra,
l’intima credenza di essere nati per uno scopo che aiuta ogni altro essere, simile o diverso da noi, a crescere. Esattamente il contrario d’essere sterminati, senza saperne nemmeno le ragioni..
Gli artisti per quanto possono, per lo più, si sentono questo compito, quali amanuensi di una cultura universale, che appartiene all’intero cosmo.
Quando l’opera stessa parla ad altri esseri vi è reificazione.
Attraverso la reificazione l'artista ha prodotto l'apertura
a quel nuovo Kaos di conoscenza.
L'apertura è uno spalancarsi ad un sentire nuovo,
a sensi nuovi ed è proprio questo nuovo alfabeto che traccia simboli che per intensità permettono di intuire più che carpire o capire, la dimensione & portata & rotta di questo nuovo sentire.
E’ la navigazione di un nuovo sentire.
La reificazione ha questo di miracoloso:
Riesce a portare l'opera ed i codici che essa contiene...
...riesce a portare l'opera ed i suoi codici in una dimensione ontologica
che ci fa volenti o nolenti appartenere ad un tutto; raccoglie i piani di quel tutto e ogni segno diventa simbolo emblema vessillo della poetica che il suo sentire ci esprime. L’opera d’arte reificando se stessa, parla a chi si pone nella posizione di ascolto, nuda come il re nudo, dagli orpelli di qualsivoglia cultura, parla a chi entra in empatia con lo spirito universale che l’ha prodotta usando l’artista , matto o mentecatto, quale terminale sensibile a quella crescita dello spirito del cosmo che pulsa insieme con noi ma allo stesso tempo, può farlo a prescindere da noi
E gli artisti lo sanno che l’unica cosa che fa vivere più a lungo è quando si entra nel territorio di un sogno in cui si crede.
Abbiamo così fatto di tutto per immaginare il tempo
fuori dalla nostra giurisdizione.
Per questa ragione abbiamo continuato
a sognare sapendo che nel sogno il tempo non può entrare.
Chi sogna non invecchia
Torino 27 luglio 2006
29
luglio 2006
Marco Fattuma Maò – San Sebastiano 2005
Dal 29 luglio al 09 settembre 2006
arte contemporanea
Location
NMB STUDIO
Torino, Via Giuseppe Mazzini, 50E, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Mazzini, 50E, (Torino)
Orario di apertura
sempre visibile dalla vetrina
Autore