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Marco La Rosa – Beneath between beyond
Marco La Rosa (Brescia, 1978) è il protagonista del secondo appuntamento espositivo di Spazio Cordis: dopo la personale di Andrea Francolino, si propone ora un nuovo affondo monografico sul lavoro di un giovane artista italiano la cui ricerca dimostra solide basi concettuali e tecniche.
Comunicato stampa
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Marco La Rosa (Brescia, 1978) è il protagonista del secondo appuntamento espositivo di Spazio Cordis: dopo la personale di Andrea Francolino, si propone ora un nuovo affondo monografico sul lavoro di un giovane artista italiano la cui ricerca dimostra solide basi concettuali e tecniche già valorizzate da importanti mostre personali e collettive, così come da premi e riconoscimenti prestigiosi.
Uno degli aspetti più evidenti della ricerca di La Rosa è sicuramente l’inscindibile legame con l’ambito filosofico, che si fa matrice concettuale non solo delle singole opere (o cicli di opere), ma più in generale del pensiero dell’artista, del suo modo di sentire il mondo e le leggi universali che lo regolano. Prima di tutto l’indagine sul vuoto, sulla dimensione più immateriale delle cose, per certi versi insondabile eppure così concreta. Un vuoto che si declina sia in senso fisico che spirituale, sia in veste tangibile che trascendentale in un passaggio dall’universale all’intimo che, dialogando con gli ambienti della mostra, serpeggia tra le sale di Spazio Cordis andandosi a insinuare sempre più in profondità: dalla prima sala, in cui I vizi capitali – forme morbide in duro cemento su cui gli istinti più profondi e atavici dell’uomo hanno lasciato una traccia indelebile – si confrontano con un famoso passo dantesco scomposto in ogni suo elemento significante e ordinato secondo l’alfabeto, all’ultima sala nel piano interrato, in cui a venir scomposta è l’essenza stessa dell’artista il cui Autoritratto corrisponde a una precisa combinazione di solidi platonici in quantità proporzionali rispetto agli elementi di cui il suo corpo si compone. Una riduzione ai principi primi, agli elementi costitutivi dell’esistenza, che anziché depotenziare il soggetto, lo caricano di pregnanza estetica e intellettuale. Nel mezzo, un continuo addentrarsi nella materia e nell’essenza delle cose, sempre più a fondo e rispondendo a un imprescindibile bilanciamento tra materiale e immateriale, tangibile e intangibile, pieno e voto, o meglio: “vuoti pieni”. È ciò che accade per esempio con il ciclo Derive, materializzazioni del vuoto esistente all’interno di condutture idrauliche di cui si perde il contenitore per rendere visibile il contenuto: un elemento base del costruire viene quindi privato della propria funzione perché ne venga indagato ed estetizzato l’invisibile. Lo stesso accade con la serie Apoteosi: colate di piombo fuso all’interno degli spazi interstiziali di quei mattoni forati che servono per costruire i muri delle nostre abitazioni, le fondamenta fisiche, materiali di ciò che chiamiamo “casa” e di cui però non resta nulla, se non contorti totem di piombo. Questo andare in profondità, questa tensione verso spazi interiori, questo penetrare la materia per dare forma all’essenza, all’impalpabile, all’invisibile dandone però testimonianza concreta, solida, monolitica in certi casi, potrebbe ricondurre alla dicotomia tra fenomeno e noumeno, forse più nell’accezione schopenaureiana rispetto a quella kantiana. Se per quest’ultimo infatti il noumeno è una meta fenomenica che si realizza solo in rapporto all’essere umano e per questo può essere oggetto di intuizione sensibile ma resterà sempre inconoscibile, per Schopernauer il noumeno è la realtà che si nasconde dietro “la trapunta arabescata” del fenomeno, il quale altro non è che parvenza e illusione. In questo senso il noumeno, ciò che sta al di là del sottile velo illusorio del reale, ha una valenza tangibile e concreta, vera. A questo principio possiamo avvicinare l’indagine dell’immateriale di La Rosa, quella sua tensione verso ciò che sta al di là, dentro, in profondità; quel suo dare forma e solidità all’invisibile facendo del vuoto scultura. Alla dimensione oggettuale e immanente va poi sicuramente associata quella del Tempo: il potenziamento fisico ed estetico investe anche questa componente del regno dell’intangibile, proponendo una solidificazione di momenti sottratti al continuo scorrere del tempo ed eternizzati nel cemento o nel gesso alabastrino. È il caso, per esempio, delle serie dedicate ai mesi e alle settimane: superfici mutevoli su cui annotare stati d’animo e sensazioni, non a parole, ma attraverso delicate variazioni cromatiche o della texture. Essere e Tempo si intrecciano nelle relazioni di La Rosa con la materia. Nessuno di tutti questi elementi però può prescindere dal suo contrario: il dentro non esiste senza il fuori, il vuoto non esiste senza il pieno, l’attimo fuggente non esiste al di fuori della rete eterna del Tempo. Si tratterà allora di camminare su un crinale, su un limite, su un confine, in cui attraverso la solidità della scultura è possibile esplorare il mistero dell’impalpabile.
Uno degli aspetti più evidenti della ricerca di La Rosa è sicuramente l’inscindibile legame con l’ambito filosofico, che si fa matrice concettuale non solo delle singole opere (o cicli di opere), ma più in generale del pensiero dell’artista, del suo modo di sentire il mondo e le leggi universali che lo regolano. Prima di tutto l’indagine sul vuoto, sulla dimensione più immateriale delle cose, per certi versi insondabile eppure così concreta. Un vuoto che si declina sia in senso fisico che spirituale, sia in veste tangibile che trascendentale in un passaggio dall’universale all’intimo che, dialogando con gli ambienti della mostra, serpeggia tra le sale di Spazio Cordis andandosi a insinuare sempre più in profondità: dalla prima sala, in cui I vizi capitali – forme morbide in duro cemento su cui gli istinti più profondi e atavici dell’uomo hanno lasciato una traccia indelebile – si confrontano con un famoso passo dantesco scomposto in ogni suo elemento significante e ordinato secondo l’alfabeto, all’ultima sala nel piano interrato, in cui a venir scomposta è l’essenza stessa dell’artista il cui Autoritratto corrisponde a una precisa combinazione di solidi platonici in quantità proporzionali rispetto agli elementi di cui il suo corpo si compone. Una riduzione ai principi primi, agli elementi costitutivi dell’esistenza, che anziché depotenziare il soggetto, lo caricano di pregnanza estetica e intellettuale. Nel mezzo, un continuo addentrarsi nella materia e nell’essenza delle cose, sempre più a fondo e rispondendo a un imprescindibile bilanciamento tra materiale e immateriale, tangibile e intangibile, pieno e voto, o meglio: “vuoti pieni”. È ciò che accade per esempio con il ciclo Derive, materializzazioni del vuoto esistente all’interno di condutture idrauliche di cui si perde il contenitore per rendere visibile il contenuto: un elemento base del costruire viene quindi privato della propria funzione perché ne venga indagato ed estetizzato l’invisibile. Lo stesso accade con la serie Apoteosi: colate di piombo fuso all’interno degli spazi interstiziali di quei mattoni forati che servono per costruire i muri delle nostre abitazioni, le fondamenta fisiche, materiali di ciò che chiamiamo “casa” e di cui però non resta nulla, se non contorti totem di piombo. Questo andare in profondità, questa tensione verso spazi interiori, questo penetrare la materia per dare forma all’essenza, all’impalpabile, all’invisibile dandone però testimonianza concreta, solida, monolitica in certi casi, potrebbe ricondurre alla dicotomia tra fenomeno e noumeno, forse più nell’accezione schopenaureiana rispetto a quella kantiana. Se per quest’ultimo infatti il noumeno è una meta fenomenica che si realizza solo in rapporto all’essere umano e per questo può essere oggetto di intuizione sensibile ma resterà sempre inconoscibile, per Schopernauer il noumeno è la realtà che si nasconde dietro “la trapunta arabescata” del fenomeno, il quale altro non è che parvenza e illusione. In questo senso il noumeno, ciò che sta al di là del sottile velo illusorio del reale, ha una valenza tangibile e concreta, vera. A questo principio possiamo avvicinare l’indagine dell’immateriale di La Rosa, quella sua tensione verso ciò che sta al di là, dentro, in profondità; quel suo dare forma e solidità all’invisibile facendo del vuoto scultura. Alla dimensione oggettuale e immanente va poi sicuramente associata quella del Tempo: il potenziamento fisico ed estetico investe anche questa componente del regno dell’intangibile, proponendo una solidificazione di momenti sottratti al continuo scorrere del tempo ed eternizzati nel cemento o nel gesso alabastrino. È il caso, per esempio, delle serie dedicate ai mesi e alle settimane: superfici mutevoli su cui annotare stati d’animo e sensazioni, non a parole, ma attraverso delicate variazioni cromatiche o della texture. Essere e Tempo si intrecciano nelle relazioni di La Rosa con la materia. Nessuno di tutti questi elementi però può prescindere dal suo contrario: il dentro non esiste senza il fuori, il vuoto non esiste senza il pieno, l’attimo fuggente non esiste al di fuori della rete eterna del Tempo. Si tratterà allora di camminare su un crinale, su un limite, su un confine, in cui attraverso la solidità della scultura è possibile esplorare il mistero dell’impalpabile.
14
dicembre 2018
Marco La Rosa – Beneath between beyond
Dal 14 dicembre 2018 al 02 febbraio 2019
arte contemporanea
Location
SPAZIO CORDIS
Verona, Via Andrea Doria, 21/A, (Verona)
Verona, Via Andrea Doria, 21/A, (Verona)
Orario di apertura
su appuntamento
Vernissage
14 Dicembre 2018, ore 18.30
Autore
Curatore