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Marco Passaro – SO GL IE
Quattordici coppie di immagini fotografiche le cui inquadrature fotografiche divengono altrettante soglie da attraversare entro le quali le immagini ci arrivano distorte, slabbrate, sfocate tramite espedienti diversi.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
SO GL IE, personale fotografica di Marco Passaro a cura di Eugenio Corsetti e Fabio Benincasa, inaugurerà venerdì 13 maggio 2016, ore 18, presso il Laboratorio Fotografico Corsetti. Quattordici coppie di immagini fotografiche le cui inquadrature fotografiche divengono altrettante soglie da attraversare entro le quali le immagini ci arrivano distorte, slabbrate, sfocate tramite espedienti diversi. Le quattordici coppie esposte in mostra intendono restituire il carattere di individualità e soggettività dello sguardo umano grazie all’accostamento, funzionale a suggerire l’ambiguità dello sguardo. Il dialogo serrato che si instaura fra le immagini stimola, anche grazie ai neri vuoti che le separano, il sorgere di relazioni spontanee, elementi lievi e appena percepibili di continuità sui quali si basa la nostra comprensione del reale.
BIO
Marco Passaro (Messina 1987) originario di Messina, studia Storia dell’Arte a Siena e poi a Roma, dove attualmente vive e lavora. Dopo gli studi frequenta corsi di fotografia prima alla Scuola Romana di Fotografia, poi presso lo Studio Compagnucci. Nel 2015 partecipa al concorso Ombre, indetto dal Centro Sperimentale di Fotografia CSF Adams, dove si aggiudica il terzo posto grazie allo scatto Di notte gli alberi camminano e, nello stesso anno, collabora come assistente per lo Studio Compagnucci. Nel 2016 realizza le immagini di catalogo e un editoriale di moda per Formespazio creazioni artistiche e artigianali in plexiglass.
cargocollective.com/marcopassaro
TESTO CRITICO
Prof. Alessandro Celani, docente presso University of Alberta e fotografo
Piuttosto che ai grandi apparati sacri, alle attrezzature medievali di santi e di martiri, alla foglia d'oro, la forma del dittico riconduce alla dimensione nascosta della tasca, della bisaccia sdrucita, all'andirivieni delle mani fra il dentro e il fuori dei mantelli - che fa presto a farsi un dentro e fuori dell'anima -. All'andatura claudicante del viaggio, che è sempre, nel passato e nel presente, un pellegrinaggio. L'ambivalenza del dittico è poi fatta di altro: della durezza del supporto, di legno intagliato, di inserti di metallo e di borchie, e al contrario della sfarinate superfici d'immagine. Esposta alle polveri, ai grani di varia misura e consistenza, alla pioggia, alle affilate correnti invernali, al freddo e al caldo. Un solido e connesso chiavistello a contegno della fragile apparenza delle cose. Come stanno le palpebre e le ciglia al turgido e labile globo oculare. Ugualmente le macchine fotografiche: apparati solidi, oggi sempre di più "sealed" (sigillati), per racchiudere l'ombra imperfetta di uno sguardo. Il dittico poi, che lo vogliamo o no, è sempre uno specchio. Sia perché esso si porta al volto, come gli specchi, sia perché esso è doppio e ci dimostra il nostro osservare e il nostro essere osservati. E reduplica con la sua stessa forma il nostro essere nel mondo.
Molte di queste cose e altre, che sommerse ci raggiungono per vie di genealogie d'immagini, appaiono in SOGLIE, la serie fotografica di Marco Passaro, oggi a Roma ma nato a Messina. E per questo, piuttosto che il tratto glaciale di Antonello si avverte in esse il disfacimento della luce, e delle materie diverse su cui essa si spezza, della Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio. La sua sgraziata eleganza e l'ambiguo movimento verticale, che non si sa s'è un cadere terreno o un levitare nel delirio della visione. Passaro procede per via di schermature, di "soglie" direbbe appunto Luigi Ghirri. Alcune di esse sono fisiche e tangibili: occhiali, specchietti retrovisori, finestre e finestrini, lastre. Alcune più aeree e impalpabili: sovraesposizioni, sfocati, campiture di colore mosse. Per via di Caravaggio vengono di certo in mente molte delle tele di Francis Bacon, autore di trittici ma anche di dittici, e più indietro il tormento dei volti di Pontormo. È nel Francis Bacon intervistato da David Sylvester che si trovano alcune risposte a tanto vaghe suggestioni e domande. E poi, di conseguenza, nel libro su di lui di Gilles Deleuze. Chiede Sylvester se la deformata apparenza dei volti, dei volti cari e amici, non sia piuttosto che un'inconscia ingiuria ai loro danni. No, dice Bacon, non che io volessi, o forse sì non so: non si dice del resto che si uccidono le cose e le persone che si amano? Ad esempio in "Padre" in cui il volto senza occhiali appare distorto e abbagliato - come se si trattasse d'uno sguardo miope rivolto a sé sulla superficie di uno specchio -, mentre il profilo tagliente con gli occhiali calzati è uno sguardo che si sottrae allo sguardo (viene in mente la Visitazione di Pontormo). O in "Inizio e Fine" dove non resta della vita se non il suo scorrere, il fisico succedersi dei passi, la naturale propensione al gesto vitale - che non ha bisogno di essere imparato, si cammina e basta - piuttosto che la biografia, breve o lunghissima: non più di un abbaglio. La natura procede per insinuazioni, sia in "Attraverso" che in "Giungla", o perfino in "Requiem". Ad essa, ridotta ai margini dalle nostre ingiurie, non resta che spiarci e mostrarsi spiata: nessun cedimento alla calligrafia, al confortevole abbraccio delle superfici foliari, alla possanza dei tronchi. E neppure il sogno degli impressionisti. Ma il sottile pertugio che ci raggiunge inatteso, come una freccia. Uno sguardo vulnerabile e dunque gonfio di "ferite". Sembrano qui potersi richiudere avvolgenti e dentate le valve del dittico. Passaro ci muta in insetti. E ci cattura.
BIO
Marco Passaro (Messina 1987) originario di Messina, studia Storia dell’Arte a Siena e poi a Roma, dove attualmente vive e lavora. Dopo gli studi frequenta corsi di fotografia prima alla Scuola Romana di Fotografia, poi presso lo Studio Compagnucci. Nel 2015 partecipa al concorso Ombre, indetto dal Centro Sperimentale di Fotografia CSF Adams, dove si aggiudica il terzo posto grazie allo scatto Di notte gli alberi camminano e, nello stesso anno, collabora come assistente per lo Studio Compagnucci. Nel 2016 realizza le immagini di catalogo e un editoriale di moda per Formespazio creazioni artistiche e artigianali in plexiglass.
cargocollective.com/marcopassaro
TESTO CRITICO
Prof. Alessandro Celani, docente presso University of Alberta e fotografo
Piuttosto che ai grandi apparati sacri, alle attrezzature medievali di santi e di martiri, alla foglia d'oro, la forma del dittico riconduce alla dimensione nascosta della tasca, della bisaccia sdrucita, all'andirivieni delle mani fra il dentro e il fuori dei mantelli - che fa presto a farsi un dentro e fuori dell'anima -. All'andatura claudicante del viaggio, che è sempre, nel passato e nel presente, un pellegrinaggio. L'ambivalenza del dittico è poi fatta di altro: della durezza del supporto, di legno intagliato, di inserti di metallo e di borchie, e al contrario della sfarinate superfici d'immagine. Esposta alle polveri, ai grani di varia misura e consistenza, alla pioggia, alle affilate correnti invernali, al freddo e al caldo. Un solido e connesso chiavistello a contegno della fragile apparenza delle cose. Come stanno le palpebre e le ciglia al turgido e labile globo oculare. Ugualmente le macchine fotografiche: apparati solidi, oggi sempre di più "sealed" (sigillati), per racchiudere l'ombra imperfetta di uno sguardo. Il dittico poi, che lo vogliamo o no, è sempre uno specchio. Sia perché esso si porta al volto, come gli specchi, sia perché esso è doppio e ci dimostra il nostro osservare e il nostro essere osservati. E reduplica con la sua stessa forma il nostro essere nel mondo.
Molte di queste cose e altre, che sommerse ci raggiungono per vie di genealogie d'immagini, appaiono in SOGLIE, la serie fotografica di Marco Passaro, oggi a Roma ma nato a Messina. E per questo, piuttosto che il tratto glaciale di Antonello si avverte in esse il disfacimento della luce, e delle materie diverse su cui essa si spezza, della Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio. La sua sgraziata eleganza e l'ambiguo movimento verticale, che non si sa s'è un cadere terreno o un levitare nel delirio della visione. Passaro procede per via di schermature, di "soglie" direbbe appunto Luigi Ghirri. Alcune di esse sono fisiche e tangibili: occhiali, specchietti retrovisori, finestre e finestrini, lastre. Alcune più aeree e impalpabili: sovraesposizioni, sfocati, campiture di colore mosse. Per via di Caravaggio vengono di certo in mente molte delle tele di Francis Bacon, autore di trittici ma anche di dittici, e più indietro il tormento dei volti di Pontormo. È nel Francis Bacon intervistato da David Sylvester che si trovano alcune risposte a tanto vaghe suggestioni e domande. E poi, di conseguenza, nel libro su di lui di Gilles Deleuze. Chiede Sylvester se la deformata apparenza dei volti, dei volti cari e amici, non sia piuttosto che un'inconscia ingiuria ai loro danni. No, dice Bacon, non che io volessi, o forse sì non so: non si dice del resto che si uccidono le cose e le persone che si amano? Ad esempio in "Padre" in cui il volto senza occhiali appare distorto e abbagliato - come se si trattasse d'uno sguardo miope rivolto a sé sulla superficie di uno specchio -, mentre il profilo tagliente con gli occhiali calzati è uno sguardo che si sottrae allo sguardo (viene in mente la Visitazione di Pontormo). O in "Inizio e Fine" dove non resta della vita se non il suo scorrere, il fisico succedersi dei passi, la naturale propensione al gesto vitale - che non ha bisogno di essere imparato, si cammina e basta - piuttosto che la biografia, breve o lunghissima: non più di un abbaglio. La natura procede per insinuazioni, sia in "Attraverso" che in "Giungla", o perfino in "Requiem". Ad essa, ridotta ai margini dalle nostre ingiurie, non resta che spiarci e mostrarsi spiata: nessun cedimento alla calligrafia, al confortevole abbraccio delle superfici foliari, alla possanza dei tronchi. E neppure il sogno degli impressionisti. Ma il sottile pertugio che ci raggiunge inatteso, come una freccia. Uno sguardo vulnerabile e dunque gonfio di "ferite". Sembrano qui potersi richiudere avvolgenti e dentate le valve del dittico. Passaro ci muta in insetti. E ci cattura.
13
maggio 2016
Marco Passaro – SO GL IE
Dal 13 al 27 maggio 2016
fotografia
Location
LABORATORIO FOTOGRAFICO CORSETTI
Roma, Via Dei Piceni, 5/7, (Roma)
Roma, Via Dei Piceni, 5/7, (Roma)
Orario di apertura
Lunedì - venerdì 9.00-19.00
Vernissage
13 Maggio 2016, ore 18.00
Autore
Curatore