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Marco Querin – Linealineapuntolinea
In tutto circa 30 opere che saranno esposte nel mese di giugno alla galleria d’arte contemporanea MyOwnGallery del Superstudio Più di Milano, in una personale dal titolo “linealineapuntolinea”.
Comunicato stampa
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Una mostra leggera come un filo. Come quelli che Marco Querin utilizza per le sue opere, costruendo geometrie con i fili di lana o ricche del colore e della luminosità dei fili di metallo. In tutto circa 30 opere che saranno esposte nel mese di giugno alla galleria d’arte contemporanea MyOwnGallery del Superstudio Più di Milano, in una personale dal titolo “linealineapuntolinea”.
“Decidere il titolo di un quadro nel mio lavoro è generalmente facile, definire invece il titolo della mostra, è stato un processo assai lungo. Ora però, ci sono. Ora il titolo c’è ed è perfetto. Perché “linealineapuntolinea”?
Da una ricerca sull’evoluzione della scrittura dell’uomo, quindi dal segno alle lettere odierne, sono state considerate diverse tipologie di scrittura, quindi di comunicazione tra uomini. Ho deciso di adottare il codice Morse per comunicare con gli uomini che orbitano ora nel mio universo perché è un metodo semplice e d’interpretazione unica e diretta. In fin dei conti, “linealineapuntolinea” non è altro che la “Q” del nostro alfabeto, quindi la mia iniziale di famiglia. Il mio nome di famiglia, o meglio quello di mio padre, ha dato inconsapevolmente origine al mio modo di fare arte, fatta di chiodi di supporto e di fili tirati a mano che li connettono. Con mio padre mi sono ri-connesso. Con il mio pubblico, lo faccio ora per la prima volta da artista single, quindi senza ormai una galleria, presentandomi cosi come sono. In questo titolo, graficamente - - • -, c’è il mio modo di fare arte. La linea rappresenta i miei fili, il punto la testa dei miei chiodi nonché l’origine del supporto delle mie trame. Creo immagini semplici e lineari da sempre.”
Marco Querin nasce nel 1978 e vive a Milano fino ai diciannove anni, quando si trasferisce a Chicago dove trascorre un lungo ed importante periodo della sua vita. Proprio a Chicago inizia la sua ricerca artistica sul colore attraverso la sperimentazione di materiali naturali come i semi di papavero, la polvere di cannella, lo zafferano e il tè alla vaniglia, per approdare all'uso di fili di lana, cotone e rame. L'utilizzo di questi materiali sulle tele segna un passaggio importante nella sua evoluzione artistica affermandosi come cifra stilistica per eccellenza. I fili, sperimentati già nei suoi primi lavori solo come elementi decorativi, diventano l'unico mezzo attraverso il quale Querin copre interamente le sue tele.
Marco Querin – testo critico a cura di Glores Sandri
Esiste ancora una dimensione dell'arte che si rifà al gesto per parlare. In questa dimensione si é innestato un giovane artista milanese che fa del gesto, delle mani e delle dita ancora un elemento fondante del suo lavoro. Un artista che pensa, ma dopo aver pensato agisce, lavora, fatica, suda. Le sue tele non sono dipinte benché ospitino colori e a volte anche materia pittorica, sono bensì dei piccoli orti dove egli coltiva pensieri, tirando fili, della memoria e del presente. Il lavoro di Marco Querin, purtroppo troppo spesso erroneamente o solo superficialmente avvicinato da un certo tipo di critica ai maestri dell'astrattismo geometrico, guarda molto di più alle avanguardie della Pop Art americana e dell'Informale italiano. Querin lega in un equilibrio formale personale la ricerca concettuale dell'Informale alle soluzioni di densità proposte dalla scuola americana della prima Pop Art da Rauschenberg a Rosenquist, la cosiddetta Shaped Canvas Art, di cui non a caso Fontana fu l'unico esponente italiano, con le sue prime ricerche sul Concetto Spaziale alla fine degli anni Cinquanta.
E' nell'estroflessione della tela che il suo lavoro trova una dimensione artistica, nello stesso senso di attesa che si genera davanti ai suoi lavori, nella matericità e ricerca di fisicità insita nella sua pratica artistica, che ricorre alla manualità, al gesto ed al tocco della materia che andrà a comporre la sua tela. Querin è una sorta di equilibrista alla ricerca di uno spazio tra idea e pratica, concetto e manualità, una ricerca che prosegue sulla stessa via di Castellani, Fontana, Manzoni, Bonalumi, arrivando a risultati del tutto personali, filtrati dalla sua personalità estroversa e positiva. L'immagine dell'artista davanti alla tela vuota ritrova il suo fascino, l'immagine di un'attesa che genera pensiero, di un pensiero che genera un problema, di un problema che genera una pratica che genera una soluzione. Soluzione che arriva attraverso la pratica del chiodo, attraverso l'affondare quasi catartico del cuneo nella materia e nella tiratura tutta manuale di fili con cui Querin crea delle linee, dei punti, dei nodi, appropriandosi della pratica di addensare la tela di materia: dalle prime sperimentazioni con le polveri (di vaniglia, zafferano...) all'approdo ai fili di rame, lana e cotone.
E' la pratica del chiodo che seduce, nella ripresa tutta simbolica di uno stato di iniziazione, di un passaggio, un percorso che parte dalla tela vuota e si dipana tattilmente passando tra le dita dell'artista, attraverso il senso, l'epidermide, i polpastrelli, le impronte digitali: Querin imprime le sue domande sulla materia cercando soluzioni tridimensionali al suo mondo delle idee. Pianta un chiodo, pone una domanda, tira un filo, entra nel mondo platonico, fa un nodo, fissa un passaggio nella memoria, tira ancora il filo, la perdita di accorcia - così come in Platone nel Fedone: “Perché ogni piacere e ogni dolore, quasi fossero chiodi, inchiodano l'anima al corpo, gliela saldano in modo che essa diventa corporea, fino a ritener per vere le cose ritenute tali dal corpo.”
“Decidere il titolo di un quadro nel mio lavoro è generalmente facile, definire invece il titolo della mostra, è stato un processo assai lungo. Ora però, ci sono. Ora il titolo c’è ed è perfetto. Perché “linealineapuntolinea”?
Da una ricerca sull’evoluzione della scrittura dell’uomo, quindi dal segno alle lettere odierne, sono state considerate diverse tipologie di scrittura, quindi di comunicazione tra uomini. Ho deciso di adottare il codice Morse per comunicare con gli uomini che orbitano ora nel mio universo perché è un metodo semplice e d’interpretazione unica e diretta. In fin dei conti, “linealineapuntolinea” non è altro che la “Q” del nostro alfabeto, quindi la mia iniziale di famiglia. Il mio nome di famiglia, o meglio quello di mio padre, ha dato inconsapevolmente origine al mio modo di fare arte, fatta di chiodi di supporto e di fili tirati a mano che li connettono. Con mio padre mi sono ri-connesso. Con il mio pubblico, lo faccio ora per la prima volta da artista single, quindi senza ormai una galleria, presentandomi cosi come sono. In questo titolo, graficamente - - • -, c’è il mio modo di fare arte. La linea rappresenta i miei fili, il punto la testa dei miei chiodi nonché l’origine del supporto delle mie trame. Creo immagini semplici e lineari da sempre.”
Marco Querin nasce nel 1978 e vive a Milano fino ai diciannove anni, quando si trasferisce a Chicago dove trascorre un lungo ed importante periodo della sua vita. Proprio a Chicago inizia la sua ricerca artistica sul colore attraverso la sperimentazione di materiali naturali come i semi di papavero, la polvere di cannella, lo zafferano e il tè alla vaniglia, per approdare all'uso di fili di lana, cotone e rame. L'utilizzo di questi materiali sulle tele segna un passaggio importante nella sua evoluzione artistica affermandosi come cifra stilistica per eccellenza. I fili, sperimentati già nei suoi primi lavori solo come elementi decorativi, diventano l'unico mezzo attraverso il quale Querin copre interamente le sue tele.
Marco Querin – testo critico a cura di Glores Sandri
Esiste ancora una dimensione dell'arte che si rifà al gesto per parlare. In questa dimensione si é innestato un giovane artista milanese che fa del gesto, delle mani e delle dita ancora un elemento fondante del suo lavoro. Un artista che pensa, ma dopo aver pensato agisce, lavora, fatica, suda. Le sue tele non sono dipinte benché ospitino colori e a volte anche materia pittorica, sono bensì dei piccoli orti dove egli coltiva pensieri, tirando fili, della memoria e del presente. Il lavoro di Marco Querin, purtroppo troppo spesso erroneamente o solo superficialmente avvicinato da un certo tipo di critica ai maestri dell'astrattismo geometrico, guarda molto di più alle avanguardie della Pop Art americana e dell'Informale italiano. Querin lega in un equilibrio formale personale la ricerca concettuale dell'Informale alle soluzioni di densità proposte dalla scuola americana della prima Pop Art da Rauschenberg a Rosenquist, la cosiddetta Shaped Canvas Art, di cui non a caso Fontana fu l'unico esponente italiano, con le sue prime ricerche sul Concetto Spaziale alla fine degli anni Cinquanta.
E' nell'estroflessione della tela che il suo lavoro trova una dimensione artistica, nello stesso senso di attesa che si genera davanti ai suoi lavori, nella matericità e ricerca di fisicità insita nella sua pratica artistica, che ricorre alla manualità, al gesto ed al tocco della materia che andrà a comporre la sua tela. Querin è una sorta di equilibrista alla ricerca di uno spazio tra idea e pratica, concetto e manualità, una ricerca che prosegue sulla stessa via di Castellani, Fontana, Manzoni, Bonalumi, arrivando a risultati del tutto personali, filtrati dalla sua personalità estroversa e positiva. L'immagine dell'artista davanti alla tela vuota ritrova il suo fascino, l'immagine di un'attesa che genera pensiero, di un pensiero che genera un problema, di un problema che genera una pratica che genera una soluzione. Soluzione che arriva attraverso la pratica del chiodo, attraverso l'affondare quasi catartico del cuneo nella materia e nella tiratura tutta manuale di fili con cui Querin crea delle linee, dei punti, dei nodi, appropriandosi della pratica di addensare la tela di materia: dalle prime sperimentazioni con le polveri (di vaniglia, zafferano...) all'approdo ai fili di rame, lana e cotone.
E' la pratica del chiodo che seduce, nella ripresa tutta simbolica di uno stato di iniziazione, di un passaggio, un percorso che parte dalla tela vuota e si dipana tattilmente passando tra le dita dell'artista, attraverso il senso, l'epidermide, i polpastrelli, le impronte digitali: Querin imprime le sue domande sulla materia cercando soluzioni tridimensionali al suo mondo delle idee. Pianta un chiodo, pone una domanda, tira un filo, entra nel mondo platonico, fa un nodo, fissa un passaggio nella memoria, tira ancora il filo, la perdita di accorcia - così come in Platone nel Fedone: “Perché ogni piacere e ogni dolore, quasi fossero chiodi, inchiodano l'anima al corpo, gliela saldano in modo che essa diventa corporea, fino a ritener per vere le cose ritenute tali dal corpo.”
10
giugno 2009
Marco Querin – Linealineapuntolinea
Dal 10 al 30 giugno 2009
arte contemporanea
Location
MY OWN GALLERY
Milano, Via Tortona, 27, (Milano)
Milano, Via Tortona, 27, (Milano)
Orario di apertura
dalle 10 alle 18
Vernissage
10 Giugno 2009, dalle 18 alle 22
Sito web
www.marcoquerin.com
Autore
Curatore