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Marco Sauro – Argento
Argento è il riflesso del mare,
è la luce amica del faro,
è il colore prezioso dei nostri pensieri,
è l’approdo dei naufraghi,
è lo specchio della nostra anima, la nostra isola, l’isola del tesoro.
Comunicato stampa
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Non è facile capire chi guarda nelle visioni di Marco Sauro: a chi appartengono gli occhi che delineano i promontori, proiettano sul foglio torri e chiese, mappano isole brulle e frangiflutti, tracciano inferriate alle finestre, ergono bastioni e fortezze o riproducono insediamenti e caseggiati su rocche e terrapieni come se fossero stati abbandonati da decenni?
Non sembrano quadri, sembrano fogli di lavoro. La prospettiva è segmentata da ripartizioni interne come se, chi ne facesse uso, li avesse ripiegati più volte dopo averli stesi e studiati per un compito fatto di precisione e metodo. Si tratta di un’impresa misteriosa. È lo sguardo di un tecnico che deve misurare la distanza tra le cose, i dettagli di una proprietà, la giustapposizione di forme della natura e dell’architettura ? Chi guarda, al primo impatto, sembra guidato dal bisogno di costruire una rappresentazione astratta del mondo che ha di fronte per un fine di cui quello sguardo è un mezzo. Come se, insediatosi di recente, l’osservatore ritraesse con cura coste e piazze, beni e siti per essere sicuro di farne parte o forse per progettarne un catalogo minuto. A volte si allontana per racchiudere l’orizzonte in una visione panoramica, a volte si concentra in un angolo dove una panchina, un lampione, un pozzo presidiano il vuoto infinito di un lungomare. Qualunque civiltà sia responsabile di quelle tracce, non sembra più abitarvi o fargli compagnia. Non c’è figura umana in questa scena che ha la serenità inspiegabile della tradizione dei paesaggi e insieme l’assillo di oggettività e imitazione dello studio naturalista.
Chi guarda ha la curiosità e insieme l’illusione di neutralità dell’esploratore, come se la traccia della visione sul foglio dovesse soprattutto documentare e fissare un’enciclopedia di punti di vista in grado di ricomporre il continente della memoria attraverso una compilazione erudita di scorci. Si tratta dunque di un diario illustrato, un giornale di bordo, un album di viaggio? Giunto per la prima volta nella regione di cui è signore o semplicemente nell’area assegnatagli in quanto alto funzionario o addirittura nel paese che una volta era colonia di una etnia diversa, l’osservatore censisce con i suoi occhi case e colline, tetti e baie, scogli e campanili. È un mondo circondato da muraglie e di vegetazione sparuta, ricco di approdi ma di ambizioni frugali o di economia modesta, ossessionato dall’idea di poter scorgere qualcosa prima che arrivi: grazie a fari, torrioni, belvedere, vedette. Chiunque poteva arrivare non sembra arriverà mai più, ora. L’ oceano è sgombro, l’orizzonte nitido, gli spalti in rovina.
E se invece queste visioni non fossero documenti ma puro esito dell’immaginazione? Bozzetti di una scenografia irreale in attesa di essere popolata di individui e azioni. O addirittura fondali di una messa in scena. Il capocomico li stende su una superficie di balza poggiata su cavalletti. L’armata nemica attaccherà l’assedio, non prima che tutti i generali abbiano impartito istruzioni ad ogni armata. Forse si prepareranno per diversi giorni attraccati nell’isola di fronte. I due giovani, lui figlio di un avaro latifondista, lei di poveri pescatori, si nasconderanno tra le rovine della chiesa dove il furbo servo ha in serbo un piano smaliziato per far accettare al suo padrone le loro nozze. Ed è proprio ai piedi della quercia, di fronte alla taverna, o sotto i portici del campiello che i giovani si riuniranno, di notte, dopo il fallimento della loro congiura. Se sono abbozzi di scene, questi quadri, certo hanno una vocazione connaturata con qualche narrazione. Se solo potessimo leggere gli appunti che spazzano come un vento febbrile intere sezioni di queste immagini, potremmo scoprire di quale storia si tratta, chi ne è protagonista, in che mondo e in che epoca si svolge e cosa c’è di così importante in questa narrazione da dettare la scrittura in ogni angolo.
Non è facile capire cosa ha negli occhi il narratore o l’osservatore, il drammaturgo o l’agrimensore, l’architetto o il contabile che da anni disegna questo mondo, ma è molto attraente. Sappiamo che la sua imperturbabilità è travolta dall’ansia dei suoi appunti, l’ordine squadrato dei volumi è investito dalla grazia malata e meccanica delle decorazioni, come su un tessuto. Qualcuno che lo segue da anni sospetta che dentro la stilizzazione grafica sia in incubazione, pronta a sboccare, l’emorragia istantanea della malinconia, del rammarico o del sarcasmo: qualcosa che altera i profili e le mappe come l’inchiostro di azzurro e argento che nei suoi quadri stinge travolgendo, come una dolce marea cianotica, ogni segno o contorno.
Non sembrano quadri, sembrano fogli di lavoro. La prospettiva è segmentata da ripartizioni interne come se, chi ne facesse uso, li avesse ripiegati più volte dopo averli stesi e studiati per un compito fatto di precisione e metodo. Si tratta di un’impresa misteriosa. È lo sguardo di un tecnico che deve misurare la distanza tra le cose, i dettagli di una proprietà, la giustapposizione di forme della natura e dell’architettura ? Chi guarda, al primo impatto, sembra guidato dal bisogno di costruire una rappresentazione astratta del mondo che ha di fronte per un fine di cui quello sguardo è un mezzo. Come se, insediatosi di recente, l’osservatore ritraesse con cura coste e piazze, beni e siti per essere sicuro di farne parte o forse per progettarne un catalogo minuto. A volte si allontana per racchiudere l’orizzonte in una visione panoramica, a volte si concentra in un angolo dove una panchina, un lampione, un pozzo presidiano il vuoto infinito di un lungomare. Qualunque civiltà sia responsabile di quelle tracce, non sembra più abitarvi o fargli compagnia. Non c’è figura umana in questa scena che ha la serenità inspiegabile della tradizione dei paesaggi e insieme l’assillo di oggettività e imitazione dello studio naturalista.
Chi guarda ha la curiosità e insieme l’illusione di neutralità dell’esploratore, come se la traccia della visione sul foglio dovesse soprattutto documentare e fissare un’enciclopedia di punti di vista in grado di ricomporre il continente della memoria attraverso una compilazione erudita di scorci. Si tratta dunque di un diario illustrato, un giornale di bordo, un album di viaggio? Giunto per la prima volta nella regione di cui è signore o semplicemente nell’area assegnatagli in quanto alto funzionario o addirittura nel paese che una volta era colonia di una etnia diversa, l’osservatore censisce con i suoi occhi case e colline, tetti e baie, scogli e campanili. È un mondo circondato da muraglie e di vegetazione sparuta, ricco di approdi ma di ambizioni frugali o di economia modesta, ossessionato dall’idea di poter scorgere qualcosa prima che arrivi: grazie a fari, torrioni, belvedere, vedette. Chiunque poteva arrivare non sembra arriverà mai più, ora. L’ oceano è sgombro, l’orizzonte nitido, gli spalti in rovina.
E se invece queste visioni non fossero documenti ma puro esito dell’immaginazione? Bozzetti di una scenografia irreale in attesa di essere popolata di individui e azioni. O addirittura fondali di una messa in scena. Il capocomico li stende su una superficie di balza poggiata su cavalletti. L’armata nemica attaccherà l’assedio, non prima che tutti i generali abbiano impartito istruzioni ad ogni armata. Forse si prepareranno per diversi giorni attraccati nell’isola di fronte. I due giovani, lui figlio di un avaro latifondista, lei di poveri pescatori, si nasconderanno tra le rovine della chiesa dove il furbo servo ha in serbo un piano smaliziato per far accettare al suo padrone le loro nozze. Ed è proprio ai piedi della quercia, di fronte alla taverna, o sotto i portici del campiello che i giovani si riuniranno, di notte, dopo il fallimento della loro congiura. Se sono abbozzi di scene, questi quadri, certo hanno una vocazione connaturata con qualche narrazione. Se solo potessimo leggere gli appunti che spazzano come un vento febbrile intere sezioni di queste immagini, potremmo scoprire di quale storia si tratta, chi ne è protagonista, in che mondo e in che epoca si svolge e cosa c’è di così importante in questa narrazione da dettare la scrittura in ogni angolo.
Non è facile capire cosa ha negli occhi il narratore o l’osservatore, il drammaturgo o l’agrimensore, l’architetto o il contabile che da anni disegna questo mondo, ma è molto attraente. Sappiamo che la sua imperturbabilità è travolta dall’ansia dei suoi appunti, l’ordine squadrato dei volumi è investito dalla grazia malata e meccanica delle decorazioni, come su un tessuto. Qualcuno che lo segue da anni sospetta che dentro la stilizzazione grafica sia in incubazione, pronta a sboccare, l’emorragia istantanea della malinconia, del rammarico o del sarcasmo: qualcosa che altera i profili e le mappe come l’inchiostro di azzurro e argento che nei suoi quadri stinge travolgendo, come una dolce marea cianotica, ogni segno o contorno.
21
gennaio 2010
Marco Sauro – Argento
Dal 21 gennaio al 20 febbraio 2010
arte contemporanea
Location
STUDIO TIEPOLO 38
Roma, Via Giambattista Tiepolo, 38, (Roma)
Roma, Via Giambattista Tiepolo, 38, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16-20
Vernissage
21 Gennaio 2010, 0re 18.30
Autore
Curatore