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Marco Vecchiato – Come l’odore dei sogni del giorno dopo
Artekyp ospita una serie di opere inedite di Marco Vecchiato nella mostra Come l’odore dei sogni del giorno dopo, con testo di Emanuele Beluffi. Catalogo in galleria.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dal 29 aprile 2024 al 18 maggio 2024, Artekyp ospita una serie di opere inedite di Marco Vecchiato nella mostra Come l’odore dei sogni del giorno dopo, con testo di Emanuele Beluffi.
Vecchiato fa una pittura estrema, secca, inclemente, scarnificata, materiata di segni, lontana anni luce dal fervore cromatico che pure a suo modo c’è, pulsante da quel grande bianco che è il film pittorico su cui i soggetti stanno, semplicemente stanno, espressione di quella
“pittura dell’ignoto”, tanto per citare il titolo del catalogo di una mostra di più di una decina di anni fa di Mario Raciti, di cui sicuramente Vecchiato è profondo conoscitore e debitore per quei fondi indefiniti e grezzi e quella “narrazione” meta/fisica nel vero senso dell’espressione, cioè al di là dell’apparenza familiare.
«La mia pittura è realista perché parla del presente, è figurativa, fenomenologica, ammesso e non concesso che queste distinzioni vogliano dire qualcosa, perché sotto il groviglio di linee c’è la figura e quella figura non può che essere l’uomo, l’essere, l’io», dice Vecchiato.
Marco Vecchiato è noto per una pittura non-empatica, “maleducata”, una pittura “primitiva” nell’unico senso in cui possiamo intendere l’arte primitiva (cioè gino-de-dominicisianamente giovane e contemporanea) e cioè in un senso elevatissimo, fatta di impulsi che producono forme inorganiche che si riaccompagnano per reminiscenza alla figura umana: una pittura dell’inquietudine che traduce per immagini quella Filosofia dell’inquietudine di cui ci parlava il filosofo Renato Troncon e che ri-troviamo nei corpi allungati di Giacometti.
Nella mostra presso Artekyp vediamo una pittura che denota l’inquietudine dell’uomo contemporaneo (o forse meglio di alcuni contemporanei) verso un mondo evidentemente indecifrabile: qui la realtà è bianca, tabula rasa da marcare con l’interpretazione a piacimento, sia essa un rituale magico o un’impresa scientifica o un’opera d’arte visiva o una composizione musicale.
In queste opere i corpi sono tratteggiati da un segno scabro, a volte sono tronchi di corpi e altre nemmeno quelli, solo allusioni, sono spettatori accennati che non dialogano né interagiscono col mondo là fuori. «I corpi di Vecchiato – scrive Emanuele Beluffi nel testo a catalogo - hanno solo due cavità piccole come spilli, piccole come occhi di un topo a denotare le cavità nasali del teschio e null'altro attorno, sono gli amanti di Magritte ai quali è stato tolto il velo dalla faccia con tutto quello che c'era sotto: sotto il velo niente, come nel romanzo di Marco Parma (alias di Paolo Pietroni) Sotto il vestito niente, l'anima dove l'hanno persa?».
Cenni biografici
Marco Vecchiato (Padova, 1974) comincia a usare matite e pennelli nel 2015, piuttosto tardi per un artista di quella generazione, sì, quando qualcosa dentro non è più rappresentabile come prima, o forse perché il fuori era cambiato, chi lo può sapere, a volte nella vita tocca cambiare linguaggio se si vuole continuare ad esistere. Questo è quello che ha fatto Vecchiato, e non importa se l’arte lo perseguita da quando aveva vent’anni, “tanto” dice con un pizzico di nostalgia “mai nel 1999 o giù di lì, avrei potuto fare i lavori che mi vengono oggi, ho cercato, perché la vena c’era, eccome, solo che allora mi sembrava tutto distrutto… non so perché ma alla fine ho pensato che non ne valesse la pena così ho mollato”.
Semplicemente non era pronto! E comunque non si sta parlando di un talento precoce, di quelli che stanno sempre a disegnare e lo fanno "bene", quasi avessero bisogno di allenarsi perché prima o poi coloreranno il mondo intero.
Cosa ha fatto allora fino al 2015? Ha tenuto sotto controllo la creatività con la scrittura, soprattutto di poesie, pubblicando due raccolte, ma poi si sa l’arte è una disciplina dispotica, e Vecchiato si è messo a ri-cercarla, affondando con metodo storico nelle vicende, nella storia degli altri però: epoche, correnti, artisti. Si è abbandonato alla ricerca (come
indipendente) affondando nell’arte tedesca (di Austria e Germania soprattutto) tra la fine del XIX e l’inizio del XX (nazionalsocialismo compreso).
“Alla fine di tutto quel lavoro non so cosa sia rimasto, so che non ho buttato niente” confessa. I lavori di Vecchiato sono contemporanei nel linguaggio ma anche nella sostanza, anche se di questi tempi non c’è molto da scherzare, “Mi piacerebbe fare una mostra sulla felicità, anche se adesso non è il momento!” ripete a chi gli chiede dei progetti futuri.
Nel 2022 ha pubblicato la raccolta di racconti L’ultimo guardiano d’aprile (ed. Cleup) e fra le mostre recenti ricordiamo: Come l’odore dei sogni del giorno dopo, con testo di Emanuele Beluffi (2024) e Alienation Zone curata da Barbara Codogno.
Vecchiato fa una pittura estrema, secca, inclemente, scarnificata, materiata di segni, lontana anni luce dal fervore cromatico che pure a suo modo c’è, pulsante da quel grande bianco che è il film pittorico su cui i soggetti stanno, semplicemente stanno, espressione di quella
“pittura dell’ignoto”, tanto per citare il titolo del catalogo di una mostra di più di una decina di anni fa di Mario Raciti, di cui sicuramente Vecchiato è profondo conoscitore e debitore per quei fondi indefiniti e grezzi e quella “narrazione” meta/fisica nel vero senso dell’espressione, cioè al di là dell’apparenza familiare.
«La mia pittura è realista perché parla del presente, è figurativa, fenomenologica, ammesso e non concesso che queste distinzioni vogliano dire qualcosa, perché sotto il groviglio di linee c’è la figura e quella figura non può che essere l’uomo, l’essere, l’io», dice Vecchiato.
Marco Vecchiato è noto per una pittura non-empatica, “maleducata”, una pittura “primitiva” nell’unico senso in cui possiamo intendere l’arte primitiva (cioè gino-de-dominicisianamente giovane e contemporanea) e cioè in un senso elevatissimo, fatta di impulsi che producono forme inorganiche che si riaccompagnano per reminiscenza alla figura umana: una pittura dell’inquietudine che traduce per immagini quella Filosofia dell’inquietudine di cui ci parlava il filosofo Renato Troncon e che ri-troviamo nei corpi allungati di Giacometti.
Nella mostra presso Artekyp vediamo una pittura che denota l’inquietudine dell’uomo contemporaneo (o forse meglio di alcuni contemporanei) verso un mondo evidentemente indecifrabile: qui la realtà è bianca, tabula rasa da marcare con l’interpretazione a piacimento, sia essa un rituale magico o un’impresa scientifica o un’opera d’arte visiva o una composizione musicale.
In queste opere i corpi sono tratteggiati da un segno scabro, a volte sono tronchi di corpi e altre nemmeno quelli, solo allusioni, sono spettatori accennati che non dialogano né interagiscono col mondo là fuori. «I corpi di Vecchiato – scrive Emanuele Beluffi nel testo a catalogo - hanno solo due cavità piccole come spilli, piccole come occhi di un topo a denotare le cavità nasali del teschio e null'altro attorno, sono gli amanti di Magritte ai quali è stato tolto il velo dalla faccia con tutto quello che c'era sotto: sotto il velo niente, come nel romanzo di Marco Parma (alias di Paolo Pietroni) Sotto il vestito niente, l'anima dove l'hanno persa?».
Cenni biografici
Marco Vecchiato (Padova, 1974) comincia a usare matite e pennelli nel 2015, piuttosto tardi per un artista di quella generazione, sì, quando qualcosa dentro non è più rappresentabile come prima, o forse perché il fuori era cambiato, chi lo può sapere, a volte nella vita tocca cambiare linguaggio se si vuole continuare ad esistere. Questo è quello che ha fatto Vecchiato, e non importa se l’arte lo perseguita da quando aveva vent’anni, “tanto” dice con un pizzico di nostalgia “mai nel 1999 o giù di lì, avrei potuto fare i lavori che mi vengono oggi, ho cercato, perché la vena c’era, eccome, solo che allora mi sembrava tutto distrutto… non so perché ma alla fine ho pensato che non ne valesse la pena così ho mollato”.
Semplicemente non era pronto! E comunque non si sta parlando di un talento precoce, di quelli che stanno sempre a disegnare e lo fanno "bene", quasi avessero bisogno di allenarsi perché prima o poi coloreranno il mondo intero.
Cosa ha fatto allora fino al 2015? Ha tenuto sotto controllo la creatività con la scrittura, soprattutto di poesie, pubblicando due raccolte, ma poi si sa l’arte è una disciplina dispotica, e Vecchiato si è messo a ri-cercarla, affondando con metodo storico nelle vicende, nella storia degli altri però: epoche, correnti, artisti. Si è abbandonato alla ricerca (come
indipendente) affondando nell’arte tedesca (di Austria e Germania soprattutto) tra la fine del XIX e l’inizio del XX (nazionalsocialismo compreso).
“Alla fine di tutto quel lavoro non so cosa sia rimasto, so che non ho buttato niente” confessa. I lavori di Vecchiato sono contemporanei nel linguaggio ma anche nella sostanza, anche se di questi tempi non c’è molto da scherzare, “Mi piacerebbe fare una mostra sulla felicità, anche se adesso non è il momento!” ripete a chi gli chiede dei progetti futuri.
Nel 2022 ha pubblicato la raccolta di racconti L’ultimo guardiano d’aprile (ed. Cleup) e fra le mostre recenti ricordiamo: Come l’odore dei sogni del giorno dopo, con testo di Emanuele Beluffi (2024) e Alienation Zone curata da Barbara Codogno.
27
aprile 2024
Marco Vecchiato – Come l’odore dei sogni del giorno dopo
Dal 27 aprile al 18 maggio 2024
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTEKYP
Modena, Via Torre, 5, (Modena)
Modena, Via Torre, 5, (Modena)
Orario di apertura
Da lunedì a sabato 10 - 12:30 e 16:30 - 19
Chiuso giovedì e domenica
Vernissage
27 Aprile 2024, Ore 18
Autore
Curatore
Autore testo critico