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Margherita Morgantin – Baggage identification tag
Nella prima pagina di una sorta di diario di bordo – presentato in Casa Musumeci Greco insieme ad un video, alcune fotografie e dei disegni – un bel cammello campeggia in uno spazio un po’ affollato, stipato tra l’identificativo del bagaglio e alcune indicazioni sul volo copiate a penna.
Comunicato stampa
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Con un volo Lufthansa Margherita parte da Venezia alla volta di Instanbul. Prima di partire suo fratello l’avvisa: “L’anima non va a velocità superiore di un cammello”. Margherita fa dei calcoli. La sua anima arriverà giovedì o venerdì…
Nella prima pagina di una sorta di diario di bordo – presentato in Casa Musumeci Greco insieme ad un video, alcune fotografie e dei disegni – un bel cammello campeggia in uno spazio un po’ affollato, stipato tra l’identificativo del bagaglio e alcune indicazioni sul volo copiate a penna. Per chi conosce il lavoro di Margherita Morgantin, qualcosa che farebbe pensare alla tabella dei mari e dei venti presentata recentemente a Torino, se non fosse che qui la dimensione è più intima, è quella del taccuino per appunti, e l’esigenza di ancorarsi al dato tecnico/scientifico presente nell’installazione torinese si confonde con l’esigenza di fissare attraverso dati certi l’inizio di un’avventura. Per non dimenticare nulla…
A smentire però qualsiasi ipotesi che si possa trattare di un diario di bordo qualsiasi, cui magari faccia pendant, al ritorno, la penosa serata con gli amici dedicata alle videoriprese del viaggio, si affaccia subito l’impertinenza poetica dell’artista che, riportando, sempre a penna, il monito fraterno sulla velocità dell’anima, palesa immediatamente la particolare natura dell’oggetto e, soprattutto, la speciale dimensione in cui si muove l’autrice/viaggiatrice, ferma ad Istanbul in attesa che arrivi la sua anima.
Chi tirerebbe mai in ballo con tanta freschezza un termine affaticato da millenni di storia del pensiero come quello di anima?! E’ da almeno tre/quattro decenni che questo vocabolo è stato relegato nella scansia “lessico obsoleto”, insieme alla relativa visione del mondo che comporta. Tutti preoccupati dall’essere fuori moda, dall’essere poco graffianti. Tutti terrorizzati dalla facilità con la quale la retorica, vorace, si impossessa degli aspetti di maggiore vulnerabilità dell’io – dall’anima in poi, per capirci…
Margherita Morgantin si muove spesso proprio in quegli ambiti “pericolosi”, in quei terreni impervi, spaziando con ironia, tenera affezione e crudezza misurata dai grandi temi esistenziali alle istanze sociali, all’intimità, i sogni, i dubbi, la natura, i meccanismi di produzione e consumo; e la sua capacità di non cadere mai, neppure lontanamente, nelle trappole della retorica è sorprendente. Il suo modo di affrontare con fare spregiudicato, ludico, talvolta struggente, le sfumature che abitualmente non si ha il coraggio di esprimere – perché il sistema di non valori in cui viviamo le ridicolizza o le esautora – è spiazzante.
Una frase del diario di bordo potrebbe essere a tal proposito chiarificatrice:
“c’e un saluto che in arabo significa non ho serpenti nelle mani”…
Talvolta è il detournement ad aiutarla: operai che ballano al ritmo di swing (Petrol Swing, 2003), passeggiate di ore lungo un molo proteso su un mare completamente piatto (Mari da calmi a localmente mossi, 2003), coppie che ballano o lei che dorme, di notte, nei piazzali deserti dei supermercati (Esselunga, 1999; Bricocenter, 1999), acrobazie sui tralicci dell’elettricità (Posizionare l'apparecchio elettrificato alla giusta distanza per attirare streghe allocchi ed altre specie). Spiazzamenti vissuti per lo più in prima persona, sembrerebbe quasi per un bisogno di esperire una condizione di vita altra, estrema, che possa giustificare i limiti di quella in atto.
E poi, probabilmente innata, e comunque costantemente ricercata e difesa, c’è la sua attenzione speciale alla qualità estetica delle immagini, anche quando racconta il brutale sradicamento degli alberi quale momento iniziale della catena industriale che porterà ai suoi/nostri cari taccuini (Codice sorgente, 2004), o quando fissa il suo obiettivo fotografico sulle antenne televisive stagliate contro il cielo ( , 2004).
Con il diario in mano, seguendo i disegni lungo l’androne, arriviamo a Put your bulky bag in the right container, una videoproiezione di scatti fotografici in dissolvenza. In uno spazio ex industriale completamente bianco che invita a perdervisi, l’artista, vestita di bianco, sposta e risposta un cumulo di coloratissimi e ingombranti bagagli di varie fogge. Lo fa con leggiadria. Con titubanza. Poi con energia. Poi ancora con stanchezza. Posa i bagagli in un altro punto. Non ne è convinta. Riprende a spostarli. E nel far questo, di tappa in tappa, ancora confusa, ancora incerta, si avvicina verso una porta. La oltrepassa. Sparisce al nostro sguardo…
La metafora mi sembra chiara, ma non vorrei rovinare con inutili parole un’esperienza propria a ciascuno. Tutti affannosamente presi a spostare e rispostare i nostri bulky bags…
Daniela Bigi
Nella prima pagina di una sorta di diario di bordo – presentato in Casa Musumeci Greco insieme ad un video, alcune fotografie e dei disegni – un bel cammello campeggia in uno spazio un po’ affollato, stipato tra l’identificativo del bagaglio e alcune indicazioni sul volo copiate a penna. Per chi conosce il lavoro di Margherita Morgantin, qualcosa che farebbe pensare alla tabella dei mari e dei venti presentata recentemente a Torino, se non fosse che qui la dimensione è più intima, è quella del taccuino per appunti, e l’esigenza di ancorarsi al dato tecnico/scientifico presente nell’installazione torinese si confonde con l’esigenza di fissare attraverso dati certi l’inizio di un’avventura. Per non dimenticare nulla…
A smentire però qualsiasi ipotesi che si possa trattare di un diario di bordo qualsiasi, cui magari faccia pendant, al ritorno, la penosa serata con gli amici dedicata alle videoriprese del viaggio, si affaccia subito l’impertinenza poetica dell’artista che, riportando, sempre a penna, il monito fraterno sulla velocità dell’anima, palesa immediatamente la particolare natura dell’oggetto e, soprattutto, la speciale dimensione in cui si muove l’autrice/viaggiatrice, ferma ad Istanbul in attesa che arrivi la sua anima.
Chi tirerebbe mai in ballo con tanta freschezza un termine affaticato da millenni di storia del pensiero come quello di anima?! E’ da almeno tre/quattro decenni che questo vocabolo è stato relegato nella scansia “lessico obsoleto”, insieme alla relativa visione del mondo che comporta. Tutti preoccupati dall’essere fuori moda, dall’essere poco graffianti. Tutti terrorizzati dalla facilità con la quale la retorica, vorace, si impossessa degli aspetti di maggiore vulnerabilità dell’io – dall’anima in poi, per capirci…
Margherita Morgantin si muove spesso proprio in quegli ambiti “pericolosi”, in quei terreni impervi, spaziando con ironia, tenera affezione e crudezza misurata dai grandi temi esistenziali alle istanze sociali, all’intimità, i sogni, i dubbi, la natura, i meccanismi di produzione e consumo; e la sua capacità di non cadere mai, neppure lontanamente, nelle trappole della retorica è sorprendente. Il suo modo di affrontare con fare spregiudicato, ludico, talvolta struggente, le sfumature che abitualmente non si ha il coraggio di esprimere – perché il sistema di non valori in cui viviamo le ridicolizza o le esautora – è spiazzante.
Una frase del diario di bordo potrebbe essere a tal proposito chiarificatrice:
“c’e un saluto che in arabo significa non ho serpenti nelle mani”…
Talvolta è il detournement ad aiutarla: operai che ballano al ritmo di swing (Petrol Swing, 2003), passeggiate di ore lungo un molo proteso su un mare completamente piatto (Mari da calmi a localmente mossi, 2003), coppie che ballano o lei che dorme, di notte, nei piazzali deserti dei supermercati (Esselunga, 1999; Bricocenter, 1999), acrobazie sui tralicci dell’elettricità (Posizionare l'apparecchio elettrificato alla giusta distanza per attirare streghe allocchi ed altre specie). Spiazzamenti vissuti per lo più in prima persona, sembrerebbe quasi per un bisogno di esperire una condizione di vita altra, estrema, che possa giustificare i limiti di quella in atto.
E poi, probabilmente innata, e comunque costantemente ricercata e difesa, c’è la sua attenzione speciale alla qualità estetica delle immagini, anche quando racconta il brutale sradicamento degli alberi quale momento iniziale della catena industriale che porterà ai suoi/nostri cari taccuini (Codice sorgente, 2004), o quando fissa il suo obiettivo fotografico sulle antenne televisive stagliate contro il cielo ( , 2004).
Con il diario in mano, seguendo i disegni lungo l’androne, arriviamo a Put your bulky bag in the right container, una videoproiezione di scatti fotografici in dissolvenza. In uno spazio ex industriale completamente bianco che invita a perdervisi, l’artista, vestita di bianco, sposta e risposta un cumulo di coloratissimi e ingombranti bagagli di varie fogge. Lo fa con leggiadria. Con titubanza. Poi con energia. Poi ancora con stanchezza. Posa i bagagli in un altro punto. Non ne è convinta. Riprende a spostarli. E nel far questo, di tappa in tappa, ancora confusa, ancora incerta, si avvicina verso una porta. La oltrepassa. Sparisce al nostro sguardo…
La metafora mi sembra chiara, ma non vorrei rovinare con inutili parole un’esperienza propria a ciascuno. Tutti affannosamente presi a spostare e rispostare i nostri bulky bags…
Daniela Bigi
15
dicembre 2004
Margherita Morgantin – Baggage identification tag
Dal 15 dicembre 2004 al 15 gennaio 2005
arte contemporanea
Location
CASA MUSUMECI GRECO
Roma, Via Della Mercede, 5, (Roma)
Roma, Via Della Mercede, 5, (Roma)
Orario di apertura
visita per appuntamento 3356126880
Vernissage
15 Dicembre 2004, ore 19
Autore